InfoAut
Immagine di copertina per il post

La crisi del calcio italiano

Che fine ha fatto il calcio italiano? Una brutta fine, verrebbe da rispondere. Perché l’ha fatta? Per una serie di motivi, che proveremo ad elencare uno ad uno già sapendo di lasciarne per strada sicuramente alcuni.

Gli stadi

Tra impianti modello Juventus Stadium e Sant’Elia di Cagliari possono esserci ottime vie di mezzo. Se dobbiamo essere fortemente contrari alla costruzione di impianti dove il rettangolo di gioco fa soltanto da cornice a negozi, ristoranti, cinema e alberghi sparsi all’interno di curve e tribune, nel 2014 è impensabile e indegno spendere decine e decine di euro (talvolta centinaia) per assistere a spettacoli spesso mediocri in impianti fatiscenti come la maggior parte di quelli italiani. Fatte poche debite eccezioni, in Italia abbiamo impianti obsoleti, pericolanti e pericolosi, freddi, con spalti almeno per 3/4 privi di copertura, spesso con piste di atletica che allontanano lo spettatore dal campo di almeno 30 metri e con assenza di parcheggi esterni. A tutto questo aggiungiamo le recinzioni esterne modello Auschwitz e i tornelli che ostacolano l’afflusso degli spettatori negli impianti e ne ritardano l’accesso. La soluzione, tanto per cambiare, viene dalla Germania. Nel giro di 10-15 anni praticamente tutti i club professionistici tedeschi hanno ammodernato o costruito ex-novo i propri stadi. Lo hanno fatto pensando al tifoso e alla famiglia ma non in quanto consumatori da spennare. Due esempi? Vedere il Bayern (non esattamente il Tuttocuoio…) dal primo anello della curva costa tra i 10 e i 15 euro a seconda dell’importanza del match. Solo ammirare dall’interno l’Allianz Arena dicono valga il prezzo del biglietto. Ad Amburgo, invece, quelli del Sankt Pauli hanno fatto scuola. Nel vero senso del termine visto che la loro idea di aprire un asilo nido (e anche un centro per disabili) sembra verrà adottata anche da altri club.

Le tifoserie

A livello ultras gli italiani sono stati la stella polare per tutta l’Europa. Negli anni ’70 hanno fondato il movimento e negli anni ’80 lo hanno elevato al massimo splendore. Negli anni ’90 sono entrati i fascisti e le lame e a cavallo tra i due millenni pure i faccendieri, i quali si sono indebitamente appropriati delle curve attirati dalle grandi opportunità di fatturato derivanti dalla gestione del merchandising, delle trasferte, dei parcheggi esterni o dei bar interni. Alla costante erosione dei diritti da parte dello Stato (dai Daspo di gruppo a quelli preventivi, da quelli con firma fino alla Tessera del Tifoso passando per il divieto di trasferta e quello di espressione), il movimento, evidentemente già sfaldato, non ha saputo dare alcuna risposta efficace se non sterili slogan. Per noi anche l’attuale mancanza di calore e colore delle curve, dovuta alle sempre più rigide restrizioni in materia di organizzazione coreografica e vocale del tifo, è un aspetto della crisi del nostro calcio. Sui cosiddetti tifosi “normali”, quelli dei club, non vale neanche la pena spendere quattro parole vista la loro totale assenza dal dibattito.

La mancanza di progettualità

Nei momenti di maggior difficoltà tecnica ed economica, le idee possono e devono rappresentare la soluzione alternativa. Chi non ha cervello abbia gambe, dice un noto detto popolare. In Italia invece, oltre ai soldi, mancano le teste pensanti e, di conseguenza, idee e progettualità. Anziché investire sui settori giovanili, sulle giovani speranze e sul futuro, si cerca di limitare i danni nel presente. Si svendono i migliori giovani all’offerente straniero di turno (che dopo uno o due anni spesso raddoppiano, triplicano, quintuplicano il proprio valore di mercato) e con i pochi soldi ricavati si acquistano a parametro zero calciatori sul viale del tramonto. Quando i giovani non vengono venduti spesso non viene data loro fiducia. “Perché in Italia non si possono aspettare i giovani”, è uno dei ritornelli più gettonati. Un refrain che (forse) poteva andare bene fino a una decina di anni fa, quando l’Italia era l’ombelico calcistico del mondo, non certo ora. Chissà perché squadre come Barcellona, Arsenal o Liverpool, invece, i giovani li aspettano e li valorizzano. Mistero.

La classe dirigente

Così come la classe politica italiana, anche i vertici del calcio nostrano sono lo specchio della nostra società. Mentre altrove fanno progetti concreti e validi sull’inclusione e sull’antirazzismo, in Italia la Figc è comandata da un vecchio arnese che in campagna elettorale ha detto che i neri mangiano le banane. In un paese civile l’avrebbero preso a pedate e costretto alle dimissioni, qua invece due presidenti su tre lo hanno difeso perché aveva già promesso loro laute ricompense in cambio dell’appoggio elettorale. Ma se invece di chiamarsi Tavecchio e fare una battuta razzista si chiamava Rossi ed era politically correct, la sostanza sarebbe rimasta la stessa. Chi sta nei posti di potere della sesta industria italiana per fatturato non ci sta per merito ma grazie ad appoggi politici o imprenditoriali sempre nella logica del do ut des. Esattamente come in politica. Perché il calcio è politica.

Il merchandising

Mentre la Juventus, prima delle italiane come ricavi e nona assoluta in Europa, ha 38 milioni annui di introiti dal botteghino e 68 dalla vendita del merchandising, c’è chi, come l’Arsenal (8°) incassa 108 milioni dalle entrate allo stadio e chi come il Paris Saint Germain (5°) mette in cassa 255 milioni solo di merchandising (1). Le italiane tengono botta solo nella speciale classifica degli incassi per i diritti televisivi. Ma per quanto tempo sarà ancora appetibile un calcio e un campionato brutto e noioso come il nostro che impallidisce di fronte a campionati come la Liga, la Bundesliga o la Premier League? Ma la differenza la fa soprattutto il merchandising. Il Real Madrid, a soli 3 giorni dall’acquisto, aveva già ammortizzato i 65 milioni di euro spesi per acquistare il colombiano, rivelazione dello scorso mondiale, James Rodriguez? Come? In magliette. Certo, in Italia non abbiamo la cultura di andare allo stadio con la maglia della propria squadra ma è anche vero che manca la controprova: lo faremmo se il merchandising fosse appetibile, di qualità e avesse prezzi onesti?

NOTE

(1) I dati sono relativi alla stagione 2012/13.

Tito Sommartino, tratto da Senza Soste cartaceo n. 98 (novembre-dicembre 2014) 

fonte: senzasoste.it

 

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Culturedi redazioneTag correlati:

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Culture

Emilio Quadrelli, un comunista eretico contro la guerra

Non vi può essere alcun dubbio che tutto il percorso intellettuale e politico di Emilio Quadrelli, scomparso nel 2024, si situi interamente nella scia dell’eresia.

Immagine di copertina per il post
Culture

Le guerre del Nord e il futuro degli equilibri geopolitici ed economici mondiali

A ben guardare, però, lo scontro apertosi ormai da anni, per il controllo delle rotte artiche e delle materie prime custodite dal mare di ghiaccio che corrisponde al nome di Artico ricorda per più di un motivo la saga della corsa all’oro del Grande Nord che l’autore americano narrò oppure utilizzò come sfondo in molti dei suoi romanzi e racconti.

Immagine di copertina per il post
Culture

Imparare a lottare: la mia storia tra operaismo e femminismo

Torna disponibile in una nuova edizione ampliata, nella collana Femminismi di ombre corte,  L’arcano della riproduzione di Leopoldina Fortunati, uno dei testi di riferimento nella teoria femminista marxista italiana — e non solo.

Immagine di copertina per il post
Culture

Un’Anabasi post-sovietica. Storia del Gruppo Wagner

Gli uomini in mimetica camminano soli o a coppie dentro fitti banchi di nebbia, a malapena si intravedono i campi desolati attorno alla lingua di cemento.

Immagine di copertina per il post
Culture

Il primo vertice antiterrorismo internazionale – Roma 1898

Un evento spesso trascurato dalla storiografia italiana, anche da quella che si è occupata del movimento operaio e delle sue lotte, ma che obbliga a riflettere su una serie di nodi ancora tutti da sciogliere

Immagine di copertina per il post
Culture

Frankenstein, quel mostro nato dalle ombre oscure della guerra

Al mostro viene negato un nome e una individualità, esattamente come al proletariato

Immagine di copertina per il post
Culture

“No Comment”: i Kneecap tornano a colpire con Banksy

Dalla Belfast ribelle al cuore dell’establishment londinese, i Kneecap tornano a colpire.

Immagine di copertina per il post
Culture

Israele sull’orlo dell’abisso

Ilan Pappé, La fine di Israele. Il collasso del sionismo e la pace possibile in Palestina, Fazi Editore, Roma 2025, pp. 287

Immagine di copertina per il post
Culture

Se la Cina ha vinto

Se l’obiettivo di un titolo apodittico come “La Cina ha vinto” è convincere il lettore della validità della propria tesi, Alessandro Aresu vi riesce pienamente.

Immagine di copertina per il post
Culture

Mala tempora currunt

Don’t let this shakes go on,It’s time we have a break from itIt’s time we had some leaveWe’ve been livin’ in the flames,We’ve been eatin’ out our brainsOh, please, don’t let these shakes go on(Veteran of the Psychic Wars, 1981 –Testo: Michael Moorcock. Musica: Blue Oyster Cult) di Sandro Moiso, da Carmilla Che per l’Occidente […]

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Viva Askatasuna! Torino e la deindustrializzazione

Una volta chiamavano Torino la città dell’automobile.

Immagine di copertina per il post
Bisogni

Aska è di chi arriva. Chiedi del 47

In questo momento più del solito, ma non è un fenomeno specifico di questi giorni, sembra esserci una gara a mettere etichette su Aska e sulle persone che fanno parte di quella proposta organizzativa.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Sanzioni per lo sciopero generale del 3 ottobre: il governo Meloni prova a vendicarsi

La Commissione di Garanzia sulla legge 146 ha emesso la sua prima sentenza contro gli scioperi dello scorso autunno, facendo partire una prima pesante raffica di sanzioni contro l’agitazione che è stata proclamata senza rispettare i termini di preavviso a causa dell’attacco che stava subendo la Flotilla.

Immagine di copertina per il post
Crisi Climatica

Allevatori ed agricoltori di nuovo in protesta in Belgio e Francia.

Di seguito ripotiamo due articoli che analizzano le proteste degli agricoltori che in questi giorni sono tornate ad attraversare la Francia ed il Belgio.

Immagine di copertina per il post
Bisogni

Torino: “difendere l’Askatasuna per non far spegenere la scintilla di ribellione che Torino ha dentro”

“La grandissima manifestazione di risposta allo sgombero è stata la reazione di Torino che si è riversata nelle strade per difendere quella sua radice ribelle che non si vuole che venga cancellata.”

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

La violenza che non fa notizia

La violenza dello Stato: sgomberi, gas CS, idranti ad altezza persona e una narrazione mediatica che assolve chi colpisce e criminalizza chi resiste.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Ha vinto Kast e il Cile si aggiunge all’ondata di ultradestra

È il primo pinochetista a giungere a La Moneda in democrazia.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

È solo imperdonabile ignoranza?

Ecco che afferra l’immagine, la tira, la strappa, se ne impadronisce e con violenza la butta via, in modo che chi è fuori veda che si cancella tutto.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Torino città partigiana: Que viva Askatasuna! 

Ripubblichiamo il comunicato uscito dal centro sociale Askatasuna in merito alla giornata di lotta di ieri. Alleghiamo anche un video racconto della giornata.