La funzione Polverini e la marea
Lo scandalo è quello strumento di regolazione dei rapporti politici che è passato, viaggiando in varie epoche, dalla società di corte a quella delle reti. Non a caso Castells, in Comunicazione e potere, gli dedica un importante capitolo. Perchè lo scandalo è uno strumento potente di regolazione dei conflitti politici e di potere. E funziona senza sparare un colpo. Ma anche nella società di corte lo scoppio dello scandalo non coincideva con la cospirazione, ma avveniva entro fattori complessi di circolazione delle informazioni. Quindi questa profonda dissimetria tra cospirazione e scandalo, tra effetto della promozione sociale di chi esce vincitore da una vicenda scandalistica e cause della delegittimazione di un personaggio o di un ceto politico, vale tanto più nella nostra società mediale. Dove le fonti di informazione, e quindi di delegittimazione, sono ancora più complesse e spesso non facilmente governabili.
In questo contesto la vicenda Polverini va, putroppo, separata da quella del format narrativo di un ceto politico vorace, di cui l’ormai ex presidente del Lazio è espressione, che ha dato spettacolo di sé. Specie nel momento in cui si è voluto assicurare il passaggio di status rappresentato dalla transizione dal consumo regolare di porchetta a quello di ostriche, dal fine settimana in albergo a tre stelle alla settimana a spese della regione negli esclusivi resort sulla costa Smeralda. Si scrive purtroppo perchè la lettura di queste vicende in termini di commedia, che l’esangue cinema italiano non sa cavalcare, potrebbe rappresentare una divertente narrazione su ascesa e declino di un ceto politico a cavallo tra provincia e metropoli.
La questione va però vista in un altro modo specie quando sia i media ufficiali che la rete, sullo scandalo della regione Lazio, traboccano di particolari che sembrano usciti dai film di Luigi Zampa o di Sergio Corbucci. Quando c’è sovrapproduzione di questi particolari, si può guardare la vicenda con uno sguardo più direttamente politico. E qui è bene essere chiari: le dimissioni di Renata Polverini non mettono all’angolo un ceto politico anacronistico, con tanto di corte dei miracoli al seguito, che non aveva capito la fine di un’epoca. Ma mettono in seria difficoltà un processo di evoluzione in atto della destra mainstream italiana. Quello che è accaduto nel Lazio ci dà elementi per capire il futuro della destra in Italia, qualsiasi forma assuma (anche di centrosinistra), piuttosto che rappresentare la fine di un modo di fare politica. E’ il contenitore del Pdl infatti che è scomparso, non determinate esigenze della politica istituzionale. Esigenze che si concretizzano in un modo: il ceto politico istituzionale è, a parte alcune eccezioni, completamente funzionale ad una logica di tagli e di dismissioni. Consapevole dei costi politici di questo comportamento, come dire, emette conseguentemente fattura per questo genere di prestazioni.
E’ da notare infatti come l’abnorme rigonfiamento delle spese per la presidenza e i consiglieri della regione Lazio coincida con dei tagli stringenti e pesanti a sanità e welfare della stessa regione. E qui i fatti sono due, non necessariamente in alternativa: un ceto politico, consapevole della secca perdita di voti a causa dei tagli, si fa compensare in denaro oppure storna dei fondi per curare le clientele strategiche per farsi rieleggere. Per questo è utile parlare di “funzione Polverini”: accumulare fondi per sostenere una maggioranza che farà tagli feroci. Il tentativo di emancipazione della destra laziale, che ha abbandonato ogni velleità di essere realmente “sociale”, dalla crisi del berlusconismo si spiega con questa funzione. Non fosse che risse e comportamento plateale della destra istituzionale laziale l’hanno consegnata alla società dello spettacolo e quindi nelle braccia della politica dello scandalo.
Non è quindi un caso che già dall’alba della società industriale, gli stessi vescovi anglicani consigliassero sobrietà pubblica alle classi dirigenti che affamavano il popolo. L’ostentazione della ricchezza, o della lussuria come nel caso laziale, consegna infatti le classi dirigenti alla politica dello scandalo determinandone crisi, delegittimazione e disgregazione. Resta però un’esigenza delle classi dirigenti italiane, che quella laziale ha interpretato a modo suo: tagliare, tanto e a lungo, ha un costo politico e di immagine che in qualche modo va contabilizzato. La destra che riuscirà, anche in forma di centrosinistra, ad interpretare questo problema senza scottarsi si candiderà a governare il possibile prossimo decennio perduto della storia del nostro paese.
Resta però un dettaglio che, anche nei sistemi rappresentativi democratici più chiusi, tende a riproporsi a breve nel caso italiano. Lo spettacolo dello scandalo delle classi dirigenti ufficiali, la reiterazione dell’ostentazione della lussuria (spettacolo che rende la ricchezza massimamente impopolare), rendono piuttosto ardua la conferma elettorale dei partiti che attualmente sostengono il governo Monti. Non solo, si sta imponendo il desiderio, alle prossime elezioni, del voto “per punire” le attuali classi dirigenti. Insomma, la marea della cosidetta antipolitica se monta, nell’attuale situazione, può generare il caos scomponendo completamente la politica italiana. La politica dello scandalo, si sa, non solo moralizza e stabilizza le classi dirigenti ma può anche consegnarle alla delegittimazione permanente.
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