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L’artificiere con gli scheletri nell’armadio

Per giorni i quotidiani ci hanno raccontato di quest’uomo come di un puro servitore della patria, qualcuno con cui quasi doversi sentire in debito.

Ma chi era in realtà Mario Vece e com’è arrivato a fare proprio l’artificiere a Firenze?

Siamo nel 2001 e a quel tempo Mario Vece indossava i panni del poliziotto. Una sera davanti all’ingresso di una discoteca di Pistoia interviene la polizia a sedare un diverbio che si conclude con quattro ragazzi che vengono portati in Questura. Ad attenderli l’ispettore Paolo Pieri, il vice sovrintendente Stefano Rufino e ai tempi l’assistente Mario Vece.

I tre paladini della giustizia decidono di malmenare i quattro giovani poiché pensavano che fossero albanesi. Un motivo che chiaramente non è sufficiente per ritrovarsi con un timpano sfondato, il setto nasale incrinato e un testicolo tumefatto, oltre a contusioni, trauma cranici e lesioni varie. A confermare tale accaduto sono stati i referti medici dell’ospedale.

Così nel 2001 per Mario Vece e gli altri due colleghi sono partiti gli arresti domiciliari, accusati di lesioni gravi, falso e calunnie, perché falsificarono persino i verbali. Una vicenda che è terminata con un patteggiamento a 14 mesi proprio per Vece con annessa sospensione dal servizio.

Successivamente è stato trasferito a Montecatini, poi a Pisa e infine a Firenze con la divisa d’artificiere. Dopo i fatti dell’ordigno di capodanno, il Sindaco di Firenze aveva esordito con una dichiarazione caldamente a sostegno del povero artificiere ferito dicendo: “All’agente ferito va la mia solidarietà e dell’intera città”. Mentre 16 anni fa l’allora presidente della Regione Toscana Claudio Martini aveva dichiarato: “Se tra i giovani che hanno subito quel pestaggio non ci fosse stato il figlio di un sottosegretario l’episodio non sarebbe mai venuto a galla”.

Proprio così i tre mentecatti avevano picchiato e ferito proprio il figlio dell’allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Vannino Chiti.

Come possiamo osservare dietro Mario Vece si nascondono degli enormi scheletri. Pertanto più che tentare di far diventare degli eroi questi uomini in divisa, bisognerebbe utilizzare le stesse energie per ricordargli qual è il proprio posto e che la divisa non è sinonimo d’intoccabilità e che ogni tanto, se pur davvero di rado e solitamente quando di mezzo ci finisce un personaggio di rilevanza pubblica o qualcuno collegato ad esso, la verità viene a galla.

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