Lettera aperta alla madre di Rèmi
Nel momento in cui a Parigi si condannano le manifestazioni violente e si tessono gli elogi dei sit-in pacifici, le scrivo questa lettera.
Ho perso mio fratello in delle condizioni molto vicine a quelle in cui avete perso vostro figlio. Mio fratello che si prendeva cura così tanto di mia madre ci ha lasciato, non ritornerà mai più. La perdita di mio fratello è stata sul momento un dolore immenso che provo ancora ogni volta che lo Stato assassina di nuovo. “Là dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che ci salva”, diceva qualcuno. Ogni volta che lo Stato assassina abbiamo anche l’occasione di fermarlo, di obbligarlo a cambiare e a restituire la dignità perduta a tutti gli altri.
Nella morte di Rémi si intreccia molto di più che la storia d’una vita, si intreccia la vita di tutti noi, individualmente e collettivamente. La criminalizzazione che è stata effettuata è terribile, è successa la stessa cosa per noi. Ho capito dopo che era voluta. Non volevo che una sola cosa, che la Giustizia facesse luce e che, nella calma, renda a mio fratello la dignità che meritava e che questa storia faccia del bene a tutti, a noi governati per amarci meglio e alla polizia per riconciliarla con la nazione. Mi sbagliavo. I quartieri hanno bruciato, e abbiamo fatta degli appelli a restare calmi: ogni macchina o ogni cassonetto bruciato era vissuto come un insulto, come una spina nel cuore, una spina sulla quale si appoggiavano.
Poi il tempo è passato, ci hanno promesso la verità ma non abbiamo avuto che menzogne, che false promesse, come tanti altri prima di noi. Ci avevano avvertito, ma non ci avevamo creduto. François Hollande in persona aveva abbracciato mia madre e le aveva promesso che ci avrebbe aiutato a far luce sulla morte di suo figlio. Senza la giustizia e la verità, vivevamo il tempo che passava come una condanna. Eravamo sempre in prigione, a soffocare e a chiedere aiuto alla Giustizia.
Poi abbiamo capito che il nostro caso non era isolato, che tante famiglie vivevano e vivono la stessa cosa. Ci sono talmente tante umiliazioni e mutilazioni perpetrate coscientemente dalla polizia e coperte dalla giustizia, talmente tante!
Abbiamo anche scoperto che il modo di pensare dei poliziotti, fa venire i brividi. Ecco un esempio: mercoledì scorso, dopo la manifestazione a Parigi, uno dei poliziotti mi ha detto “1-0” davanti agli altri suoi colleghi del commissariato, che ridacchiavano vedendomi con la maglietta “Emergenza la nostra polizia uccide”. nessuno l’ha ripreso, nessuno. E di questo tipo molti francesi li vivono quotidianamente, non ne possono più di questa polizia e non ne vedono la fine.
Capisco l’appello alla calma, l’abbiamo fatto anche noi. Capisca anche però che numerose persone non credono più in questo sistema che concede de facto l’immunità alla polizia. Capisca che non si può concepire la non-violenza se coloro che ci sono davanti non sono capaci di rimettersi in discussione: gli è umanamente impossibile, perché pensano che rimettere in discussione la polizia, sarebbe rimettere in discussione lo Stato. Da 40 anni, la polizia uccide impunemente, a ripetizione. Da 40 anni assistiamo allo stesso approccio per insabbiare gli omicidi di Stato, nonostante i video, le testimonianze, le prove. Da 40 anni, ci sono sit-in, manifestazioni, libri, prese di posizione, tribune indirizzate al ministro dell’interno. Da 40 anni, tutto ciò non funziona.
Ecco cosa succede: agenzia dell’AFP (l’equivalente dell’ANSA NdR), menzogne del procuratore, inchiesta di cattiva qualità e parziale per arrivare a una condanna ridicola dopo numerosi anni, o addirittura un’assenza di condanna. La cosa peggiore, è che coloro che insabbiano il caso avranno delle promozioni e quelli che hanno ucciso i nostri fratelli, i nostri figli o i nostri amici, saranno trattati come dei paladini dai loro colleghi. Questa è la realtà che vivrete anche voi.
Manuel Valls (primo ministro francese NdR) dice che le violenze sono degli insulti alla memoria di Rémi, ma sappiate che Manuel Valls con la sua inazione a combattere l’impunità poliziesca, è il primo assassino di vostro figlio. È un criminale recidivo. Ê venuto a Clermont-Ferrand una settimana prima della contro-autopsia farsa di cui conosceva le conclusioni, e ha parlato del caso di mio fratello soltanto per condannare meglio le violenze di coloro che si rivoltavano davanti alla sua morte.
Signora, la gente si batte per Rémi, per la propria dignità e per i propri ideali. Si battano per voi, per tutti noi, perché la fratellanza sia effettiva. Coloro che si battono conoscono abbastanza bene le cattive intenzioni dei nostri governanti per comprendere che tentano di farci credere che siamo in uno Stato di diritto, quando invece siamo in uno Stato di dovere. Lo Stato non rispetta la legge che ci chiede di rispettare. Si prende gioco del nostro corpo, della nostra fiducia, dei nostri soldi e della nostra dignità. Ci chiedere di metterci in ginocchio, è un imperativo categorico.
Le ho scritto questa lettera, a lei come a tutti coloro che mi leggeranno, per farle sapere che capisco oggi più che mai quanto la non violenza nei casi di crimini di Stato ha i suoi limiti. La non-violenza, a causa della sua impotenza, è a volte più condannabile, più assassina della violenza stessa. La gente che ci governa è malevola, arrivista, sadica e recidiva. Devono andarsene via con tutti i mezzi necessari.
Farid El Yamni, fratello di Wissam El Yamni, assinato dalla polizia il primo gennaio 2012 a Clermont Ferrand.
traduzione a cura della redazione di Infoaut
Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.