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Lo stipendificio della Croce Rossa e la sua privatizzazione

I conti della CRI iniziano a essere paurosamente in rosso almeno dal 2004, commissari nominati dai governi di turno hanno fatto il resto, ennesimo caso di come molte volte la cura sia peggiore del male. Sostanzialmente il susseguirsi dei vari commissari, dall’era Berlusconi fino ai giorni nostri, ha fatto in modo che la musica non cambiasse. Tanto per dare l’idea, la Croce Rossa era arrivata a possedere persino 25 auto blu con due autisti per auto in servizio h24, a disposizione della dirigenza. Il commissario attuale è riuscito a spendere qualcosa in meno dei suoi predecessori, ma la musica rimane sempre la stessa.

Lo Stato, almeno fin dal 2005, ha continuato a puntellare la CRI con almeno 180 milioni di euro all’anno, cifra utilizzata solo per pagare gli stipendi di almeno 5 mila dipendenti, dislocati tra uffici e sedi centrali e provinciali. Un carrozzone che nel giro di dieci anni ha bruciato ben 1 miliardo di euro, se si conta che l’ultimo bilancio risale al 2004. Praticamente anche in questo caso la CRI era diventata l’ennesimo bancomat per i soliti: commissari, super dirigenti, consulenti esterni, ecc. ecc.

Un ente che nonostante tutte le sue ombre è stato la stampella anche per buona parte di quei servizi che il Servizio Sanitario nazionale non riusciva a garantire, vittima anch’esso di tagli e privatizzazioni che oggi più di ieri stanno riducendo un diritto inalienabile a un lusso per chi potrà permetterselo, una sanità all’americana.

5mila dipendenti ridotti a 4 mila sono state alcune delle sforbiciate dell’attuale commissario Francesco Rocca, anch’esso elemento di un sistema che vuole privatizzare tutto al grido di “Privato è bello, privato è meglio”. Come se un ente pubblico non possa far quadrare i conti allo stesso modo del privato. Chiaramente il tutto a spese dei cittadini/ne, salvando i veri colpevoli ai piani alti non solo della CRI ma anche del governo. Solo per il personale, dati della Corte dei Conti, si spendevano 208 milioni di euro nel 2005, cioè più della metà dell’intera spesa corrente dell’ente che vale poco meno di 400 milioni. Il risultato finanziario del 2010 ha avuto un negativo di ben 9 milioni di euro. Non è cambiato molto negli anni più recenti, dove in parte la spesa si è assestata intorno ai 208 milioni di euro nel 2011 e cosi via. Per le ambulanze, la benzina e tutto ciò che serve a far funzionare il servizio di assistenza si spendono mediamente 150 milioni di euro, mentre solo per il pagamento dell’esercito degli stipendiati se ne vanno almeno 200 milioni.

Il solito carrozzone ben oleato, anche da una parte di quel sindacalismo che oggi tenta di portare a casa qualche risultato con le giuste proteste di una parte del personale crocerossino, che subirà un taglio non da poco unito al ricatto di una privatizzazione che bussa alla porta con contratti di lavoro peggiorativi. La privatizzazione costerà lacrime e sangue, sia sulla pelle dei semplici cittadini che sui lavoratori e volontari. Perché se è vero che il male della CRI è sempre stata la testa, rimane anche vero che il corpo, quello che sul campo, nel bene o nel male assiste milioni di persone, non è da buttare via. Anzi il personale sanitario in esubero (1500/2000 dipendenti) potrebbe essere impiegato altrove, magari nel Servizio Sanitario Nazionale, oggi sempre più in carenza di organico e finanziamenti.

Se da un lato il salasso per i lavoratori e lavoratrici è tutto in divenire, per i volontari il discorso è diverso, peggiore semmai. Turni di lavoro massacranti a spese non solo del soccorritore ma anche del cittadino, con conseguente calo di sicurezza per entrambi.

Il pericolo di questa privatizzazione sarà l’effetto domino che essa creerà all’interno dell’ambito d’intervento che alla CRI è stato dato: i servizi ai cittadini. Il passaggio da pubblico a privato è già in atto, l’inizio è datato 2012, molte onlus e cooperative da quel momento stanno occupando il posto della CRI lungo tutta la penisola, un mercato ricco di opportunità. A rischio sono anche i semplici servizi come ambulanze, servizio emergenza 118, prestazioni d’assistenza, così come i presidi sanitari lungo tutto la penisola. La chiusura e la privatizzazione da questo punto di vista saranno la nuova “emergenza sanitaria” scatenata dal governo a spese della salute di tutti e tutti. Com’è accaduto ad esempio per il Centro educazione motoria di Roma (gestito dalla Cri e finanziato, cumulando ritardi su ritardi, dalla Regione Lazio), che ha già licenziato 25 persone. Oggi si lavora con un organico ridotto per offrire il delicato servizio della riabilitazione motoria ai diversamente abili.

Purtroppo anche i già citati CIE sono i primi della lista. Sempre a Roma, una struttura gestita fino al 2014 dalla Croce Rossa al costo di 60 euro a persona, è stata ceduta ad un consorzio italo-francese dall’anno successivo, grazie alla solita gara al massimo ribasso. L’appalto del servizio è stato vinto al prezzo di 28,8 euro pro-capite. La cifra però non copre il costo per il personale finora impiegato. Di conseguenza la forza lavoro è stata più che dimezzata, per non parlare delle condizioni di chi è detenuto in queste strutture.

Giri d’affari milionari che hanno saputo dare prova di come politica e malavita possano andare a braccetto sotto la luce del “sole”, Mafia Capitale ne è l’ultimo esempio.

In conclusione la Croce Rossa Italiana è riuscita a essere quello che la politica ha sempre voluto: un carrozzone che nella sua attività ha potuto sostenere da una parte le mancanze di un Servizio Sanitario Nazionale sempre più assente, e dall’altro uno stipendificio per i soliti noti. La via migliore sarebbe la riappropriazione della validità delle maestranze all’interno della CRI: medici, infermieri, autisti e operatori sui mezzi di soccorso, avrebbero sicuramente un bel da fare all’interno della Sanità pubblica.

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