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M5Sicurezza. La concordia istituzionale nell’affanno del movimento

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Da alcuni giorni sulle prime pagine dei giornali si rincorrono i commenti e i botta e risposta sulle recenti dichiarazioni del Movimento 5 Stelle in materia di sicurezza e immigrazione. Alle parole della sindaca romana Virginia Raggi, che in una lettera indirizzata al prefetto Paola Basilone chiedeva di fermare l’arrivo di migranti nella capitale, sono seguite a stretto giro quelle pubblicate sul blog di Beppe Grillo a firma del M5S, con un articolo che si scagliava contro i campi rom in un’accozzaglia di stereotipi e frasi fatte attinti direttamente dall’armamentario retorico più beceramente razzista che da anni viene sbraitato su questo tema. Arriva poi il ponziopilatismo sullo ius soli, una legge di puro buon senso a meno che non si consideri che i figli degli immigrati siano biologicamente diversi e la comunità nazionale una famiglia di sangue e suolo.
Anche se queste esternazioni hanno creato qualche malumore interno ai 5stelle e qualche voce critica si è levata, l’affondo su immigrazione e sicurezza testimonia un pensiero che già da tempo ribolle tra una parte dei pentastellati. Ci interessa ragionare sul tempismo di queste uscite: le dichiarazioni della Raggi e gli sproloqui sui campi rom arrivano infatti all’indomani delle ultime amministrative, nelle quali il M5S ha registrato un po’ ovunque grosse perdite, uscendo malconcio da molti comuni italiani (anche quelli in cui aveva vinto solo un anno fa). È facile quindi leggere nelle esternazioni citate un malcelato tentativo di recuperare terreno sul fronte del consenso, solleticando la pancia degli elettori su un tema “caldo” come quello della sicurezza. I 5Stelle si lanciano così nel calderone sicuritario che da mesi viene rigirato e riproposto a seconda delle convenienze da tutte le forze politiche. Non fanno eccezione in questo senso le repliche pelose di PD e sinistroidi vari alle dichiarazioni di Raggi e Grillo, con teatrali reazioni di indignazione alla mormorata possibilità di un’alleanza tra 5Stelle e Lega Nord in vista delle elezioni: lo stesso PD che ha blindato e convertito in legge il decreto Orlando-Minniti ora si scandalizza e si dissocia dal razzismo più esplicito e baraccone di pentastellati e leghisti. Da una parte come dall’altra, tutto si gioca su un piano squisitamente elettorale, che a seconda delle convenienze soffia sul fuoco di una percezione di paura e insicurezza continuamente rinsaldata tramite i media, per spostare qualche punto di consenso da una parte all’altra. La solita confusione tra centro e centralità che farà la rovina dei grillini.

Ma c’è dell’altro. Al di là della meschinità delle posizioni del m5s, vediamo qui i segni ormai avanzati di un movimento in affanno, sempre più schiacciato sulle dinamiche della vecchia politica e della sua agenda. Invece di uscire dal quadro, il m5s sembra essere sempre più in cerca di un posto all’interno della cornice democratica. Problema è che l’unica cosa che ha permesso la folgorante crescita del movimento di Grillo è stata proprio la negazione della  legittimità del perimetro di quella cornice.  La potenza che ha reso possibile l’ascesa dei pentastellati stava infatti nella dimensione ecumenica del movimento, costruita sull’opposizione trasversale al sistema istituzionale, incarnato efficacemente nell’immaginario grillino dalla “casta”. Attraverso una retorica iperdemocratica mediata idealmente dalla rete, la sola idea che ha fatto la forza del movimento 5 stelle è stato quella negare il gioco delle parti del dialogo democratico. Da qui l’orrore, soprattutto a sinistra, per un progetto percepito come totalitario perché costruito sulla volontà di non confrontarsi con altri soggetti partitici e con i corpi intermedi – percepiti a giusto titolo come parassitari e delinquenziali da larga parte della popolazione – quindi di rifiutare la dialettica democratica e i suoi strumenti, anche comunicativi. L’ostinato rifiuto di andare in TV che ha caratterizzato il M5S degli albori non rappresentava tanto la distanza del medium televisivo quanto il rifiuto di ogni spazio di dialogo possibile con dei membri di partito considerati come una banda di delinquenti.  Le stesse proposte della prima ora – per quanto ingenue o semplicistiche – rappresentavano delle misure non integrabili in quello stesso quadro istituzionale, dalle utopie/distopie cibernetiche al reddito di cittadinanza a una certa declinazione di alcuni temi ecologisti. Ci troviamo oggi, invece, davanti al tentativo di accreditarsi non soltanto verso un’opinione mediana ma verso  la dimensione istituzionale nella sua interezza.

È in questo contesto che si inseriscono anche una serie di provvedimenti e ordinanze sul piano locale nei “laboratori a 5 stelle”, non ultima quella “anti-movida” approvata dalla sindaca Appendino a Torino: travolta dal fuoco incrociato di accuse per la disastrosa gestione della tragedia di piazza San Carlo, l’amministrazione torinese invece di scaricarle sui responsabili diretti della gestione criminale di quella serata (parliamo ovviamente del Questore), butta fumo negli occhi approvando in fretta e furia un provvedimento che era da tempo nell’aria e che strizza l’occhio a commercianti e residenti senza – di fatto – risolvere nulla dei problemi che affliggono molti quartieri della città. Poco importa, però. Ciò che importa è gettarsi nella corsa a una presunta maggiore sicurezza, che nei fatti significa solo una sempre più soffocante militarizzazione e regolamentazione dello spazio pubblico, con tutte le conseguenze di controlli a tappeto, intimidazioni e aggressioni da parte delle forze dell’ordine.
Non è un caso che proprio a Torino siano esplosi a distanza di pochi giorni diversi episodi di violenza e abusi da parte di squadracce in divisa che mostrano la parte più muscolare e feroce di questo delirio. Dopo la vicenda denunciata da Maya, giovane compagna di 19 anni sequestrata per ore e picchiata in caserma dalla polizia, ieri sempre a Torino, presso il mercato di Porta Palazzo, un inseguimento tra i banchi ha portato un ragazzo senegalese di soli 17 anni, presunto spacciatore, ad essere picchiato a sangue dalla polizia. Le testimonianze raccolte sul luogo riportano che durante l’inseguimento la polizia l’ha preso e nella colluttazione l’ha sbattuto contro un banco di ferro del mercato; manganellato alla testa, il giovane è svenuto e caduto in terra, ammanettato e ancora preso a pugni dagli agenti. La tragica e violenta situazione si è interrotta solo quando la gente ha cominciato ad avvicinarsi, urlando alla polizia di fermarsi. Le immagini di un passante che si trovava sul posto, mostrano il giovane riverso e ammanettato in una pozza di sangue, con il poliziotto sopra di lui come a volerlo immobilizzare, quando di fatto il giovane era già stato ammanettato e incapace di muoversi.

La “sicurezza” sembra rappresentare proprio il terreno principe di questa ritrovata concordia istituzionale di tutto l’arco parlamentare, con il decreto Minniti-Orlando a fare da cerniera tra il governo e i sindaci, compresi quelli pentestallati che ne stanno facendo largo uso. Dopo la repressione dei militanti politici vista all’opera nelle ultime tornate di vertici e contro-vertici, il decreto Minniti comincia insomma ad avere i suoi effetti tangibili in una dimensione sociale più ampia aprendo quindi possibili spazi di un’opposizione che vada al di là dei circuiti militanti.

In questo stesso contesto vediamo nascere qualche prima reazione: ieri una partecipatissima assemblea all’Università di Torino, chiamata per rispondere alla vicenda subìta da Maya, si è trasformata in un piccolo corteo che ha attraversato e bloccato le vie del centro torinese denunciando gli abusi delle forze dell’ordine al grido di “Polizia dappertutto, sicurezza da nessuna parte: Se Toccano Una Toccano Tutte” e nuove iniziative di solidarietà con Maya sono previste per i prossimi giorni. Martedì sera un gruppo di volanti della polizia che nella frequentatissima piazza Santa Giulia stava identificando e minacciando alcuni ragazzi che bevevano una birra fuori dagli orari stabiliti dall’ordinanza anti-movida è stata costretta ad allontanarsi dalla reazione di un gruppo di giovani che hanno assistito alla scena. Piccoli episodi che però ci ricordano che opporsi al tentativo di fare delle nostre città dei deserti sociali governati dalla paura significa reagire ricostruendo dal basso coesione e solidarietà.

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