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Minuti di silenzio in un mare di ipocrisia

Più volte, anche dalle pagine del nostro portale, si è sostenuto come il calcio fosse lo specchio di questa nostra società contemporanea e non inizieremo certo oggi a fare abiura di quello che costituisce uno dei topoi fondanti del nostro progetto editoriale. Tuttavia, a volte ci si ritrova di fronte a degli specchi deformanti, oppure per parafrasare una celebre canzone dei “Senza Sicura” degli specchi che non vedono. Sarebbe difficile spiegare diversamente questa nuova, ennesima, ondata di sdegno dell’opinione pubblica, sportiva e non, che caratterizza quello che è sia il day after che la vigilia di una giornata di campionato… Frutti avvelenati di un calcio moderno, in cui non solo non basta la morte di uno spettatore a interrompere una partita, ma che manda addirittura i suoi corifei a scagliarsi contro chi, in questo a Perugia durante il derby (quindi tutt’altro che una partita qualsiasi per entrambe le piazze), per rispetto della vita umana fa cessare il proprio sostegno sugli spalti e l’agonismo in campo per ben tre minuti (!!!), tanti ne mancavano al novantesimo.

           

Così noi, a differenza delle così dette grandi e dotte firme del settore, non ci meravigliamo dei fischi durante il minuto di silenzio in ricordo di Carlo Azeglio Ciampi, verificatisi in vari campi, da Livorno a Udine, da Torino a La Spezia e molti altri ancora. Certo, per onestà intellettuale, ci è difficile sostenere che tutti i contestatori delle varie curve d’Italia sapessero chi rappresentava Ciampi, al di là dei titoli istituzionali, di quanto, rappresentando tutti i limiti dell’ideologia azionista (unico partito di cui ebbe la tessera) fosse responsabile, se non propriamente artefice, dell’ingresso dell’Italia nella zona Euro, della guerra finanziaria persa con Soros, di come bruciò un terzo delle riserve valutarie della Banca d’Italia, della privatizzazione di imprese statali come ad esempio le Poste. Molto più semplicemente quei fischi testimoniano come ancora, nonostante tutti i tentativi di normalizzazione a colpi di repressione e di compromessi sottobanco, le curve restino un territorio ingovernabile. Quei fischi rappresentano l’ostilità verso il potere, perché probabilmente se fosse morta una qualsiasi altra personalità ai suoi antipodi avrebbe ricevuto un trattamento analogo, e verso l’imposizione dall’alto del dolore pubblico, a maggior ragione in un weekend in cui a distanza di poche ore si sono verificate tre morti sul lavoro (di cui, almeno per una, quella di Piacenza si DEVE parlare di omicidio a tutti gli effetti!), ennesimo tributo di sangue di quella che è a tutti gli effetti una guerra contro i poveri condotta dalle classi dominanti.

Tre vite spezzate, ma che fino a quel momento, non abbiamo difficoltà a immaginare molto più vicine per condizioni materiali a quelle di chi assiepa i gradoni delle varie curve rispetto a quelle dell’ex Presidente della Repubblica e dei commentatori che con ogni probabilità non avranno mai fatto un giorno di lavoro manuale in vita loro e forse proprio per questo hanno i sensi ben allenati e riposati per udire ululati razzisti in ogni dove per poi scandalizzarsi pubblicamente (mentre ci piacerebbe tanto vederli praticare antirazzismo durante la vita quotidiana), in nome di quella morale, doppia, come i doppi petto da cui escono le ipocrisie che siamo costretti a leggere ogni giorno. Intendiamoci, il trattamento riservato ad Asamoah durante Inter-Juventus, non è giustificabile e non inizieremo a farlo di certo noi che quotidianamente combattiamo ogni forma di discriminazione nei più svariati contesti, ma quello che ci domandiamo è con quale coraggio ci si può lamentare del razzismo negli stadi, se è tutta la nostra società a esserne imperniata in tutti i suoi gangli? Com’è possibile che si parli e di conseguenza ci tocchi leggere più dei fischi ad Asamoah, che dell’assassinio di Abd El Salam, morto per aver difeso i diritti non solo suoi, ma di tutta una categoria di lavoratori che lottano per non diventare schiavi, quelli della logistica che negli ultimi anni sta conducendo una delle battaglie più importanti all’interno del mondo del lavoro anche grazie alla partecipazione attiva e determinata di tanti migranti (vallo a spiegare a chi ottusamente sostiene ancora che gli immigrati ci rubano il lavoro e contribuiscono a farci abbassare i salari…).

Il canovaccio sembra restare sempre lo stesso: indicare le curve, indipendentemente dalle contraddizioni che pur hanno al loro interno, come la panacea di tutti i mali di una società altrimenti sana e civile, una sorta di buco nero in cui fare confluire tutte le negatività, il tappeto sotto cui nascondere la polvere e a tal proposito è illuminante il trattamento agghiacciante di sabato riservato agli ultras pisani, al netto delle montature giornalistiche, che getta anche non poche inquietudini sull’evoluzione della gestione dell’ordine pubblico a tutti i livelli, in una stagione che ancora deve cominciare, ma che già si preannuncia calda. A loro e a chiunque si pone di traverso sulla strada, che si vorrebbe trionfale, della pacificazione sociale, va la nostra incondizionata solidarietà e l’invito a non mollare per riscaldare l’autunno nelle curve e nelle piazze!

Giuseppe Ranieri

da: sportpopolare.it

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