Prima i russi!
L’inchiesta sui fondi russi alla Lega “scuote” il teatrino della politica. In realtà, c’è poco di sconvolgente.
Che il “Capitano” fosse in ottimi rapporti con Putin è cosa nota. Così come nota è la strategia del presidente russo di influenzare la politica internazionale, in particolare quella europea e statunitense, a suon di mazzette e finanziamenti.
L’internazionale “sovranista” è ben poco sovranamente a libro paga di Russia Unita da anni. Sono noti i viaggi della Le Pen a Mosca, così come le attività di quel sottobosco di associazioni di “amicizia” con la Russia, stile quella guidata da Savoini. Attraverso le quali si delineano rapporti politici ben più profondi, talvolta con esiti relativi anche a teatri bellici.
Nemmeno il mistero del “perché proprio ora” è davvero un mistero. A dispetto della narrazione isolazionista ed unilateralista che se ne fa, tanto più nel quadro di un contesto europeo fortemente avverso al governo gialloverde, Washington resta, più che un punto di riferimento, un decisore strategico e di ultima istanza negli orientamenti della politica estera italiana.
A prescindere dalle amministrazioni in carica alla Casa Bianca, dopo una provocazione come quella della visita in pompa magna di Putin a Roma, non è strano l’arrivo dagli States (e da un portale vicino alla corrente moderata Dem) l’amplificazione di un’inchiesta finora confinata nella bolla di (e)lettorato del gruppo l’Espresso.
Nessuna dietrologia o complottismo: solo un promemoria dei rapporti di forza esistenti, se si pensa che Salvini non è riuscito nemmeno una volta ad incontrare Trump né dentro né fuori dalle stanze dei bottoni. E in politica queste cose contano.
Il famoso video che ha portato qualche settimana fa alle dimissioni del vicepremier austriaco mostra d’altra parte il livello a cui è in grado di arrivare Mosca quando trova di fronte politici compiacenti. Lo stesso ruolo dell’ENI nella vicenda mostra come le porte girevoli tra governi e imprese siano tuttora ben oliate, e i grandi manager reclamino voracemente la propria fetta di mazzette per spianare la strada alle malversazioni politiche – come appunto nelle migliori tradizioni russe dei petrolieri della Rosneft.
Ed è questo il vero punto della questione. Non tanto la corruzione, presenti a tutti i livelli e in tutti i contesti, democratici, autoritari, semiautoritari e chi più ne ha più ne metta. La corruzione domina incontrastata dal giorno uno in cui la politica si è fatta rappresentanza di interessi particolari, è la sua essenza, il suo principio organizzativo.
Piuttosto, da sottolineare è la rottura dell’immagine dell’uomo che va dritto contro tutti per il bene del paese. Al massimo, Salvini fa il suo bene, quello delle sue tasche. Come ogni politico del Palazzo, è un ladro e un corrotto, che dopo aver rubato 49 milioni cerca di accaparrarsene altri in tutti i modi. E’ leader un partito che non ha alcun problema a declinare il suo “Prima gli italiani” in “Prima i russi”, o in qualunque altro “Prima”! Perchè il vero “Prima!” che gli interessa è quello relativo alle sue tasche.
Con questo caso politico ci troviamo alla rappresentazione plastica di un partito, e di un leader, che sbandierano un nazionalismo di facciata per poi piegarsi alle esigenze di potenze internazionali più forti. Tacciando nel frattempo gli avversari come anti-italiani, e non ci sarebbe nulla di male quando l’Italia in questione è quella dei soprusi e dello sfruttamento legalizzati, del razzismo e del sessismo, della distruzione dei territori e dell’ambiente in nome delle grandi opere..
Ma sarebbe il Sommo Poeta stesso, infangato dalla recente performance di alcuni esponenti leghisti toscani, a metterlo in uno dei gironi più infamanti dell’Inferno: quello dei traditori della (sua) patria, della quale si riempie tanto la bocca. Altro che cuore immacolato di Maria…
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