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Rayo Vallecano: cuore e orgoglio di Madrid

Per spiegare cosa rappresenti il Rayo Vallecano per la sua gente, bisogna partire da un gol. Un gol che fa capire ogni cosa. E’ il 13 maggio del 2012, ultima giornata della Liga 2011/12. Il Campo de Fútbol de Vallecas , stracolmo fino all’ultimo posto, sta trattenendo il fiato per i suoi beniamini. Il Rayo ha bisogno dei tre punti per salvarsi, e si sta giocando le sue ultime carte contro il  Granada, ma l’incontro è fermo sullo zero a zero, e il cronometro sta pericolosamente trascinandosi verso i suoi ultimi battiti.

Nei minuti di recupero, c’è un corner per il Rayo. Salgono tutti in area di rigore, compreso l’estremo difensore Cobeño. Non c’è più niente da perdere. La difesa del Granada allontana il pallone, il Rayo ritorna in possesso di palla e la ributta in mezzo. Michu si avventa sul pallone e colpisce a botta sicura, ma il pallone impatta sulla traversa. La sfera però rimane lì, e Raul Tamudo se la trova sulla testa. La deve solo accarezzare e spingere in porta. E’ un attimo, e tutto il Campo de Fútbol de Vallecas trattiene il fiato ancora una volta, va in apnea. Tamudo spinge il pallone in rete, e non si capisce più niente. La gente del Rayo si abbraccia, esplode, piange di gioia. Tamudo si toglie la maglia, in campo entrano a centinaia, anche se la partita non è finita ancora. Ma quel gol all’ultimo respiro significa salvezza. Significa ancora un giro tra i grandi del calcio di Spagna. Significa Rayo Vallecano in tutto e per tutto. Si, perchè tifare Rayo Vallecano, a Madrid, significa una sola cosa: saper soffrire.

Perchè c’è modo e modo di vivere il calcio a Madrid. Potete scegliere di andare al Santiago Bernabeu, ad ammirare i campioni. Potete andare al Vicente Calderon, e gustarvi lo spettacolo dei Colchoneros di Diego Pablo Simeone. E poi potete entrare al Campo de Fútbol de Vallecas. Accomodarvi su una delle due tribune laterali, o se siete fortunati, dietro la porta, nella curva che ospita i Bukaneros. E guardare dritto davanti a voi, per leggere la scritta che sovrasta il muro posto dietro l’altra porta, dove tribune non ce ne sono: juntos podemos. Già, perchè da quelle parti, nel barrio di Vallecas, nel cuore operaio di Madrid, conoscono solo un modo per fare le cose: insieme, aiutandosi l’uno con l’altro.

Una maglia bianca con una striscia diagonale rossa, una banda izquierda, uguale a quella del River Plate. Un’ape disegnata sopra. Perchè il Rayo ha la fama di ammazzagrandi, da quando nel 1978 si guadagnò la prima promozione nel massimo campionato spagnolo: erano i “matagigantes“. Un fulmine nel simbolo. Così si presenta sul campo il Rayo, ma nel cuore della gente del suo quartiere è molto di più. Vallecas è il quartiere operaio di Madrid, e anche quello con il reddito medio più basso. La disoccupazione è all’ordine del giorno, e, purtroppo, anche qualche ordinaria storia di droga. E quando cresci in un contesto del genere, ti abitui ben presto a sudare, a soffrire e a lottare.

E, molto probabilmente, sudare, soffrire e lottare ti piace parecchio. E’ così che nascono intere generazioni di tifosi del Rayo, e sono questi i valori che vogliono vedere in campo allo Stadio Teresa Rivero (Anzi no, non si chiama più così: d’altronde non c’è più la signora Teresa Rivero, che, da numero uno del club, aveva ben pensato di intitolarsi lo stadio…) Perchè per essere la terza squadra di Madrid, per convivere con l’ombra di Real e Atletico, ci vuole tanta forza di volontà, tanta determinazione, e soprattutto tanto orgoglio identitario.

Il Rayo Vallecano è un po’ come un vaso di coccio in mezzo a dei vasi di ferro a Madrid. Eppure, la sua gente lotta con tutto il cuore. E fa niente se gli altri due cugini si contendono la Coppa dei Campioni in un derby continentale. Ai 14.000 che entrano allo stadio a Vallecas basta solo una cosa: che chi scende in campo ci metta il cuore e lo lasci sul campo. Il cuore della gente di Vallecas. Non è un caso se da queste parti sia passato uno come Diego Costa.

Lo stadio del Rayo è un giardino, se paragonato al Santiago Bernabeu o al Vicente Calderon. Eppure, ognuno dei 14.000 che mette piede a Vallecas, si sente a casa. Si sente in famiglia. Qualcuno, a casa, ci si sente per davvero: i pochi fortunati che abitano nella palazzina che sovrasta il lato dello stadio non munito di tribuna, quello del muraglione che, oggi, ospita la scritta Juntos Podemos. Nella curva, dall’altra parte, ci sono i Bukaneros, una delle tifoserie più particolari d’Europa. Prendono il nome dalla tipica battaglia navale tenuta ogni anno nel quartiere di Vallecas, durante la Fiesta del Carmen, e sono una delle tifoserie più a sinistra del panorama calcistico internazionale. Antifascisti e contro il calcio moderno, sono un semplice prolungamento dell’anima del quartiere. Una naturale prosecuzione di quello che succede ogni giorno a Vallecas.

Essere il Rayo, a Madrid, non è facile. Ma deve essere bellissimo, perchè i milioni del Real o e dell’Atletico, loro, non li hanno. Ma hanno l’orgoglio, quello vero. Un particolare che, anche nel calcio moderno, può contare ancora di più, può far vincere le partite e decidere i campionati. Non saranno coppe, non saranno titoli. Ma a Vallecas, una salvezza vale più di ogni altra cosa. A Vallecas una salvezza vale l’orgoglio di un popolo intero.

Valerio Nicastro

da Delinquenti prestati al mondo del pallone

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