InfoAut
Immagine di copertina per il post

Rio 2016: un gesto vale più di tante medaglie

Arriva secondo alla maratona maschile e alza le braccia al cielo, non in segno di vittoria, ma in solidarietà al suo popolo, gli Oromo, e per denunciare il regime oppressivo condotto dal governo etiope che asseconda le operazioni di land-grabbing delle multinazionali
estere, calpestando la libertà di chi da sempre abita le terre colpite dall’implacabile processo di cementificazione.
Questa la protesta di Feyisa Lilesa, che ha incrociato le braccia anche nel corso della cerimonia di premiazione mimando il gesto delle manette, per sottolineare le condizioni di prigionia in cui verte il suo popolo.

Questa l’immagine che va ricordata di un’olimpiade che fino a questo momento si era contraddistinta per gli atti di violenza mossi ai danni di quelle tribù indigene considerate scomode dal governo brasiliano, la cui presenza intralciava la realizzazione delle arene
necessarie per lo svolgimento della manifestazione sportiva, e le opere di rastrellamento condotte nelle favelas che hanno portato all’esproprio forzato di numerose persone, il tutto funzionale ad offrire ai turisti un’immagine maggiormente “pulita” del paese, esattamente come accadde per il mondiale di calcio del 2014.
Il gesto di Feyisa rappresenta una goccia di speranza che con fatica si distacca da quell’oceano capitalista e consumista che ormai ha sommerso anche queste manifestazioni sportive, contraddistinte da speculazioni e sponsorizzate da multinazionali i cui crimini si allineano a quelli denunciati dall’atleta etiope attraverso la sua protesta.

Il governo etiope sta uccidendo il popolo Oromo, si sta prendendo le sue terre e le sue risorse, io sono Oromo e ne supporto la protesta. Il governo etiope sta uccidendo la mia gente, i miei parenti sono in prigione e se parlano di diritti democratici vengono uccisi.
Ho alzato le mani per supportare la protesta Oromo.

Negli ultimi nove mesi sono circa mille le persone appartenenti al popolo Oromo assassinate nel corso delle proteste antigovernative che hanno visto il loro apice tra il 6 e il 7 agosto scorsi, quando in soli due giorni altri/e cento etiopi sono stati uccisi.
Le proteste hanno avuto origine nel novembre del 2015 al seguito della decisione del governo etiope di implementare il Integrated Development Master Plan, un progetto di urbanizzazione e industrializzazione che avrebbe colpito la regione di Oromia, segnando
l’esproprio dei terreni agricoli presenti sull’area interessata e il conseguente allontanamento di molti/e Oromo.
L’abbandono, almeno momentaneo di questo progetto, non ha segnato però la fine delle proteste che proseguono chiedendo la liberazione dei prigionieri politici, e denunciando le violazioni dei diritti civili patiti dal popolo etiope anche in relazioni ad altre opere.
Un panorama di sfruttamento nel quale rientra anche l’Italia che, rappresentata dalla ditta Salini-Impregilo, contribuisce alla cementificazione di queste terre attraverso la costruzione di dighe idroelettriche.
Dopo la costruzione della Gibe III, diga costruita nella valle dell’Omo allo scopo di produrre energia elettrica e irrigare le monocolture di canna da zucchero a discapito della libertà di circa 500 mila persone, tra cui 200 mila indigeni privati così delle principali forma di
sostentamento, Salini-Impregilo si è recentemente aggiudicata anche la costruzione del progetto Grand Ethiopian Renaissance Dam.
Un progetto che segnerà la nascita della più grande diga d’Africa, con un bacino che darà origine ad un lago di 1874 chilometri quadrati, e che oltre a contribuire alla colonizzazione delle terre etiopi, mette a rischio la sopravvivenza delle specie animali che popolano le zone interessate: i leoni sono già diventati assidui visitatori dei cantieri.
Le vicende etiopi sono le stesse che si consumano in molte parti della Terra, quelle maggiormente ambite dalle multinazionali e che spesso non salgono agli onori delle cronache, abilmente mascherate dalle stesse ditte che promuovono i progetti o, peggio ancora, ignorate da quell’espressione di società territorializzata che ritiene rilevanti solo i problemi che colpiscono da vicino.
Per queste ragioni il gesto di Feyisa Lilesa deve continuare a rimbombare in tutto il mondo come un costante appello alla solidarietà terrestre, perché nessuna vittima di sfruttamento deve essere trascurata, perché ogni forma di sfruttamento ambientale, animale o sociale
può e deve essere combattuto a prescindere da dove esso sia consumato.

da: earthriot.altervista.org

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Culturedi redazioneTag correlati:

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Culture

Un’Anabasi post-sovietica. Storia del Gruppo Wagner

Gli uomini in mimetica camminano soli o a coppie dentro fitti banchi di nebbia, a malapena si intravedono i campi desolati attorno alla lingua di cemento.

Immagine di copertina per il post
Culture

Il primo vertice antiterrorismo internazionale – Roma 1898

Un evento spesso trascurato dalla storiografia italiana, anche da quella che si è occupata del movimento operaio e delle sue lotte, ma che obbliga a riflettere su una serie di nodi ancora tutti da sciogliere

Immagine di copertina per il post
Culture

Frankenstein, quel mostro nato dalle ombre oscure della guerra

Al mostro viene negato un nome e una individualità, esattamente come al proletariato

Immagine di copertina per il post
Culture

“No Comment”: i Kneecap tornano a colpire con Banksy

Dalla Belfast ribelle al cuore dell’establishment londinese, i Kneecap tornano a colpire.

Immagine di copertina per il post
Culture

Israele sull’orlo dell’abisso

Ilan Pappé, La fine di Israele. Il collasso del sionismo e la pace possibile in Palestina, Fazi Editore, Roma 2025, pp. 287

Immagine di copertina per il post
Culture

Se la Cina ha vinto

Se l’obiettivo di un titolo apodittico come “La Cina ha vinto” è convincere il lettore della validità della propria tesi, Alessandro Aresu vi riesce pienamente.

Immagine di copertina per il post
Culture

Mala tempora currunt

Don’t let this shakes go on,It’s time we have a break from itIt’s time we had some leaveWe’ve been livin’ in the flames,We’ve been eatin’ out our brainsOh, please, don’t let these shakes go on(Veteran of the Psychic Wars, 1981 –Testo: Michael Moorcock. Musica: Blue Oyster Cult) di Sandro Moiso, da Carmilla Che per l’Occidente […]

Immagine di copertina per il post
Culture

Bolivia in fiamme: dentro un ecocidio latinoamericano

Bolivia Burning: Inside a Latin American Ecocide è un documentario di 52 minuti di The Gecko Project che porta gli spettatori all’interno di una delle crisi ambientali più sottovalutate al mondo: la rapida distruzione delle foreste in Bolivia.

Immagine di copertina per il post
Culture

Scolpire il tempo, seminare il vento, creare antagonismo

Siamo la natura che si ribella!, ammonisce con efficace sintesi uno striscione no-tav esprimendo un radicale antagonismo nei confronti del mortifero sfruttamento capitalista patito dall’essere umano e dalla natura, di cui è parte.

Immagine di copertina per il post
Culture

Al mio popolo

Lo scorso 25 settembre è deceduta a Cuba Assata Shakur, importante membro delle Pantere Nere prima, della Black Liberation Army poi.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Armi e appalti: l’Italia mantiene aperto il canale con l’industria militare israeliana

Nonostante la campagna di sterminio contro la popolazione palestinese della Striscia di Gaza, Arma dei Carabinieri e Polizia di Stato continuano ad equipaggiare i propri reparti di pronto intervento rifornendosi presso le più importanti aziende israeliane.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Morte di Ramy Elgaml: altri due indagati per falso tra i carabinieri premiati con l’Ambrogino d’Oro

Altri due carabinieri sono stati iscritti nel registro degli indagati con le accuse di aver fornito false informazioni al pubblico ministero e di falso ideologico in atti pubblici nell’ambito dell’indagine sulla morte di Ramy Elgaml

Immagine di copertina per il post
Sfruttamento

Genova: corteo operaio sotto la Prefettura. Sfondate le reti della polizia, lacrimogeni sulle tute blu

La rabbia operaia continua a riempire le strade della città ligure contro il (non) piano del governo Meloni sul destino di migliaia di operai ex-Ilva e sul futuro del comparto siderurgico in Italia.

Immagine di copertina per il post
Crisi Climatica

Presidio permanente di San Giuliano: dove abbattono case, noi costruiamo resistenza!

Martedì 2 dicembre, durante l’assemblea popolare, i/le giovani No Tav, hanno fatto un importante annuncio: casa Zuccotti, dopo essere stata espropriata da Telt, torna a nuova vita.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Torino: riflessioni attorno “all’assalto squadrista alla sede della Stampa” e alla libertà di informazione

Il centro sociale Askatasuna di Torino è tornato al centro del dibattito politico nazionale dopo l’azione alla redazione de La Stampa del 28 novembre durante la manifestazione nel giorno dello sciopero generale

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Appello di docenti, ricercatori e ricercatrici universitarie per la liberazione di Mohamed Shahin

Riportiamo l’appello di docenti, ricercatori e ricercatrici per la liberazione di Mohamed Shahin, per firmare a questo link.

Immagine di copertina per il post
Confluenza

Investimenti israeliani sui progetti delle grandi rinnovabili in Italia

Diamo il via all’inchiesta collettiva sugli investimenti israeliani sui progetti delle grandi rinnovabili che abbiamo deciso di iniziare durante la “Due giorni a difesa dell’Appennino” a Villore, di cui qui si può leggere un resoconto e le indicazioni per collaborare a questo lavoro.

Immagine di copertina per il post
Confluenza

Un primo resoconto dell’appuntamento “Due giorni a difesa dell’Appennino”: come continuare a rendere vivi i nostri presidi di resistenza dal basso

Iniziamo a restituire parte della ricchezza della due giorni a difesa dell’Appennino, svoltasi in una cornice incantevole a Villore, piccolo paese inerpicato tra boschi di marronete e corsi d’acqua, alle porte del parco nazionale delle Foreste Casentinesi.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Bambini sfruttati e affumicati nei campi della California

Molto lontano dai campi di Entre Ríos o Santa Fe, i bambini contadini della California lavorano dagli 11 ai 12 anni, sfruttati, mal pagati, in terreni affumicati con pesticidi e con il terrore di essere deportati insieme alle loro famiglie di migranti.