Rojava: quando la resistenza passa per una cinepresa
Ogni lingua ha le sue particolarità. Ci sono parole intraducibili. Per conoscere davvero una cultura, è necessario saperne la lingua. La lingua curda ne è un esempio: prendiamo il motto del movimento giovanile: “Li Rojava xwedî derkeve”. È difficile da tradurre: “derkeve” vuol dire uscire, “li Rojava”, significa nel Rojava, e quindi “nel Rojava esce il xwedî.” Cos’è il xwedî? La prima persona a cui lo ho chiesto, mi ha risposto “è il fatto che ci difendiamo”. La seconda persona a cui lo ho chiesto, mi ha spiegato che deriva da sangue, “xwin significa sangue, e xwedî è come il sangue: sta dentro di te, è un pezzo di te”. La terza persona mi ha spiegato “è come la tua borsa, no? È la tua borsa, ci tieni: non la abbandoni per strada, non la rompi, la tieni pulita, la tratti bene”.
Qualcun altro mi ha detto “il xwedî esce per il sangue dei martiri, per le idee di libertà e partecipazione. Perché ci crediamo, perché vogliamo questa rivoluzione”. Forse, una traduzione del motto dei giovani del Rojava potrebbe essere “nel Rojava, esce il fatto di tenerci e difenderlo come se fosse il nostro sangue, per il sangue versato, per ciò in cui crediamo”. Ma è lungo, non si riesce a dire bene.
Un’altra parola che non si può tradurre è “heval”: heval significa sia amico che compagno. Perché, in realtà, se non sei un buon amico non sei nemmeno un buon compagno. Ma quando chiedi che cosa significa, ti rispondono che gli heval vogliono bene e darebbero la vita per ciascuno degli altri heval (e non solo), e che la prima qualità di un heval è che se sbagli, se fai qualche cosa di dannoso a qualcun altro, te lo dice. E se non ti dice che sbagli, allora non è un heval. E poi, heval è anche “fedakar”: fedakar è colui che vede di cosa hai bisogno prima che tu lo dica, e che risolve i tuoi bisogni. Io, una traduzione della parola “fedakar” in italiano non ce l’ho.
E non entriamo in politica, perché altrimenti le cose intraducibili si moltiplicano. Questo credo che a volte crei dei problemi di comprensione, perché non tutto si può tradurre.
Perdere una lingua significa perdere un mondo. E per la cultura, le danze, i canti, è lo stesso. Considerando i tentativi di assimilazione che sono stati portati avanti per secoli contro il popolo curdo (parlare la lingua curda era proibito nei luoghi pubblici qui in Siria, e non si poteva scrivere in curdo; per non parlare delle politiche dello Stato Turco contro i curdi e per la loro assimilazione), riprendere in mano questa cultura e questa lingua, diventa fondamentale. Perché significa dare di nuovo vita a un modo di pensare, di vivere, che altrimenti rischierebbe di essere dimenticato in conseguenza alle politiche dei vari Stati che agiscono nel territorio.
(Fonte: http://www.kominafilmarojava.org/)
Le feste tipiche erano proibite in Siria prima che il Rojava venisse liberato. Chi celebrava il Newroz (il primo dell’anno curdo) veniva incarcerato, come in Turchia. Il Newroz è il 21 marzo, festeggia il nuovo rifiorire della vita, quando la natura si sveglia dopo il letargo invernale. Anche quest’anno le celebrazioni per il Newroz sono state molto limitate, a causa della minaccia di attentati da parte dell’ISIS, infatti, un’attentato il giorno del Newroz c’è stato, nella città di Asake.
I vestiti tradizionali, poi. Alcune giovani mi hanno raccontato che prima di 4 anni fa non avevano mai visto i vestiti tradizionali curdi. I vestiti delle donne sono colorati, coloratissimi, un pezzo di stoffa delle maniche è lungo fino a terra, e sono adornati con cinture con pendagli di metallo. Gli uomini, invece, portano pantaloni larghi, con una lunga sciarpa arrotolata attorno alla vita. Sono anche questi colori, queste tradizioni che è giusto, che è bello riportare in vita.
Per questo, per le danze, per i canti, per dare valore la cultura curda, siriaca1 e non solo, esiste il Tev-Çand: il nome completo è “Tevgera Dêmokratîk Çand û Huner a Rojavaye Kurdistanê” (rete democratica della cultura e dell’arte del Kurdistan dell’ovest2), ed ha diverse sedi decentralizzate in tutto il Rojava, nelle città più grandi e nei paesi più piccoli. Vengono organizzati corsi, soprattutto per bambini e bambine ma non solo. Vengono organizzati festival, in lingua curda, in lingua siriaca e in lingua araba. L’ultimo grosso festival organizzato ha coinvolto bambini provenienti da tutto il cantone di Cizire e non solo, Dalle città di Kobane, Asake, Tirbespie, Derek, Kocera, Derbesiye, Sarekaniye: hanno danzato e cantato canti e danze tradizionali e meno, hanno potuto incontrarsi, e sono stati protagonisti per 12 giorni.
Per quanto riguarda il cinema, circa 15 anni fa nella città di Qamislo erano presenti 5 cinema, ad Hasake ce ne erano 3, a Derek, Sarekaniye e Terbespiye 1. Nella città di Amuda ne erano presenti 3, di cui a uno è stato dato fuoco nel 1960 uccidendo 282 bambini. Tutti questi cinema sono stati chiusi dallo Stato siriano, impedendo agli abitanti di poter vedere film. Inoltre, filmare era proibito, al punto che venivano sequestrate le telecamere di chi ci provava, e chi riprendeva veniva messo in carcere.
Da poco più di un mese, all’interno del Tev-Çand è nata la comune del film del Rojava. È nata per doppiare film e proiettarli per il popolo del Rojava, nelle città, nei villaggi. Uno degli obiettivi che i giovani del Rojava imparino a fare film loro stessi, ed è appena finito un corso perché imparassero. E’ anche uno spazio per chi vuole realizzare film all’esterno del circuito capitalista che impedisce all’arte di svilupparsi e strangola le menti. Ci sono alcuni film in produzione (sulla città di Shengal, su un festival di danza e teatro per bambini, sul sistema dell’autonomia democratica), ed altri sono in programma.
Parlare di cinema e cultura, con la guerra in corso, può sembrare fuori luogo. Da un lato c’è lo Stato islamico che attacca e ancora fa attentati nel Rojava, dall’altro lo Stato turco che bombarda e ammazza civili e resistenti in Bakur, arresta migliaia di attivisti di diverse formazioni antagoniste, evacua villaggi e punta ad umiliare le donne con violenze ed esponendo pubblicamente il corpo nudo di una guerrigliera curda uccisa. E, immancabilmente, il popolo curdo resiste sia con le armi che dichiarando autonomia dalle istituzioni statali.
In realtà, è proprio perché c’è la guerra che parlare di cinema e cultura è importante: perché con questa guerra vogliono distruggere la cultura, le tradizioni e l’esistenza stessa di un popolo. Se si fanno film sui bambini, è anche per aiutarli a superare il trauma della guerra. Il film che verrà prodotto sull’internazionalismo è anche per ricordare gli attivisti internazionali qui uccisi, quelli morti combattendo con le YPG-YPJ, e quelli morti nell’attentato di Suruc3, tra gli altri. Riguardo questa guerra non viene detta la verità, per esempio riguardo chi ha realmente aiutato il popolo Yazida mentre stava subendo l’ennesimo genocidio a Shengal: anche su questo la Komina film a Rojava sta finendo un film. Il fascismo degli Stati Islamico e turco vuole impedire alle diverse culture e religioni di esistere: un prossimo film sarà su come queste diverse tradizioni e modi di pensare si intreccino in maniera costruttiva all’interno della società del Rojava.
L’invito che parte dalla Komina film a Rojava è rivolto a tutti i filmmaker che vogliono girare un film all’esterno delle logiche capitaliste, o che vogliano girare un film sul Rojava: la Komina film è disponibile ad offrire aiuto e contatti. Il sito di riferimento è www.kominafilmarojava.org.
Vale la pena ribadirlo, anche questa è Resistenza. Non solo quella armata, purtroppo necessaria e portata avanti in maniera eroica, ma anche quella che la società mette in atto. Ed anche questa forma di Resistenza è necessaria perché il sacrificio di chi è morto ucciso durante questa lotta per la libertà non sia vano.
di Ronahi Berxwedan – Nena News
Qui il film Beritan in lingua originale
1La minoranza siriaca presente in Rojava e nel resto della Siria è di religione cristiana, ha un alfabeto ed una lingua propria. È anche dotata di una propria formazione armata (SOTORO) che collabora con YPG-YPJ.
2Le quattro parti del Kurdistan sono: Bakur (Kurdistan del nord, cioè Kurdistan turco), Bashur (Kurdistan del sud cioè Kurdistan iracheno), Rojava (Kurdistan dell’ovest, cioè Kurdistan siriano), Rojhelat (Kurdistan dell’est cioè Kurdistan iraniano)
3Il 21 luglio 2015 nella città di Pirsus (Kurdistan turco) ha avuto luogo un attentato, attribuito all’ISIS ma da esso mai rivendicato, in cui hanno perso la vita 32 attivisti diretti a Kobane. L’attentatore suicida era di nazionalità turca.
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