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Tempa Rossa, la guerra tra bande prima delle prove vere

Il primo filone di indagine riguarda l’impianto Eni di Viggiano (Potenza). Questa parte dell’indagine riguarda la gestione dei rifiuti. Ed è qui che l’ipotesi di reato è quella di disastro ambientale. Quella che Renzi ha liquidato in tv con la battuta “ma quale disastro ambientale qui non è mai stata estratta una goccia di petrolio”. Il problema è che non siamo al Bagaglino: l’accusa al centro oli dell’Eni di Viggiano non è roba da bar è cosa piuttosto precisa. E’ quella di aver smaltito rifiuti speciali pericolosi come se fossero non pericolosi. Per questo sono state sequestrate, dal Noe, migliaia di cartelle cliniche della Basilicata per studiare l’incidenza della mortalità per tumore in quella complessiva del territorio. Nell’ipotesi di disastro ambientale ci sta anche quella di ampio sforamento dei limiti di inquinamento dell’aria e, siamo citando Avvenire, all’accusa di nascondere “la causa dei malori [dei lavoratori] evitando addirittura d’aprire la procedura d’infortunio sul lavoro”. Tutto questo è stato nascosto, per quanto possibile, dall’ombrello mediatico renziano (che ha inondato lo schermo delle battute del premier) e minimizzato dai media amici. Tra l’altro in Italia ci sarebbe anche un ministro dell’ambiente, quello che aspettava la pioggia quando le metropoli soffocavano o l’autodenuncia della Volkswagen i giorni dello scandalo della casa tedesca, che stavolta ha preferito il silenzio.

Il secondo filone di indagine, ha al centro l’iter che ha portato all’autorizzazione del giacimento Tempa Rossa della Total. Gli indagati sono 23, l’ex compagno della Guidi, mentre sono scattate le manette nei confronti dell’ex sindaco di Corleto, Rosaria Vicino, esponente del Pd lucano. Secondo l’accusa, l’ex compagno della Guidi “sfruttando la relazione di convivenza che aveva col ministro allo Sviluppo economico – si legge dalle carte dei magistrati messe a disposizione in rete – indebitamente si faceva promettere e otteneva da Giuseppe Cobianchi, dirigente della Total” le qualifiche necessarie per entrare nella “bidder list delle società di ingegneria” della multinazionale francese, e “partecipare alle gare di progettazione ed esecuzione dei lavori per l’impianto estrattivo di Tempa Rossa”. Inoltre amministratori locali chiedevano e ottenevano dalle società che stavano lavorando al progetto Tempa Rossa assunzioni e altri tipi di utilità. Questo è lo scandalo che è finito sui media, più di quello ambientale, e che ha fatto saltare la poltrona della ministro Guidi.

A questi primi due filoni si è poi aggiunto un terzo fronte, che per competenza potrebbe lasciare la procura di Potenza e approdare in Sicilia: si tratta dell’indagine sul porto di Augusta. Qui è indagato anche il capo di Stato maggiore della marina, Giuseppe De Giorgi, e riguarda un sistema “do ut des”, silenzio sulle modalità di trasporto di materiali in cambio di uno sblocco di 5,4 miliardi di fondi alla Marina, in grado oltretutto di assicurare, secondo gli inquirenti, “vantaggi convergenti” ai componenti della presunta associazione a delinquere: De Giorgi, il compagno dell’ex ministro Guidi, Gianluca Gemelli, il capo ufficio bilancio della Difesa e consulente del ministero per lo Sviluppo Economico, Valter Pastena, e il facilitatore Nicola Colicchi. E qui siamo ai clan che si incrociano con i clan, in una alleanza per la spoliazione delle risorse. Ad esempio la famiglia dell’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, esprime il figlio Gabriele collaboratore del sottosegretario dell’Interno Domenico Manzione e allo stesso tempo finanziatore della Fondazione Big Bang del segretario del Pd nel 2014: (1.050 euro registrati sul sito). E la famiglia de Giorgi si tocca con la famiglia Manzione, perché la sorella Antonella è a capo del dipartimento Affari giuridici e legislativi della presidenza del consiglio, portata da Firenze nel 2014 proprio da Renzi. Il potere renziano, mostra quindi una struttura clanica che non dovrebbe lasciare indifferente chi studia il potere politico o chi vuole contrastarlo. Ma la ricerca e il conflitto hanno spesso modelli di rappresentazione del potere o schematici o troppo romantici. Non è certo la prima volta che il potere politico è in mano a dei clan che si scontrano o si alleano.

Niente male per quello che viene definito il Texas italiano: ipotesi di disastro ambientale, pieno coinvolgimento del ministero dello sviluppo, e di quello dei rapporti col parlamento (già coinvolto nello scandalo Banca Etruria), del capo di stato maggiore della Marina. Abbastanza perchè il premier sia stato costretto a intervenire, assumendosi la responsabilità politica di quanto accaduto, occupando i media, e urlando ai quattro venti che le multinazionali del petrolio se investono “fanno bene all’Italia”. Certo, la retorica dell’energia verde, delle rinnovabili a Renzi piace. Ma la realtà è fatta di inchieste su tangenti, favori alle multinazionali e disastri ambientali. Tra l’altro non è mancata la polemica sulla magistratura. A differenza del periodo aureo berlusconiano, dove si accusavano i giudici “comunisti” (sic) di ogni cosa dall’esistenza dei buchi neri a quella della jella, Renzi è stato chiassoso nelle forme e sottile nei contenuti. Il punto è che il potere del petrolio, una commodity che ha perso 100 dollari di valore a barile in un anno e mezzo, è ancora in grado di condizionare vicende ed equilibri dei governi. Specie nelle strutture claniche di potere dove gli scandali servono per registrare i rapporti di potere favorendo vecchi o nuovi soggetti rispetto all’equilibrio politico in corso. E qui, con le rivelazioni fatte filtrare attraverso la Guidi, sul tipo di bande presenti nel governo e su come si fronteggiano, di materia per uno scontro tra clan ce n’è quanta se ne vuole.

Ma sarà la vicenda Tempa rossa a far cadere il governo? Certo, se per Renzi c’è il rischio che il quorum al referendum del 17 aprile (semplicemente mai apparso sui media, e qui si capisce come funziona la democrazia…) venga toccato non è forse quello, per il governo, il problema più grande. Perchè il referendum di ottobre, sulle riforme istituzionali, rischia di essere una Waterloo per Matteo Renzi. Ma il punto vero, quello su cui un governo indebolito dagli scandali rischia sul serio, è legato al tipo di potere che non si esprime tramite elezioni ma tramite moneta. Stiamo parlando delle banche, istituto che oltretutto sta ricevendo ristrutturazioni paragonabili solo a quelle che ha subito la grande fabbrica fordista. La borsa di Milano, per adesso, sta prezzando positivamente l’ipotesi di accordo tra governo e banche private sul futuro del sistema bancario stesso. Se il governo tiene su questo, e sugli sgravi al bilancio ottenuti da Bruxelles, allora per Renzi Tempa rossa e affini possono passare in secondo piano. Avrebbe ottenuto qualcosa di serio per una parte importante del capitalismo italiano, con la benedizione di Bruxelles e Francoforte. Altrimenti la guerra tra bande nel governo farà da preludio ad un meritato cupio dissolvi di un governo comico dagli effetti tragici. Certo, le parole di Draghi, sul rischio di nuovi choc finanziari, non incoraggiano. Ma in politica, come dire, un problema alla volta.

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