Usa: i prigionieri in lotta contro la schiavitù dietro le sbarre. Intervista con gli IWW
#prisonstrike
Dal 9 settembre 2016 – quattro settimane – lecarceri degli Stati Uniti sono percorse da uno dei primi scioperi nazionali su scala federale nella storia delle lotte di prigioniere e prigionieri.
Nonostante il silenzio totale dei media Usa e il quasi silenzio di quelli internazionali (qui una delle poche eccezioni, sull’inglese Bbc), i numeri sono impressionanti, se comparati all’oggettiva difficoltà di coordinare azioni come il rifiuto dello sfruttamento lavorativo, o lo sciopero della fame in una situazione dove è quasi impossibile (quasi…) comunicare dentro e fuori le sbarre: 50 carceri dove ci sono state azioni di sciopero in 24 Stati, per un totale di circa 50mila prigioniere-i conivolte-i.
La data d’inizio dello sciopero, come abbiamo già detto qui, non è stato casuale: il richiamo, evidente, è alla rivolta (poi repressa nel sangue) del 9 settembre 1971 nel carcere di Attica, New York, partita in reazione all’omicidio poliziesco del rivoluzionario afroamericano George Jackson, pochi giorni prima, mentre era detenuto a San Quintino.
Lo sciopero non chiede, semplicemente, migliori condizioni di detenzione, ma punta a “dare il via a un’azione per far chiudere le prigioni in tutto il paese. Non chiederemo soltanto la fine della schiavitù carceraria, ma smetteremo noi stess* di essere schiav*” (leggi qui l’appello completo, tradotto in italiano da Infoaut.org)
Al centro delle rivendicazioni c’è quindi la fine della schiavitù carceraria. E non è un modo di dire. Il 13esimo emendamento della Costituzione Usa, infatti, prevede che “Né la schiavitù né il servizio non volontario potranno esistere negli Stati Uniti o in qualsiasi luogo sottoposto alla loro giurisdizione….eccetto che come punizione per un crimine per cui la parte sarà stata riconosciuta colpevole nelle forme dovute” (su questo è in uscita anche un documentario, dal titolo 13th, realizzato dalla regista Ava DuVernay: qui il trailer)
Nei fatti, questo si trasforma nello sfruttamento sistematico della forza lavoro dei carcerati da parte sia del pubblico che dei grandi gruppi privati: la compagnia telefonica AT&T, Starbucks, Mc Donald’s, Victoria Secret…sono solo alcuni dei nomi che costringono al lavoro chi è dietro le sbarre. La paga? A volte 15 centesimi all’ora, altre 12, altre ancora 9…e altre, niente, mentre all’esterno gli stessi lavoratori e lavoratrici devono percepire un salario minimo federale orario di 7,25 dollari (e una forte campagna di lotta spinge per portare questa cifra a 15 dollari).
Ma come si vive nelle prigioni Usa? Come si esplica lo sciopero? Quali le azioni repressive e quelle invece solidali, negli Usa (come a esempio il movimento Black lives matter, nelle recenti proteste di Charlotte) o a livello internazionale (Australia, Nord Europa, Messico, Grecia)?
E soprattutto: che fare, ora?
Di tutto questo abbiamo parlato con Azzurra Crispino, docente universitaria a Austin, Texas, e media co-chair dell’IWW – IWOC, il Comitato che orgaizza i lavoratori-trici incarcerate-i nell’ambito dello storico sindacato rivoluzionario IWW, Industrial Workers of the World.
Ascolta o scarica qui la trasmissione realizzata da Radio Onda d’Urto con Azzurra Crispino
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