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#20G, rabbia che si organizza

Roma si sveglia, il 20 gennaio, con le principali arterie metropolitane bloccate da precari, senza casa e migranti che pretendono accesso ai bisogni essenziali contro il governo dell’austerity; i viaggiatori della metropolitana usufruiscono gratis del servizio a Piramide e Porta Pia. Alla protesta si uniscono gli autoferrotranvieri che, dopo le giornate autunnali di Genova e Roma, si sono dati appuntamenti da tutta Italia nella capitale. Nelle stesse ore, a Bologna inizia il blocco totale della Granarolo. Come a Roma, dove l’occupazione di trenta famiglie in via Romolo sarà sgomberata dopo appena ventiquattr’ore, le istituzioni mostrano il volto consueto e la polizia carica a più riprese, dopo che ai facchini di Bologna si sono uniti quelli di Piacenza. Botte, feriti, ma il blocco non si tira indietro. A Roma tutti convergono su Porta Pia; perché anche questo è un segnale dei tempi, riuscire ad attraversare i luoghi facendone un simbolo di continuità ma non un feticcio, e la capacità di coordinare le lotte a livello nazionale senza che le scadenze divengano puro spazio autorappresentativo.

La speranza di un cambio di direzione della paura si fa ancora più forte quando si mette in campo la dimostrazione ben visibile, benché germinale, della possibilità di agire. Mentre a Milano e a Brescia vengono occupate le sedi della A2A, colosso dell’energia frutto della fusione delle ex municipalizzate, a Torino i manifestanti presidiano la sede dell’analogo colosso Iren, dopo aver dato vita, nei giorni precedenti, a tre nuove occupazioni abitative (famiglie, profughi, studenti). A Cosenza occupazione dell’ex sede di Banca d’Italia, a Pisa cortei selvaggi che chiamano in causa la grande distribuzione commerciale e Acque S.p.a. Inutile sarebbe riportare tutte le altre iniziative e i dettagli di una giornata di cui trovate ampia notizia su questo e su altri siti. Quel che conta è l’ennesima manifestazione di una soggettività ricca, espressione di una potenzialità sociale che si estende a tutto il paese, capace di individuare i responsabili del nostro stato di povertà da nord a sud, senza perdersi in chiacchiere, ma guardando avanti e contro.

Ciò che ci sembra emergere è un’importante disponibilità alla mobilitazione e al coordinamento, la tendenza a un avanzamento del conflitto che trova ennesima conferma su un percorso comune. Scommettere sulla consistenza e sulla realtà delle contraddizioni sociali è la scelta che un numero sempre maggiore di soggetti sta compiendo, in un cammino lungo e difficoltoso, che attraverso le prossime assemblee condurrà ancora a mobilitazioni. Soltanto così, continuando a sbattere la testa contro l’austerity che ci vorrebbe rassegnati e tristi, cambieremo faccia e connotati al paese di frontiera della crisi euro-mediterranea. Come sempre, non possiamo dirvi come finirà, vi stiamo facendo vedere come inizia; ma quel che sappiamo è ciò che abbiamo letto sulle facce che animano le piazze di questi giorni: comunque vada, non sarà un pranzo di gala.

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