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L’asilo di Milano e il libero mercato

Nelle ultime ore sono saltati agli orrori della cronaca i maltrattamenti che il personale di un asilo milanese ha inflitto ai propri ospiti con morsi, insulti e botte ai bambini affidati alla struttura. La minuziosa descrizione delle sevizie su cui si stanno concentrando i media non è solo la conseguenza inevitabile del tedioso contesto informativo agostano. Come di consueto, la creazione discorsiva del mostro è funzionale alla depoliticizzazione dell’evento e all’imposizione di soluzioni spettacolari quanto assolutamente inadeguate (e allora giù di telecamere negli asili,  schedatura delle maestre e altre baggianate raccattavoti).

Partiamo da un dato di fondo: in Italia ci sono pochissimi asili nido. Meno del 12% dei bambini può accedere a un asilo comunale e il rapporto ospiti/educatori è sempre più inadeguato a causa dei continui tagli. Non serve un esperto di medicina del lavoro per capire che carenza di personale, burn-out e maltrattamenti sui bambini sono strettamente collegati.
L’altro dato fondamentale è il continuo ricorrere a cooperative e subappalti per abbassare i costi dei servizi in un contesto praticamente di libero mercato (la definizione di regole per accreditarsi viene delegata a comuni e regioni, in alcune di queste non esistono nemmeno delibere sugli asili nido). L’ultimo episodio di violenza è avvenuto, come confermato lo stesso vice-sindaco di Milano, in una struttura “in franchising”, il che soprende ben poco visto che in Lombardia le strutture private sono quasi il triplo di quelle pubbliche.

Questa realtà, assolutamente macroscopica, non fa neanche balenare nella testa dei nostri commentatori che forse c’è un legame tra l’inadeguatezza dei servizi rispetto alle necessità dei territori e i casi di maltrattamento in strutture che spuntano come funghi per mettersi in un mercato redditizio e in piena espansione. Vista questa sospetta miopia dei nostri morbosi professionisti dell’informazione, attenti ai dettagli della cronaca quanto incapaci di alzare lo sguardo e gettare un occhio un po’ più lontano del proprio naso, è davvero troppo pretendere che osino sottolineare il dato centrale di questa vicenda, quello che permetterebbe di scavare nelle responsabilità politiche per evitare che episodi orrendi come quello di Milano si ripetano. La deregolamentazione e la privatizzazione dei servizi (in questo caso dell’infanzia ma possiamo allargare questa considerazione a tutte le sfere del nostro welfare in decomposizione) conviene allo Stato che può così risparmiare sui costi di riproduzione complessivi della società scaricando su famiglie e strutture private questo onere.

Quanto a lungo si pensava che anni di tagli, di subappalto alle cooperative, di deroghe alla regolamentazione, di spensierata delega al privato di settori delicatissimi, che richiederebbero risorse e condizioni di lavoro adeguate, potessero restare senza conseguenze?

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