Nucleare: l’energia del capitalismo dei disastri
Dopo l’ennesimo incidente a Fukushima e in vista del prossimo referendum di giugno, Berlusconi e soci, evidentemente preoccupati per l’esito del voto e dei due quesiti su acqua e processi che lo accompagnavano, decidono la resa strategica. Se il Senato voterà gli articoli del ddl di fatto, il quesito referendario non avrà ragion d’essere perché proprio su quelle norme era chiesta l’espressione agli italiani. Potremmo esultare per aver vinto una battaglia senza combatterla, però sarebbe poco credibile, la verità è ben scritta nell’editoriale di Infoaut di ieri, che si chiede: “In che mani siamo”. Le conosciamo bene evidentemente, il day by day della cricca del Cav. funziona così; e anche il nucleare da piano strategico viene stralciato appena diviene materia impopolare a rischio di cambiare canale nel telecomando della videocrazia, e troppo pericoloso per un voto popolare che potrebbe punire proprio chi si fa forte dei consensi raccolti nelle tornate elettorali.
La banda dell’atomo
Al dietrofront odierno si è giunti dopo quasi 4 anni in cui lo spettro nucleare si è man mano materializzato e reso sempre più concreto. La lobby dell’atomo non ha mai cessato di lavorare dal 1989 ad oggi, auspicando tempi migliori per riproporre l’energia padrona per eccellenza. Mentre il mondo e l’innovazione (capitalista) vanno verso energie pulite e alternative al petrolio e all’atomo; mentre nessuna nuova centrale è stata costruita in giro per il mondo; mentre la green economy è stata indicata come ricetta (capitalista ci teniamo a ribadirlo) di uscita dalla crisi, nel Belpaese dotti medici e sapienti indicano l’energia nucleare come soluzione ai mali energetici del nostro paese. Incuranti del fatto che persino la tecnologia e la scienza arrancano nel realizzare questa fantomatica quarta generazione per le centrali, che l’uranio è destinato al suo picco in un futuro vicinissimo e che continua a non esistere (perché non c’è) soluzione alle scorie rilasciate dalle lavorazioni, politici e lobbisti da tempo preparano il menù dell’ennesimo businnes sul disastro. La banda dell’atomo è stata stoppata in Italia dal referendum del 1987, giunto dopo l’incidente di Chernobyl che generò mobilitazione e coscienza nel Paese, a tal punto che dopo la chiusura del ciclo di lotte degli anni 70’, nel coordinamento anti-anti rinacquero le istanze autonome su tutta la penisola. Benchè stoppata la banda, non si lasciò mai prendere dallo scoramento e, con metodo, si rifece il look per presentarsi con Berlusconi pronta per la nuova avventura. Nessuna loggia, nulla di segreto, la banda dell’atomo è un’aggregazione di politici, imprenditori, banchieri, scienziati e personalità varie che esprimono il taglio capitalista nel campo delle energie. Il nucleare è in antitesi con la modernità e con le necessità energetiche di qualsiasi continente ma evidentemente genera qualcosa di interessante per élite ben definite. Genera potere, economia, controllo e dipendenza, principi cari al capitalismo storico. Genera anche paura, disastri, emergenze e ricostruzioni: principi molto cari al capitalismo moderno.
L’energia padrona
L’atomo è l’energia proprietaria per eccellenza, nasce come arma di distruzione e si sviluppa come polo d’investimenti di denaro pubblico ad uso e consumo degli stati che la possiedono. E’ un bene capitale perché unicamente vincolato al potere in tutte le sue fasi. Nel dopoguerra le centrali nucleari erano la dimostrazione di forza e indipendenza nei corrispettivi blocchi e ostentamento nei confronti del medioriente ricco di petrolio. L’enorme flusso di capitali per sviluppare e installare la tecnologia nucleare è una delle forme di dominio esercitate dal potere nei confronti della popolazione. La minaccia che la sua pericolosità genera, che il mondo conobbe, dopo Hiroshima e Nagasaky, a Three Mile Island, la rende assolutamente impermeabile da qualsiasi giudizio contrario, ben ammaliato da fabbisogni energetici e crisi mondiali. Se la società del petrolio si sta man mano estinguendo verrebbe normale pensare a energie non destinate a terminare, non esauribili, invece così non è. La guerra continua ad essere l’unico strumento di un imperialismo energetico che tenta di avere il controllo degli ultimi giacimenti ricchi di oro nero, ma oltre a questo il capitale non sa andare. Nel 2011 presentare il nucleare come alternativa (non inquinante tra l’altro) al petrolio è la carta d’identità di un potere alla frutta, che vive di governance del presente utile solamente a moltiplicare dividendi per le lobby.
Gli imprenditori del disastro
Pensare che il capitale faccia delle scelte senza risvolti è pura follia. Tanto più che lo faccia senza obbiettivi chiari. La realtà è che dopo le innovazioni storiche che hanno portato un qualche progresso nella società moderna, ogni evoluzione ha sempre portato con se un doppio fine strettamente legato non al progresso dei sistemi sociali o all’accrescimento della qualità della vita dei popoli, ma ha sempre rappresentato possibilità di appropriazione e sussunzione nuove rispetto alle precedenti. Basti pensare all’evoluzione delle tecnologie. Esse non sono strumenti neutri diffusi per alimentare i saperi e svilupparne nuovi. Come per la rivoluzione tecnocratica nella produzione fordista, lo sviluppo tecnologico, l’evoluzione del sistema delle relazioni online, l’idea dei social network, l’abbattimento dei costi di dispositivi portatili, altro non è, che una diffusione di mezzi di produzione di massa. In una società povera dal punto di vista culturale, ben tenuta a bada dal controllo esercitato sugli istituti della formazione statale, disporre un facile accesso ai mezzi utili al consumo è avere società produttive a ciclo continuo. Ogni utente della rete mobile è un operaio nella grande catena del consumo mondiale, messo a valore in ogni azione che compie. E allora perché pensare che il capitale atomico sia vecchio a fronte dell’evoluzione energetica che si sta compiendo in tutto il mondo? Sarebbe da folli! Infatti sulla pelle delle comunità mondiali abbiamo imparato che tutto può essere messo a valore, e infatti lo sono anche incidenti naturali, sociali e figuriamoci se dettati dall’uomo. La teoria della Shock Economy di Milton Friedman non è molto distante dalla realtà di un capitalismo che è maturato sui danni che genera. Dai disastri rinasce più forte e dai danni creati dalle sue incapacità strategiche ne esce rafforzato. Le guerre sono occasione non solo di dominio, ma divengono vere e proprie occasioni d’investimento per l’imprenditoria del controllo sociale e della ricostruzione. Gli sciacalli che ridevano del terremoto de L’Aquila non sono mosche bianche del sistema, ne sono rappresentanti a tutti gli effetti. Gli stessi che mentre costruivano case con la sabbia calcolavano già la possibilità di ricostruirle in caso di terremoto. Anche dalla crisi finanziaria, nata su un crash del suo sistema economico, ne ha trovato nuova linfa per ri-generarsi, scaricando i costi e i danni delle proprie incapacità sui popoli. Stati che falliscono, dittature e disastri sono cause e benefici del capitalismo globale. Se però quanto affermato è vero dobbiamo anche annotare come l’origine di tutto sia rappresentata, nella maggioranza delle volte, non da programmi a tavolino o da chissà quali strategie occulte. Il capitalismo è logica del disastro di per sé. Ci ha dimostrato come sia barbarie allo stato puro di fronte alle possibilità di accumulazione che si trova di fronte. Dalle sue incapacità nascono le sue future possibilità, ma i danni provocati sono generati spesso dall’ incapacità nei mezzi e negli uomini al soldo del capitale.
Nucleare: energia inutile ed assassina
Lasciando stare il nucleare di guerra, nel fantomatico campo civile gli incidenti nucleari nella storia (che ci è dato sapere) sono stati 130. 33 quelli ufficialmente riconosciuti anche da AIEA. Three Mile Island, Chernobyl e la recente Fukushima sono i più conosciuti perché i più tragici, dove le autorità nonostante la strategia del silenzio, non sono riuscite a nascondere. Le balle che i nuclearisti fanno circolare sulla gestione del nucleare si sono sempre sgretolate sotto i colpi della tragedia, ma non è mai bastato. Come per Fukushima gli imprenditori del disastro, nel caso italiano, dicevano di non ragionare con l’emotività, che non ci sarebbe stato problema a riavviare le centrali made in Italy. Il punto forte che propagandano è sempre dato dal motto: il nucleare è sicuro. Magari di per se lo è pure, ma in caso di incidente sappiamo cosa può generare. Le generazioni del dopo Chernobyl sono testimoni di qualcosa che solo un potere assassino può ancora proporre come soluzione per accendere la luce.
Un’altra delle hit dei nuclearisti consiste nel sostenere che l’energia nucleare è oggi più conveniente rispetto ad altre energie. Ma allora perché non vi è privato nel mondo che v’investa di tasca propria? le banche statunitensi (per inciso è dal 1978 che non viene inaugurata una nuova centrale nucleare) non finanziano le centrali a meno che il governo federale non si faccia garante. Quindi non vi è ombra di finanziamenti privati in materia, e la Francia che è citata spesso come esempio, non ha privatizzato il settore dell’energia, e il nucleare lo gestisce mettendo mano alla Force de frappe, il complesso nucleare militare.Come per i lavori pubblici, anche il nucleare rappresenta un’ occasione d’oro per far affluire grandi quantità di denaro pubblico da smistare a cricche di ogni genere e attuare quel finanziamento pubblico ai partiti che di fatto, rappresentano le grandi opere o progetti di tal portata, senza scomodare i campi della corruzione o dell’illecito.
Terza e quarta generazione? Il primo reattore di terza generazione dislocato in Finlandia ha un ritardo di oltre due anni (era previsto per il 2011) con un aumento dei costi di 3 miliardi di euro. Della quarta generazione neanche se ne può parlare.
Costretti a comprare energia dalla Francia? E’ un altro dei leit motiv a cui assistiamo, ma dovremmo sapere che innanzitutto non ne abbiamo bisogno, infatti in Italia la capacità produttiva di energia elettrica è di 88.300 megawatt a fronte di 55.600 della domanda, e poi la Francia vende energia perché ne produce oltre misura, quello che c’è da sapere, è che una centrale nucleare non ha un interruttore per l’accensione e lo spegnimento, e quindi a seconda dei momenti, l’energia viene venduta, in altri, quelli di picco del consumo, deve essere importata; tant’è che oltralpe pensano di riattivare alcune centrali termoelettriche dimesse dagli anni 60. Altra cosa taciuta è che per raffreddare i reattori nucleari serve l’acqua, in Francia circa il 40% dell’acqua potabile è destinata a questo uso. Nell’estate del 2003, quando molti anziani morirono per il caldo, uno dei danni collaterali che passarono sotto silenzio fu che scarseggiò l’acqua per raffreddare gli impianti. Come conseguenza fu ridotta l’erogazione di energia elettrica e la mancanza di aria condizionata aumentò il numero delle vittime.
Decommision delle centrale chiuse e scorie nucleari. Nessuna tecnologia moderna da una soluzione allo smaltimento delle scorie se non quello scellerato di conservarle per centinaia di anni sotto qualche terreno. Oggi le vecchie centrali contengono le scorie che man mano viaggiano con segretezza verso Inghilterra e Francia per essere scortate. Ma questo è solo un palliativo rispetto alla pericolosità che questi sarcofaghi di morte rappresentano.Come per gli investimenti di costruzione e di funzionamento delle centrali, anche la decommision è a carico dei soldi pubblici. La bolletta italiana è la più cara d’Europa e nella voce “oneri” che rappresentano il 30% del suo costo sono comprese le spese per la chiusura delle centrali. Nella realtà servono a mantenere una struttura faraonica come la Sogin, 800 dipendenti e lo smantellamento nucleare, la sua unica attività industriale, è ferma ad un 10% di avanzamento nella commessa pubblica, senza alcuna strategia effettiva di smaltimento se non quella dell’aumento dei depositi di Saluggia.Il sistema della banda dell’atomo è quindi oliato e funziona molto bene, a tal punto di volerlo duplicare su altri aspetti delle opere pubbliche.
Energie Rinnovabili: rivoluzione dal basso?
Le rinnovabili sono chiamate anche energie alternative perché rappresentano l’alterativa al nucleare e al petrolio ma se da un punto di vista scientifico questo è assolutamente vero, dal punto di vista dei poteri non lo è assolutamente.Sarebbe facile pensarla come Jeremy Rifkin, che da buon innovatore dell’eco capitalismo moderno ci dice che sono “Un sistema distribuito, dal basso verso l’alto, in cui ognuno si produce la propria energia rinnovabile e la scambia con gli altri attraverso “reti intelligenti” come oggi produce e condivide l’informazione, tramite internet”. La realtà è che le rinnovabili sono oggi il business del potere, co-partecipato dalle banche e gestito dal monopolio statale. A livello ideale potremmo intravederci libertà, concretamente ci vediamo solo un ennesimo uso delle intelligenze e degli sforzi collettivi per forme di sussunzione inesauribili come quelle naturali.
La rivoluzione necessaria non sara’ con un pannello solare su un tetto, una pala eolica in giardino o una dinamo sulla bicicletta. Sara’ quella di combattere strenuamente contro il capitalismo dei disastri, scegliendo tra barbarie o liberta’, con tutta l’energia necessaria.
La redazione di Infoaut
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