
Riflessioni critiche sul referendum, per dire 5 SI.
Domenica 8 e lunedì 9 giugno si terranno 5 referendum abrogativi. Quattro quesiti mirano ad abrogare alcune delle norme introdotte con il “Job Act” di Renzi tra il 2014 e il 2016, mentre il quinto Si servirebbe a dimezzare il periodo necessario all’ottenimento della cittadinanza per coloro non nati in Italia da 10 a 5 anni.
Contesto
I primi quattro quesiti sono stati promossi dalla CGIL mentre il quesito sulla cittadinanza dai “radicali” e Rifondazione comunista, nonché da numerose associazioni della società civile.
Il primo quesito propone di abrogare la disciplina vigente che impedisce, nelle imprese con più di 15 dipendenti, di reintegrare lavoratori o lavoratrici licenziati in modo illegittimo, se questi sono stati assunti a partire dal 7 marzo 2015, anche nel caso in cui il giudice dichiari ingiusta, o infondata, l’interruzione del rapporto.
Quindi, in caso di vittoria del si, il giudice potrà reintegrare il/la lavoratore/trice sul posto di lavoro, limitando i licenziamenti arbitrari.
Il secondo quesito propone di abrogare la disciplina vigente che impone un limite all’indennità per i lavoratori e le lavoratrici licenziati in modo illegittimo nelle piccole imprese (con meno di 15 dipendenti), dove in tali casi si può ricevere un risarcimento massimo pari a sei mesi di stipendio, anche nel caso in cui il giudice dichiari ingiusta e infondata l’interruzione del rapporto.
Quindi, il giudice potrò decidere ammontare risarcimento.
Il terzo quesito propone di abrogare alcune delle regole vigenti sull’utilizzo dei contratti a termine, che li rendono stipulabili fino a 12 mesi senz’alcun obbligo di causali che giustifichino il lavoro temporaneo da parte del datore di lavoro, nemmeno in un eventuale giudizio.
Quindi, ogni contratto a termine dovrà sin dal principio specificare una motivazione valida e verificabile del rapporto a tempo determinato.
Il quarto quesito propone di abrogare la norma vigente che stabilisce la responsabilità solidale (parziale) di committente, impresa appaltante e subappaltatori negli infortuni sul lavoro. Nel caso in cui il referendum venisse approvato, la responsabilità di tali infortuni verrebbe estesa anche al committente, che dovrebbe quindi risarcire i danni subiti dai lavoratori anche se derivanti da rischi specifici dell’attività produttiva delle imprese appaltanti o dei subappaltatori.
Quindi, il committente sarà sempre corresponsabile in caso di infortuni sul lavoro.
Il quinto quesito propone il dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana. Abrogazione relativa della Legge 91 del 1992.
Riflessioni
Sulla bontà politica di questi quesiti, nonostante la loro parzialità e remissività, crediamo ci sia poco da dire. Qualsiasi campagna che promuova maggiori tutele, sicurezza e dignità alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori, così come un qualche miglioramento per quelle milioni di persone che vivono il razzismo strutturale ed istituzionale legato alla gerarchizzazione della popolazione ci ha trovato, ci trova e ci troverà pronti ad aderire. Inoltre è importante sottolinere lo sforzo di molte realtà politiche autorganizzate per il raggiungimento del quorum per quanto riguarda il quesito sull’ottenimento della cittadinanza.
A differenza di chi si accontenta di tornate elettorali e/o referendarie relegando la piazza ed il conflitto a corredo novecentesco di testimonianza, crediamo sia miope escludere alcuna freccia dal nostro arco.
Negli ultimi 15 anni, ci sono state alcune tornate referendarie che hanno coagulato momenti di rigidità popolare che erano espressione delle lotte o per lo meno un momento per contare contro le restrutturazioni neoliberiste volute dai vari governi. No al nucleare, no alla svendita dell’acqua pubblica (ugualmente avvenuta, nonostante la “vittoria”), no alle trivelle, no alla riforma costituzionale di Renzi.
Ci siamo spesi, a volte più a volte meno in base al contesto, ma più spesso alle forze disponibili, per contribuire al rispedire al mittente mercificazione, sfruttamento, politiche ecocide e svolte in favore del potere esecutivo, senza tuttavia mai crogiolarci in vittorie limpidamente effimere e reattive.
Mettersi qui a fare la lista dei disastri e degli errori strategici della CGIL dalla crisi del 2008 ad oggi consumerebbe troppi megabyte immagazzinati in server energivori e sarebbe un esercizio retorico che non ci appartiene.
Tuttavia, nel nostro aderire a votare 5 si, qualcosa è necessario dirla.
Abbiamo davanti, e non a fianco, un sindacato imbelle che nella sua relazione contorta con uno schizofrenico PD scommette tutto su questa tornata referendaria. In linea con la tradizione del cosiddetto centro-sinistra, si scommette tutto su una partita elettorale molto difficile, esponendo il loro fianco, ma purtroppo quello di tutti ad un rafforzamento contingente dell’attuale esecutivo.
Un esecutivo abbastanza furbo e nemmeno troppo cripticamente antidemocratico, che ha posto i referendum durante il secondo turno (ballottaggi) delle elezioni comunali e regionali e che invita apertamente a non andare a votare per non raggiungere il quorum.
Mentre Landini, Schlein e Conte fanno i finti tonti gridando allo scandalo sul boicottaggio del governo, su queste colonne è ridondante sottolineare che a questo ordine parlamentare della “democrazia”, nemmeno quella formale, non importa proprio niente.
Il PD che ha emanato il “Job Act”, oggi fa campagna, solo in una sua parzialità, per abolirlo. Cosa dovremmo dire?
Alla CGIL, forse qualche parola in più. Un breve ripassino perché la coerenza e la lotta pagano in politica e contrariamente alla vulgata di una certa intellighèntsia di sinistra, chi lavora, ossia tutti tranne loro, la memoria ce l’ha.
All’epoca del misfatto, la CGIL della Camusso portò avanti una campagna ridicola rispetto all’entità dell’ennesimo attacco alle condizioni di vita materiale di chi lavora in questo paese. Passarono un autunno terrorizzati da tutto ciò che gli era a “sinistra”.
Le mobilitazioni messe in campo dal sindacato furono tutte volte a depotenziare il conflitto e la reale messa in discussione del job act, agendo apertamente contro le lotte, che dal basso spingevano per dare battaglia, non solo nella retorica e nei salotti televisivi. Le lotte e i cortei autorganizzati e autonomi che dai posti di lavoro e dal mondo della formazione si muovevano, furono oggetto degli attacchi della sinistra istituzionale e dei sindacati, spesso propinandoci la solita vecchia solfa degli infiltrati. Da nord a sud, salvo poche eccezioni, tutte le piazze in cui si diede del conflitto contro la riforma del lavoro dovettero affrontare manganelli e aule giudiziarie contando solo sulle proprie forze.
Infine, peggio del nulla la beffa. Un temibilissimo sciopero generale di 8 h convocato il 12 dicembre del 2014 lanciato dalla CGIL quando la legge era già passata, scoraggiò chiaramente la precedente ampia partecipazione dell’autunno di quell’anno.
Insomma, qualcun* nel sindacato prima o poi si vorrà assumere la responsabilità di essere stati così “responsabili” e tranquilli?

Le lotte dei migranti e dei giovani e delle giovani di seconda e terza generazione si sono sviluppate in questi anni in autonomia e troppo spesso con l’avversione della sinistra istituzionale e dei sindacati confederali. Oggi agevolare l’otteniamento della cittadinanza sarebbe ossigeno prezioso per le vite di migliaia di persone che vivono stabilmente in Italia. Va sottolineato che si tratta di una lieve modifica a uno tra i molti requisiti, come la soglia minima di reddito o la discrezionalità della decisione da parte delle commissione sulla base della condotta e delle relazioni personali della persona, di una legge fondata sul razzismo istituzionale di cui lo stato in cui viviamo è pregno. Razzismo istituzionale che le lotte combattono quotidianamente, opponendosi ai cpr, allo sfruttamento del lavoro immigrato e quello abitativo. La crisi produttiva e demografica del paese verrà ancora caricata sulle spalle di chi è costretto alla catena di questo lavoro sempre più duro e sfruttato. Nessuna disillusione quindi, ma la tenace convizione che siano le lotte dal basso a determinare le conquiste non il contrario.
Oggi, dopo una disastrata decade, si torna a parlare dell’infame riforma del lavoro di Renzi.
Nel frattempo, le nostre vite sono state costellate dall’approfondimento della crisi climatica, dall’impotenza davanti ad un genocidio, alla guerra incombente, dallo smantellamento di qualsiasi forma di welfare e redistribuzione. Dieci anni dopo, la torsione mortifera del capitalismo contemporaneo riesce addirittura a rendere apparentemente meno impellente la lotta per la riappropriazione della ricchezza, per emanciparsi dal lavoro, per renderlo giusto, dignitoso, necessità e non costrizione.
Ogni formazione partitica e sindacale coltiva il proprio orto, dal disorientato già citato PD ai 5S ai quali non manca il fegato di non schierarsi a favore del referendum sulla cittadinanza. Landini e la CGIL puntavano più in alto, sperando che tra i quesiti vi potesse essere anche quello sull’autonomia differenziata, questione che avrebbe permesso di portare maggiormente alle urne l’astensionista sud d’Italia. Tutti a fare calcolini mentre il mondo va a rotoli e a chiamare ipocritamente le forze sociali alla responsabilità e alla promozione di queste campagne.
Noi ci siamo, coerenti con quanto fatto in quell’autunno del 2014. Per queste ragioni invitiamo tutti e tutte a dare il loro contributo per poter raggiungere il quorum e ad andare a votare per questo referendum. Coscienti che questa è solo una piccola parte della più generale lotta dal basso che anima l’opposizione sociale nel nostro paese oggi.

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