Porte aperte a La Sapienza: dove loro abbandonano noi ricostruiamo!
Questa mattina come studenti e studentesse della sapienza abbiamo dato vita a un corteo che ha percorso le strade interne e limitrofe della città universitaria, un momento in cui abbiamo scelto di segnalare simbolicamente alcuni degli spazi vuoti e abbandonati all’interno dell’ateneo, evidenziando le risposte dal basso che in questi anni gli studenti, autorganizzandosi, hanno saputo dare al rettore Frati.
L’iniziativa di questa mattina si situa all’interno della campagna “porte aperte alla sapienza”, nata in contrapposizione all’evento che ogni anno viene organizzato in questa università, una vetrina che dovrebbe servire ad illustrare ai neo-diplomati le incredibili opportunità loro offerte.
Abbiamo sperimentato che la realtà dei fatti è ben diversa da come vorrebbero illustrarla: l’unico scenario che si offre ai laureati è quello della precarietà e dello sfruttamento; al contempo sono tantissime le porte che tutti I giorni troviamo letteralmente sbarrate: mentre sorgono cantieri su cantieri e sempre più spazi vengono abbandonati al degrado e all’incuria, I servizi come mense e alloggi per gli studenti sono sempre più carenti.
Ma ad un modello di università-azienda che si regge sulla speculazione dei privati gli studenti si oppongono fermamente, e quotidianamente riaprono porte trasformando spazi inutilizzati in luoghi di socialità, di studio, di condivisione di sapere critico; per questo abbiamo scelto come slogan di questa campagna “dove loro abbandonano noi ricostruiamo” e basta farsi un giro in uno delle tante aule occupate per rendersi conto della concretezza di queste parole.
Questa mattina abbiamo voluto evidenziare alcuni luoghi particolarmente simbolici: un intero palazzo adiacente all’università, una mensa di 150 mq, una biblioteca, e tantissime aule; spazi che devono riprendere vita ed essere restituiti agli studenti, e sappiano lor signori che se non lo faranno loro ci penseremo noi.
L’università è di chi la vive!
Di seguito il testo di lancio della campagna:
Cantieri eterni si innalzano vicino ad ogni entrata, e tensostrutture violentano la principale area verde: questo è lo scenario che appare a chi arriva in città universitaria, e descrive in modo chiaro la gestione degli spazi all’interno del nostro ateneo. Mancano aule studio e biblioteche e in quelle poche presenti, moderne solo se finanziate da enti privati, gli studenti sono costretti a litigarsi il posto e a correre via appena cala il tramonto. Questa situazione appare paradossale quando camminando nei dipartimenti si trovano luoghi abbandonati da anni in stato di degrado e incuria.
Il panorama è chiaro: gli spazi che potrebbero essere destinati allo studio come anche alla socialità e all’aggregazione si riducono drasticamente per lasciare spazio alla speculazione dei privati; contemporaneamente però in questo contesto, gli studenti dimostrano che l’università è di chi la anima e la attraversa tutti i giorni, e a queste trasformazioni, rispondono riprendendosi gli spazi di cui ha bisogno.
É questo il leitmotiv che accomuna le esperienze delle aulette autogestite, degli spazi occupati, degli archivi digitali; esperienze di riappropriazione e di rottura rispetto al modello di università che si cerca di riprodurre: alle già citate questioni legate agli spazi infatti si intersecano le problematiche legate ad un accesso ai corsi di laurea sempre più limitato, alla privatizzazione ed esternalizzazione dei servizi, all’assenza di alloggi, alla progressiva riduzione delle borse di studio che accompagna il vertiginoso aumento delle tasse. Un’università sempre più d’elite, dove il sapere impartito e legato a filo doppio a quella condizione di precarietà, non solo lavorativa, a cui dovremmo essere destinati.
Un modello di formazione a cui abbiamo femamente deciso di opporci, suscitando le ire funeste del magnifico rettore frati; la sua gestione è infatti l’espressione di quei processi di aziendalizzazione voluti dalle tante riforme che si sono sussegute, a cui negli anni si sono contrapposti, e continuano a farlo, spazi occupati e autogestiti all’interno dell’università. Laddove rettore, presidi di facoltà, direttori di dipartimento chiudono aule, laboratori, stanze, c’è chi decide che questi posti è necessario riprenderseli, rivendicando con forza che, dove c’è chi abbandona e specula,dall’altro c’è chi, occupa, autogestisce, ricostruisce.
Ogni estate si svolge la vendita del marchio sapienza, la presentazione dei corsi di laurea, “Porte aperte alla sapienza”, dove si proclama l’eccellenza del nostro ateneo, ma dove non si parla mai dei problemi e delle criticità che vivranno le future matricole. Non si parla della scadente offerta formativa ed extradidattica, non si parla del numero sempre crescente di abbandoni, del numero di laureati che crolla, dell’accessibilità limitata. Non si parla delle porte chiuse che incontreremo fuori dall’università nel mondo del lavoro precario come di quelle che incontriamo tutti i giorni dentro le nostre facoltà.
“Porte aperte alla sapienza” è una campagna che nasce come risposta a questa ennesima vetrina, per rivendicare la legittimità dell’occupazione e autogestione degli spazi dentro l’università e segnalare quelli che invece sono chiusi e destinati all’inutilizzo. Sono queste le porte che vogliamo vedere aperte contro chi ci vuole silenziosi ed obbedienti. Quelle dei posti di cui abbiamo bisogno per continuare a costruire l’università che vogliamo. Quelle che abbiamo già aperto. Quelle che verremo ad aprire.
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