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Roma. Dalle università alla metropoli, riprendersi tutto!

L’assemblea ha discusso di come la riappropriazione sia uno strumento di soggettivazione, di costituzione di nuovo sapere e infine di connessione  tra università e metropoli. La soddisfazione di un bisogno materiale ci pone di fronte alla potenza collettiva che dimostra un soggetto capace di prendere coscienza della sua condizione. Il discorso dominante subisce un’inversione di senso nel momento in cui noi diventiamo il soggetto che agisce e produce un nuovo modo di vivere e per fare questo lavoriamo insieme: insieme, scavalchiamo i processi che ci vedono passivi ricettori di servizi che diminuiscono ogni giorno; scavalchiamo la condizione di utente e di idoneo non vincitore di borse con criteri sempre più selettivi;  scavalchiamo la condizione di vittima di un sistema ingiusto e iniquo verso l’attivazione dal basso.

La retorica meritocratica, che legittima la perdita progressiva del welfare universitario, trova la sua morte nella presa di coscienza, nella destrutturazione delle categorie che ci sono imposte verso la creazione di nuovi linguaggi e pratiche conflittuali.  Infatti, ci sembra indispensabile, al fianco delle pratiche di riappropriazione, portare avanti la costruzione di un sapere altro e di un immaginario diverso da quello precostituito. Un sapere che ci aiuta ad agire con causalità nei territori e che riesca a restituire una connotazione di parte alla conoscenza. 

La conoscenza, la scienza e gli strumenti di cui si dota, non sono neutri, anche se vengono impartiti nell’aule accademiche come se lo fossero,  vorremmo perciò apprendere e usare la conoscenza per costruire e attraversare il presente e riscrivere un futuro come ce lo immaginiamo. L’inchiesta e la conricerca restituiscono il ruolo conflittuale al sapere nella misura in cui leggono il presente e ci restituiscono un sapere recuperato direttamente dalle sensazioni, dalle opinioni e dalle percezioni delle persone. L’oggetto, l’utente, lo studente, l’operaio diventa soggetto e si riprendono il proprio linguaggio, le proprie categorie e le proprie narrazioni. E infine nelle crepe di un sistema economico e politico in crisi la riappropriazione di pezzi di welfare ci riconsegna quel reddito necessario per sottrarsi al ricatto della precarietà delle nostre vite e non solo delle nostre, ma di tutti quei pezzi di società che cercano di riconquistare, con la lotta, quei bisogni che gli sono stati sottratti ingiustamente.

Oggi più che mai ci sentiamo vicini a chi nella metropoli riconquista pezzi di dignità come i lavoratori delle pulizie de La Sapienza, i lavoratori della logistica e quelli della Sanità. Ma tutto questo è ancora l’inizio!

La partecipazione che abbiamo visto durante la due giorni rappresenta, a nostro avviso, non solo la volontà di conoscere nuove esperienze di lotta ma più che mai dimostra che la rottura che abbiamo dimostrato all’interno dell’Ateneo funziona tanto quanto quella che vorremmo portare fuori. Quello che abbiamo condiviso nella due giorni e in questi due anni di attività è un rifiuto netto del potere dentro e fuori l’Università, delle politiche di austerity e di tutte le ricette preconfezionate che minano alla base la voglia incontenibile di mobilitarsi e di partecipare alla costruzione autonoma del proprio presente.

La riappropriazione l’abbiamo rappresentata come l’unica e possibile strada che possiamo percorrere per dimostrare che la rottura è possibile e siamo qui per praticarla. Quello che vogliamo è rendere riproducibile il progetto Degage!. Come si diceva durante l’assemblea, non un fine ma un mezzo, non una ma mille pratiche di riappropriazione. Il progetto Degage! vuole entrare e uscire dall’Università, vuole agire e restituirsi all’Università e alla metropoli tutta, come pratica fruibile, attraversabile e soprattutto conflittuale!

Progetto Degage!

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