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Donne palestinesi: uno sguardo che spera di superare l’orientalismo

In questi giorni nelle varie visite ai comitati delle donne e parlando con le donne e le ragazze palestinesi che lottano per la liberazione della loro terra e per le loro rivendicazioni, viene fuori quanto il quadro che l’occidente ha dipinto sia errato e soprattutto sottolinei solo parti di una realtà e ne silenzi altre. Quello che è sicuro è che qualsiasi sia la società in cui ti trovi, l’argomento della donna rimane un argomento insidioso e pieno di contraddizioni. A Ramallah incontriamo delle attiviste che lavorano nel comitato delle donne palestinesi nato nel 1979. Parlano dei vari obiettivi che il comitato ha portato avanti in questi vent’anni e li sta portando avanti tutt’ora. Obiettivi che si sviluppano su vari piani: quello sociale, quello politico e quello economico. Per quanto riguarda il piano sociale il tentativo è quello di far uscire di casa la donna, farla camminare per le strade, passeggiare e bere un tè.

Per quando riguarda il piano politico l’obiettivo è quello di far entrare attivamente la donne nelle lotte politiche e spiegano ad esempio che il fatto che il partito di Hamas abbia una percentuale quasi inesistente di donne al suo interno sia un grande problema per loro. L’ultimo piano che è quello economico e anche quello piu difficile da cambiare vista la situazione critica generale dell’economia palestinese – causata dai vari blocchi di esportazione e dai frequentissimi espropri delle terre – il tentativo rimane comunque quello di rendere indipendente la donna, indipendenza monetaria che le permetta di andarsene di casa in caso di abusi fisici o mentali, dove in molti casi l’assenza di questa indipendenza ha rinchiuso in casa donne costrette a subire non avendo alternativa.

Spostandoci a Jenin un’altra attivista del movimento femminista palestinese parla della differenza della donna che vive nei villaggi, solitamente piu conservatori e tradizionalisti dove la religione ha un’influenza quasi totalizzante , rispetto invece alla donna che vive nelle citta dove la situazione risulta migliore, grazie anche alle varietà di persone che ci vivono, cosa che per altro non risulta cosi differente da molte situazioni che viviamo oggi in tantissimi paesi occidentali. Chiediamo poi cosa pensano della resistenza armata delle donne curde, rispondono: “ Sosteniamo questa lotta, sosteniamo le donne curde e soprattutto sosteniamo tutto il popolo curdo che resiste nel suo territorio”.

Nel pomeriggio incontriamo una redattrice radiofonica, laureata all’università di lingua araba e giornalismo a Jenin. Lavora in una radio indipendente locale e nelle varie chiacchiere ci parla del suo sogno di trasferirsi a Ramallah, città molto piu “aperta”. Veniamo poi invitati dalla studentessa nella sua casa per riposarci un po’ e tra presentazioni e chiacchiere passiamo dal bere un tè a fermarci per cena. Durante la cena notiamo che l’unica donna seduta a tavola sono io. Mi giro e le chiedo perché non si siede con noi a mangiare e risponde che non ha fame, non è cosi, l’ho visto fare anche nel mio paese , le donne non siedono a tavola con gli uomini, preparano il cibo, imbandiscono la tavola ma non si siedono.

A Betlemme incontriamo un gruppo di ricercatori italiani che ci parlano di come in realtà il velo prima in Palestina si usasse di meno ma che ora molte donne lo mettano come simbolo identitario poiché questo tentativo di eliminare la popolazione palestinese ha scatenato un forte sentimento comunitario che si realizza nel concreto attraverso vari simboli di riconoscimento.

Quello che perciò viene fuori tramite questi incontri è proprio che una società da sempre maschilista è difficile da scardinare, ma lo è in qualsiasi posto del mondo. Inoltre è indispensabile sottolineare che l’arroganza dei media spesso dipingono questa situazione in modo poco realistico, strumentalizzando certi fattori presenti nella società islamica e omettendone altri. Quello che perciò dovrebbe essere chiaro è che il percorso di decostruzione di un certo stereotipo di donna è difficile – spesso anche a causa della normalizzazione e dell’accettazione della donna stessa rispetto certi atteggiamenti insiti nella cultura- ma è indispensabile ricordare che lo è ovunque, nei diversi gradi e livelli. Risulta perciò doveroso uscire fuori da quest’atteggiamento di superiorità tra culture ed iniziare a ricavare insegnamento e crescita da ogni esperienza con un occhio critico e lucido.

(*) Corrispondente dalla Palestina per Infoaut e Radio Onda d’Urto

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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