Il movente razzista: giustizia per Willy
Riprendiamo questo testo postato su facebook dal collettivo di afrodiscendenti Ujamaa che ritorna sulla narrazione politica e mediatica messa in campo intorno all’omicidio di Willy Monteiro Duarte. Una riflessione che pone il focus sul contesto in cui si è sviluppata l’aggressione al giovane, quella del razzismo strutturale che imperversa nel nostro paese e dell’inclusione differenziale a cui sono sottoposti i migranti di prima o seconda generazione. Una riflessione che sottolinea una dura verità e cioè che anche in Italia, tra il razzismo manifesto delle destre e quello peloso delle sinistre, la vita di chi non è bianco vale di meno.
L’Italia è il paese in cui mentre ci si inginocchia urlando Black Lives Matter, si nascondono sotto la sabbia le manifestazioni del razzismo a casa propria. L’Italia è quel paese in cui un ragazzo nero di vent’anni perde la vita massacrato dalle botte di quattro fascisti e l’opinione pubblica nega la matrice razzista dell’accaduto.
In questo paese si cercano i moventi razzisti, si cercano indizi sulle reali intenzioni degli assassini. C’è addirittura chi li giustifica o li commisera, dando la colpa allo sport, alle compagnie, alla movida, a tutto tranne che al sistema legale, economico, sociale e politico legittima la violenza razzista.
Si, perché in Italia si può morire di razzismo, lo raccontano le morti di Soumalia Sacko, Diop Mor, Samb Moudou, Adnan Sidiqque; nonché tutte le morti che riempiono di vergogna il Mar Mediterraneo, le nostre campagne e le strade delle nostre città.
Abbiamo davvero bisogno di trovare moventi?
In un paese in cui la gestione della crisi sanitaria è avvenuta a spese dei migranti, additati come untori e responsabili della diffusione coronavirus.
In un paese in cui un* ragazz* non può accedere alla cittadinanza perché figl* di stranier*.
In un paese in cui i titoli di soggirono sono un ricatto invece che un diritto.
In un paese in cui il Ministro degli Esteri alimenta la profusione di battute razziste per poi cancellare il post senza neanche chiedere scusa.
Servono ulteriori indizi per spiegare che il razzismo in questo paese è sistemico e che modella la nostra vita, le nostre possibilità, il nostro sentire comune, il nostro modo di relazionarci, esprimerci e leggere la realtà?
In un paese in cui una donna nera non è libera di camminare per strada senza essere ricoperta di insulti razzisti e sessisti.
In un paese in cui essere nero equivale ad essere un criminale.
In un paese in cui un ex partito della maggioranza al governo propone di limitare l’accesso ai mezzi pubblici per i migranti.
In un paese in cui il corpo nero è ancora concepito come altro, esotico, oggetto.
In un paese in cui i lavorator* stranier* sono relegati alle nicchie a più alto sfruttamento lavorativo e lasciat* senza casa.
E’ davvero necessario trovare moventi dichiaratamente razzisti perché si chiamino le cose con il loro nome?
Willy è morto ucciso dalle botte di 4 fascisti, in una rissa in cui nonostante siano intervenute altre 4 persone, l’unica vittima è nera. I 4 assassini sono stati arrestati, però Willy non avrà mai giustizia se il paese che piange la sua morte, non inizia a riconosce ed accettare che il razzismo esiste e che è un problema anche italiano.
Il negazionismo di questi giorni, manifestato anche da chi dovrebbe essere nostro alleato è l’ennesimo bavaglio sulla bocca, l’ennesimo delirio di chi pretende di sapere senza aver mai vissuto niente sulla propria pelle, l’ennesima lezione fatta da chi non prende atto di avere un privilegio e non riconosce un problema solo perché non lo tocca personalmente.
Noi vorremmo trasformare la paura, la tristezza e la rabbia per la morte di Willy, in forza per costruire un percorso di lotta antirazzista insieme fondato sull’ascolto e non sulla prevaricazione, sul confronto e non sull’oppressione. Lo dobbiamo a Willy e a tutt* quell* che come lui hanno trovato la morte in un paese che non ancora stenta a riconoscere il proprio dolore.
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