Obiezione di coscienza: se la scelta della donna non conta
Anche il ginecologo che seguiva il caso della donna, si rifiutò di farla ricoverare perché obiettore di coscienza. Dopo vari tentativi, la giovane donna riesce ad avere da una ginecologa del Pertini il foglio di ricovero. Il 27 ottobre Valentina entra in ospedale e inizia la terapia per indurre il parto ai fini dell’aborto. Dopo 15 ore di dolori lancinanti, vomito e svenimenti, abortisce dentro il bagno dell’ ospedale con il solo aiuto di suo marito.
La storia è stata resa nota da un’associazione a cui la donna si è rivolta, ed è stata racontata durante una conferenza stampa che aveva l’obiettivo di riportare all’ordine del giorno la contradditoria e problematica legge 40 a radice della richiesta da parte della coppia all’accesso alla fecondazione assistita per poter conoscere lo stato di salute dell’embrione prima del trasferimento in utero come previsto dagli artt. 14 c.5 e 13 c 2 L.40/04. I due si sono dunque rivolti all’Azienda USL Roma A, presso l’Unità Ospedaliera di Fisiopatologia della Riproduzione e Fecondazione Assistita, Centro per la Salute della Donna S. Anna, dove il Responsabile Dr. Antonio Colicchia ha dichiarato che la struttura “non eroga la prestazione di diagnostica genetica preimpianto”. Dopo un ricorso fatto attraverso un’associazione, il tribunale sembra ora dare ragione alla donna almeno sulla legge 40, affinchè chi ha malattie genetiche possa accedere alla fecondazione assistita, alla diagnosi pre-impanto, sollevando così dubbi di costituzionalità su questo punto della legge.
La vicenda qui sopra descritta è uno dei tanti casi (che rientra ad onor di cronaca) scaturiti ancora una volta dalla facoltà di medici e infermieri di scegliere di non adempiere alla legge 194 che dovrebbe invece garantire ad ogni donna il diritto ad un aborto libero e sicuro. La percentuale di obiettori all’interno delle strutture mediche, tende peraltro costantemente ad aumentare, perché rappresenta una scelta facile e indolore che rende ormai carta straccia la libera scelta iniziale di diventare ginecologi e lavorare nel pubblico, che vincola l’individuo a doveri e non solo a diritti professionali e privilegi, come di fatto è. Il risultato, manco a dirlo, è quello di avere una legge, la 194, che trova enormi difficoltà ad essere effettivamente applicata, anzi, che subisce numerosi attacchi ai fianchi, come dimostrano le diverse proposte di leggi regionali che promuovono l’ingresso dei volontari antiabortisti nei consultori pubblici.
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