Oltre un milione di persone al New York Pride
La polizia, all’origine dell’antico misfatto, circonda discretamente la manifestazione con soli compiti di gestione del traffico, anche se non manca qualche agente che, visibilmente nervoso, sbraita ordini alla folla ogni volta che può. Nel complesso il pride è una manifestazione totalmente inquadrata: per partecipare alla sfilata è necessario iscriversi e pagare una quota, e la folla che assiste è completamente controllata e transennata. Per il resto la performance di massa è come una grande torta simbolica a strati: alle differenze di genere o di trans-genere tra uomini, donne e transex si mescolano quelle del colore della pelle, presente in tutte le sue variazioni, e delle nazionalità, rappresentate dalle tante bandiere di stati, soprattutto centroamericani e sudamericani; e ancora quelle delle associazioni, delle città e delle marche commerciali che sponsorizzano i diversi spezzoni. Il pride, arrivato a questa svolta storica nel luogo da cui trae la sua origine, continua ad esibire quella che è stata la sua carta vincente, e che ha permesso a un numero sempre maggiore di persone di superare i propri pregiudizi contro chi compie scelte sessuali differenti: il delirio delle strade, i mille colori, la musica, l’esagerazione che non spaventa più nessuno (ma continua a far sorridere) e l’atmosfera di positività, festa e spensieratezza che solletica e tenta anche i più chiusi e i più conservatori.
Come sempre, non mancano le contraddizioni di un movimento in bilico tra apertura e solipsismo: il primo carro a sfilare è quello della comunità gay ebraica, che decide di sventolare bandiere israeliane accanto a quelle statunitensi. Nessuno sembra cogliere la contraddizione tra la rivendicazione del rispetto delle differenze e la bandiera di uno stato basato sulla discriminazione razziale e, come il suo maggiore alleato, sull’occupazione militare e sulla guerra. C’è uno striscione, in uno degli spezzoni successivi, con scritto: “Non si può essere liberi mentre altri soffrono”… ma si riferisce alle campagne contro l’uccisione di animali. Soltanto il Workers World Party, nel suo spezzone, ne vanta un altro con stampato: “Stop Pinkwashing Israeli Apartheid”, oltre ad alcuni (come quello che ricorda che gli omosessuali clandestini continueranno a non potersi sposare) che tendono ad allargare la visuale politica della giornata. Arrivato da tempo a una sorta di giro di boa – che è consistito negli ultimi anni, anche in Italia, nel dilemma se abbracciare un’apoliticità di comodo o legarsi alle istanze delle altre lotte sociali – il differenziato movimento glbtq esprime nella forma di una parata caoticamente disciplinata (e istituzionalmente patrocinata) l’ambiguità che lo attraversa: com’è possibile passare dalla protesta alla mera festa, e dall’alterità alla compatibilità politico-culturale, se la liberazione sessuale, e umana in genere, è ben lungi dall’essere compiuta?
Come prevedibile, nella sfilata vanno alla grande i vestiti da sposa. Due uomini di una certa età camminano per mano e tengono un cartello con scritto: “Promessi sposi da 30 anni: ora il matrimonio!”, mentre uno spezzone entra in scena con la scritta “Yes, We Do”. Una ragazza nera, con un taglio di capelli aggressivo, indossa una t-shirt con scritto: “No Boyfriend, No Problem”, mentre migliaia di persone alzano cartelli che ringraziano il governatore Andrew Cuomo (colui che ha firmato la nuova legge, presente alla sfilata assieme al sindaco Michael Bloomberg). Corpi palestrati di acrobati e ballerini, tra cui Mister Gay US, si alternano a chili di troppo pavoneggiati senza complessi. Da notare che lo spezzone di Staten Island era composto da tre persone. Senza dubbio lo spettacolo più impressionante è offerto dalle drag queens brasiliane e caraibiche, con i loro costumi sfavillanti; per tutte le strade del centro è un continuo viavai di persone vestite al di sopra delle righe, o seminude, e la popolazione di New York gradisce (come sempre) lo spettacolo. Certo c’è chi, come Tamara, giamaicana di 29 anni, residente ad Harlem, ritiene che i gay non dovrebbero ostentare per strada il loro modo di essere; o chi, come alcuni spettatori che hanno telefonato in diretta alle televisioni locali, è contrario alla legge per motivi religiosi.
Nel complesso, però, se oggi si facesse un referendum (come era avvenuto in California, dove una maggioranza di “no” aveva reso necessario abrogare una legge analoga), è molto probabile che i favorevoli, a NY, stravincerebbero. Le TV citano sondaggi secondo cui, attualmente, persino fuori città il 53% degli statunitensi è favorevole alle nozze gay. Nel 2009 una legge simile era stata respinta dal senato di NY a maggioranza democratica; oggi, con maggioranza repubblicana, i rappresentanti hanno raggiunto un’intesa. All’entrata e all’uscita dal senato sono passati attraverso due file di manifestanti, rispettivamente pro e contro la legge, che brandivano manifesti e striscioni. Una volta appresa la notizia dell’approvazione la comunità glbtq si è spontaneamente ritrovata a Washington Square per festeggiare, e ieri migliaia di lesbiche hanno sfilato autonomamente in corteo per le strade del Greenwich Village. Proprio durante le fasi più accese del dibattito ad Albany, dove è situato il senato dello stato, Barack Obama aveva incontrato la comunità glbtq a Manhattan, all’inizio di questa settimana, durante un happening pubblico di raccolta fondi per la campagna elettorale. Il presidente era al centro dell’attenzione perché, interrogato sul tema nei giorni precedenti, aveva detto di non essere favorevole alle nozze gay, contrariamente a quanto sostenuto in precedenza.
Quando, durante quella conferenza, ha affermato di volere l’eguaglianza di diritti tra omosessuali ed eterosessuali, dal pubblico si è levato il grido “Matrimonio!”, ma egli non ha ripreso quella parola, pur facendo allusioni umoristiche alle ragioni del suo silenzio (l’avvicinarsi della campagna per la sua rielezione e la necessità di ingraziarsi l’elettorato tradizionalista moderato). La CNN ha velatamente accusato il presidente di ipocrisia per questo comportamento, e le associazioni gay e lesbiche lo hanno gradito ancor meno: “Ci aspettavamo qualcosa che non è arrivato”; “Il silenzio di Obama su questo punto ha letteralmente riempito la sala”, hanno dichiarato all’emittente televisiva NY1 alcuni loro portavoce. La popolazione glbtq, però, sembra prendere le difese di Obama, e questo emerge chiaramente dalle interviste che Infoaut ha realizzato tra la folla del pride. “Il presidente deve accontentare le opinioni di tante persone diverse, e sta comunque facendo tante cose positive per l’ambiente e l’economia, quindi non me la prendo se non si è pronunciato direttamente” dice Kenny, 25 anni e di carnagione nera, arrivato a New York da Atlanta (Georgia) apposta per il pride.
Samir, 37 anni, di origini arabe, assiste alla sfilata con moglie e figlia, e dice che era tempo che New York indicasse il cammino per tutti gli altri stati dell’Unione. Aggiunge: “Obama ha tanti grattacapi in questo momento e deve fare campagna elettorale, quindi è normale che non voglia esporsi”. Gli fa eco Jasmine, 18 anni, di origini caraibiche, che aspetta i suoi amici a lato della parade: “Sono totalmente favorevole al matrimonio gay, ci mancherebbe. Ho un sacco di amici gay. Credo che Obama voglia rimanere neutrale, perché rappresenta troppe persone per potersi sbilanciare su ogni cosa”. Mike, afroamericano arrivato da Washington, guarda la sfilata per mano al suo fidanzato e commenta: “Il presidente non è sincero quando dice che non appoggia i matrimoni gay. È quello che deve dire per motivi politici, perché è attaccato da tutte le parti dai conservatori su altri temi. Ha già fatto tanto per la comunità glbtq in questi due anni e mezzo, e molto altro farà se sarà rieletto”.
Tra i provvedimenti considerati più significativi dalla comunità gay si ricordano l’abrogazione della politica del “Don’t ask, don’t tell” nell’esercito (gli omosessuali potevano essere ammessi soltanto a patto che mantenessero segrete le loro inclinazioni) e la fine dei ricorsi federali per difendere il Marriage Act (le legge federale che definisce tradizionalmente il matrimonio). Fino ad oggi soltanto alcuni altri stati del nord-est “liberal” (Massachusetts, Vermont, Connecticut, New Hampshire, Washington D.C.) e lo Iowa riconoscono le nozze gay. Quel che è certo è che questa legge, ben più della sua precedente assenza, rende giustizia alla celebre compostezza dissacrante della città di New York. “La politica non mi interessa, ma non vedo perché bisognerebbe impedire ai gay di essere felici. I matrimoni eterosessuali finiscono spesso molto male, quindi non si vede perché gli etero dovrebbero insegnare ai gay qualcosa su questo punto” dice Guerline, 23enne haitiana con genitori separati (il padre è poi morto nel terremoto) e sette fratelli in una casa a Coney Island. Jelena, 35 anni, separata e con un figlio che gioca a Central Park, si stupisce della domanda: “Perché mai dovrei essere contraria? Semmai mi meraviglio che ci sia ancora gente che vuole sposarsi!”.
Redazione Infoaut da New York
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