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Strage di Cutro: i superstiti del naufragio trattati come animali

La denuncia dei legali: “I 98 sopravvissuti nell’ex Cara in condizioni disumane”. Panchine al posto dei letti, bagni promiscui e senza riscaldamento.

da Osservatorio Repressione

“Sono trattenuti in forma arbitraria in due capannoni inadeguati non solo per chi è scampato a un naufragio terribile, ma per qualunque essere umano. Vanno chiusi”. La voce della professoressa Alessandra Sciurba, docente all’università di Palermo e coordinatrice della Clinica legale Migrazione e diritti, racconta l’altra faccia della tragedia di Steccato di Cutro. “Da un lato c’è un paese che si commuove, dall’altro ci sono persone che si vedono negati i propri diritti”.

Da venerdì si trova a Crotone, come volontaria con una parte della clinica legale Migrazioni e diritti dell’Università (che coordina) e con altre associazioni. Alessandra Sciurba, docente universitaria palermitana e giurista, non usa mezzi termini per descrivere cosa si è trovata di fronte quando ha potuto incontrare i migranti sopravvissuti al naufragio di Cutro, donne e bambini riusciti a scampare alla morte che ha invece inghiottito almeno 70 persone che erano a bordo del caicco partito dalla Turchia e spezzatosi in due a circa 100 metri dalla spiaggia calabrese.

Per Sciurba però al dramma che si è consumato di fronte alla spiaggia di Cutro, ne sta seguendo un secondo coperto dal silenzio. Se infatti in mare “ha prevalso la logica di polizia e difesa dei confini su quella del soccorso delle persone in pericolo, in terra prevale la logica del confinamento e della punizione di chi emigra sul rispetto dell’umanità”.

Così i sopravvissuti al naufragio, provati nel fisico e nell’animo per aver perso in molti casi un familiare nella traversata del Mediterraneo finita in tragedia sulle coste calabresi, sono tenuti “in un hotspot improvvisato. Una piccola Lampedusa anche per loro. Con letti improvvisati, panchine per dormire e donne e bimbi sistemati nella stessa area degli uomini”.

Prima di lasciare Crotone Sciurba non manca di criticare le istituzioni: “Non sapevo se avesse senso venire, se potessimo essere utili. E invece è stato importantissimo farlo – racconta – Qui serve tutto. Ben oltre la commozione e le visite brevi delle istituzioni“.

Abbiamo aiutato noi, per due giorni, le brave assistenti sociali del Comune di Crotone a compilare i moduli per il rimpatrio delle salme. Un tavolino a poca distanza dalle bare per chiedere a papà che hanno perso la moglie e i figli, a figlie che hanno perso la madre, a fratelli che hanno perso una sorella e i suoi bambini di pochi anni, dove desiderassero che quei corpi venissero infine portati“, aggiunge la docente palermitana, già portavoce di Mediterranea Saving Humans.

Moltissimi chiedono che le salme tornino in Afghanistan, nonostante siano fuggiti proprio dal regime dei talebani, e bisogna trovare il modo, anche se è difficile e può essere pericoloso proprio per queste famiglie, di dare dignità almeno a questo desiderio“, spiega ancora Sciurba, ma “non ci sono notizie sui fondi destinati al trasporto di questi corpi. Non ci sono informazioni certe su nulla. Le famiglie arrivate da ogni dove sono confuse, frustrate, disperate“. “I ragazzi e le ragazze dell’associazione Sabir di Crotone fanno tutto quello che possono – dice ancora la volontaria – Così come i sommozzatori e tutte le squadre che ancora continuano nella ricerca dei corpi, certamente più di 30, che sono ancora dispersi“.

Domenica pomeriggio Alessandra Sciurba è stata sulla spiaggia di Steccato di Cutro, “con queste madri e padri e nonni e figli e fratelli e sorelle di chi non ce l’ha fatta, cercavamo di spiegare come sia stato possibile“. “Ma le parole mancano – aggiunge ancora – E la certezza che questo paese abbia delle colpe imperdonabili ti toglie il fiato quando scopri, come è successo a noi, entrando dentro il Cara di Crotone prima col Comune e poi con l’Onorevole Franco Mari, dove sono stati collocati i sopravvissuti“. “I superstiti delle famiglie spezzate di cui tutta Italia ha pianto la tragedia, sono reclusi in due capannoni antistanti al centro, due magazzini – dice – Un hotspot improvvisato con la metà dei letti che servirebbero, gli altri dormono sulle panche. Donne e minori in mezzo agli uomini adulti. Il bagno in comune. Le pareti scrostate, nessun riscaldamento. Niente lenzuola. Niente scarpe chiuse. Nemmeno la possibilità, essendo confinati lì se non per poche uscite programmate e scortate, di restare accanto alle bare e ai parenti venuti qui a Crotone da lontano per identificare e piangere i morti. Ed è difficile rispondere mentre chiedono come potere superare le rigidità insensate delle leggi europee che gli vietano di seguire le salme dei loro cari nei casi in cui queste verranno portate in altri paesi UE dove si trovano familiari partiti prima di loro“.

Oltre alla verità e alla giustizia sulla morte delle loro famiglie, è loro negata adesso, in terra italiana, anche la dignità delle vittime“, è l’amaro commento al trattamento riservato a chi è sfuggito alla morte.

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