Che Italia ha in mente la Meloni? Quella delle piccole-medie imprese ad alto coefficiente di sfruttamento
L’impronta economica del nuovo governo è stata tracciata chiaramente in una semplice frase durante il discorso alla camera: “Il nostro motto sarà non disturbare chi vuole fare” ed in maniera più esplicita “Chi oggi ha la forza e la volontà di fare impresa in Italia va sostenuto ed agevolato, non vessato e guardato con sospetto”.
La matrice dunque è chiara, quella del laissez faire declinata nella modernità capitalista che echeggia la nuova destra americana. Conservatorismo sociale e liberismo economico contemperato dai climi mediterranei. Al netto della vittimizzazione continua dell’imprenditoria italiana – come se negli ultimi anni avessero governato socialisti inferociti e non banchieri propensi a realizzare i desiderata di Confindustria in ogni ambito – qual’è l’Italia che per Meloni non va disturbata?
Anche qui basta aprire le pagine dei giornali per rendersene conto: tra innalzamento al tetto dei contanti, taglio al cuneo fiscale e contrapposizione al reddito di cittadinanza ed al salario minimo come strumenti di dignità, il governo ha in mente un referente ben preciso, il sistema delle piccole e medie imprese italiane.
Ora intendiamoci, la definizione di piccole e medie imprese è un calderone dove ci si può trovare di tutto, dal piccolo esercizio commerciale a gestione familiare, alla azienda con migliaia di impiegati collocata all’interno della filiera internazionale del valore. Dunque questa categoria, tanto cara alla statistica italiana, è un po’ povera di accuratezza.
Ma è al contrario ben chiaro chi trarrà benefici dalle politiche del nuovo governo e saranno quelle aziende ad alto coefficiente di sfruttamento che sostanzialmente avranno il via libera a estrarre ancora più valore dal lavoro povero. Dobbiamo continuamente sorbirci la balla che il problema strutturale dell’impresa italiana sta nella scarsa produttività del lavoro, ma la verità è che buona parte del sistema imprenditoriale italiano è basato su produzioni di beni e servizi a scarso valore aggiunto che per fare profitti devono estrarre la maggiore quantità di sfruttamento dal lavoro e di risorse dalla devastazione ambientale, abbattendo i costi di produzione in ogni direzione possibile (si veda la sicurezza sul lavoro o l’inquinamento ambientale). E’ il sistema dei distretti, della logistica (quella su ampia scala e quella urbana), del terziario basso e della Grande Distribuzione. Il sistema in cui lavoro nero, contratti da fame e ipersfruttamento sono la quotidianità. Quando non si tratta di aziende totalmente parassitarie che assomigliano a truffe legalizzate.
E’ un mondo in cui la legalità è un concetto totalmente relativo (su cui le istituzioni chiudono volentieri entrambi gli occhi) ed a dominare sono i rapporti di forza tra lavoratori e lavoratrici da un lato ed aziende dall’altro. Un mondo in cui il capitale mafioso e para-mafioso trova ampia valorizzazione. Sicuramente questa visione dell’economia non è una novità, la tendenza è tracciata da anni, ma stiamo assistendo chiaramente ad un approfondimento che è condito dall’attacco su ogni piano, compreso quello giudiziario, nei confronti di chi prova a rivendicare condizioni di vita e di lavoro migliori.
Si parla tanto di abbassare la tassazione sul lavoro, il che di per sè non è del tutto negativo, ma questa tassazione è già oggi interamente scaricata dalle aziende sui salari, per cui il reale effetto redistributivo di questa misura è tutt’altro che certo: la verità è che si tratta solo di garantire nuovi e maggiori profitti in un paese in cui i salari non crescono da trent’anni.
Questa è la visione dell’Italia che ci aspetta, una visione vecchia ed in parte antistorica (cosa rimarrà di questi settori di fronte alla competizione globale sempre più accesa ed alla crisi ecologica?), ma in cui chi è aggrappato al proprio privilegio è disposto a tutto pur di conservarlo. Questo è un attacco sostanziale alle condizioni di vita dei più poveri che non può passare sotto silenzio ed essere normalizzato ed anche la traccia di un lavoro politico a venire, di una forza da costruire.
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