Chi controlla l’informazione in Italia?
Riceviamo e pubblichiamo questo articolo di Giovanni Castellano sul processo di accentramento che stanno vivendo i gruppi editoriali, sulla sempre maggiore relazione che sussiste tra le grandi famiglie imprenditoriali italiane e l’informazione e sul suo utilizzo per orientare l’opinione pubblica.
Molto spesso una notizia che può sembrare insignificante nasconde invece un significato importante che non è facile comprendere se non si analizzano le conseguenze profonde della stessa. Leggere che “il 23 aprile si è conclusa la vendita della partecipazione del 43,78% di CIR in GEDI in favore di Giano Holding, società per azioni detenuta da EXOR” non desterebbe infatti l’interesse di nessun lettore che non abbia una particolare conoscenza delle dinamiche che muovono il capitalismo italiano.
In realtà dietro questa operazione si cela il passaggio di proprietà del quotidiano Repubblica, ma anche de L’Espresso, HuffPost Italia, la Stampa, il Secolo XIX, Limes, MicroMega, Radio DeeJay, Radio m2o, Radio Capital e tanto altro ad una holding finanziaria olandese controllata dalla famiglia Agnelli.
La Repubblica, precedentemente pubblicata dal gruppo editoriale della famiglia De Benedetti, finisce quindi sotto il controllo diretto dagli Agnelli, che hanno spostato il centro degli interessi finanziari nei Paesi Bassi per ovvie ragioni economiche.
Queste possono sembrare informazioni poco utili agli occhi di un lettore poco attento. Eppure è importante richiamare l’attenzione sul fatto che la promozione di un dibattito democratico non può prescindere dalla richiesta di garantire l’autonomia e l’indipendenza degli organi di informazione non solo dal potere politico, ma anche dai grandi gruppi d’interesse.
Se i maggiori organi d’informazione sono controllati, infatti, dai grandi gruppi economici la visione del mondo fornita da queste testate si discosterà difficilmente dall’ideologia dominante.
Pur riconoscendo la possibilità che qualche giornalista coraggioso possa provare a imporre un discorso differente, sarà molto più difficile veicolare, in questo caso, dei messaggi che confliggano con gli interessi del grande capitale nazionale e internazionale.
Per questo motivo può essere utile comprendere chi sono gli attuali proprietari dei principali organi d’informazione italiani, tenendo presente che spesso questi quotidiani riescono a imporre l’agenda politica anche alle realtà più piccole, decidendo gli argomenti da trattare ogni giorno; inoltre i grandi giornali forniscono le fonti d’informazione primarie alle quali possono poi attingere gli altri organi di informazione.
Se La Repubblica è il giornale più seguito nel centro-sud, il giornale più letto nella parte settentrionale del Paese è certamente il Corriere della Sera; capire chi controlla questo giornale vuol dire conoscere un importante spaccato del capitalismo italiano.
Gran parte delle azioni del Gruppo Rizzoli (RCS MediaGroup) sono ora nelle mani di Urbano Cairo, il manager milanese con un passato nelle aziende di Berlusconi, che gli è valso una condanna in via definitiva per i reati di appropriazione indebita, fatture per operazioni inesistenti e falso in bilancio. Molti avranno avuto la possibilità di ammirare l’imprenditore lombardo, tra le altre cose proprietario di La 7 e presidente del Torino, in un video diffuso nelle scorse settimane, nel quale lo stesso si mostrava raggiante per le opportunità offerte dalla pandemia a tante realtà imprenditoriali.
Importanti quote del capitale azionarie del Gruppo Rizzoli sono inoltre detenute dalla potente Mediobanca, dall’imprenditore Diego Della Valle (proprietario di Hogan e Tod’s e importante azionista di Italo), dall’assicurazione Unipol e dalla multinazionale Pirelli (ormai controllata da un’impresa pubblica cinese).
Meriterebbe un capitolo a parte l’impero creato da Silvio Berlusconi, a partire da Mediaset, Mondadori, Il Giornale e Panorama (quest’ultima finita da poco nelle mani di Maurizio Belpietro). Molti hanno scritto in merito al conflitto d’interessi dell’imprenditore lombardo, ma qui basta ricordare che i giornali e le televisioni commerciali possedute da Berlusconi non solo hanno agevolato il suo personale percorso politico ma hanno anche profondamente influito sull’immaginario collettivo degli italiani, favorendo la diffusione del processo di deculturazione del Paese.
Per quanto riguarda La Stampa, la sua storia è legata alla famiglia Agnelli sin dal 1920 e, come è stato anticipato precedentemente, è appena tornata nelle loro mani, insieme alle altre realtà del gruppo GEDI. La potente famiglia di costruttori Caltagirone possiede, invece, il controllo su Il Messaggero, Il Mattino, Leggo e il Gazzettino, mentre il quotidiano cattolico Avvenire è controllato direttamente dalla conferenza dei vescovi italiani (CEI).
Un particolare cenno va fatto all’eccezione rappresentata dal quotidiano comunista Il Manifesto e dal giornale Il Fatto Quotidiano, molto vicino alle idee del Movimento Cinque Stelle. Il primo, infatt, è edito da una cooperativa composta dai propri giornalisti, mentre il secondo è pubblicato da una società di capitali controllata, in misura maggioritaria, da alcune grandi firme del giornale.
Per quanto riguarda l’informazione economica, infine, il quotidiano più letto è sicuramente Il Sole 24 Ore, testata ufficiale di Confindustria, la principale organizzazione rappresentativa degli industriali; Italia Oggi, così come Milano Finanza, Capital e Class sono controllate, invece, da una società residente in Lussemburgo, per cui è difficile comprendere chi siano i reali proprietari.
Finora abbiamo analizzato come i grandi gruppi d’interesse possono avere una propria influenza sull’informazione controllando in maniera diretta le società editrici. Ci sono però tanti altri modi attraverso i quali questi gruppi possono far sentire il proprio peso sul mondo dell’informazione.
Mentre una piccola testata online sostiene normalmente dei costi relativamente bassi, basandosi perlopiù sul contributo volontario dei propri giornalisti, un giornale più importante deve invece sostenere delle spese molto più cospicue, soprattutto se vuole remunerare in maniera adeguata i propri giornalisti.
In particolare sarà essenziale per un giornale di un certo rilievo reperire delle informazioni “di prima mano” ricorrendo a giornalisti presenti nei diversi contesti; l’alternativa è il ricorso alle veline governative e al semplice “copia e incolla” dei comunicati ufficiali, sminuendo così il ruolo di controllo dell’informazione.
Per questo motivo le principali testate finiscono spesso per finanziarsi inserendo pubblicità nelle pagine del proprio giornale; in questo modo è più difficile garantire un buon livello di autonomia rispetto ai grandi interessi economici. Un giornale molto critico nei confronti di Confindustria avrà, ad esempio, molta più difficoltà nel trovare imprese disposte a inserire uno spazio pubblicitario rispetto ad un’altra testata con una posizione più morbida nei confronti del mondo imprenditoriale.
Se guardiamo al mondo dell’informazione online possiamo pensare che un aiuto può venire dalla capacità dei giornali di catturare visualizzazioni (e quindi risorse). Questo metodo, che potrebbe sembrare profondamente democratico, in realtà nasconde un grave problema.
Un lettore che acquista un giornale cartaceo, infatti, spendendo una piccola somma, dimostra di fidarsi di questa testata, di ritenerla in qualche modo affidabile. Nel mondo della rete, invece, siamo portati a visualizzare anche contenuti la cui affidabilità è incerta o che, comunque, non apprezziamo molto.
Come dimostrano le ormai usuali polemiche nei confronti di Vittorio Feltri, guardare un video o leggere un articolo non corrisponde necessariamente a un attestato di stima; in molti casi siamo addirittura portati a “regalare visualizzazioni” a personaggi che detestiamo profondamente, cadendo nella trappola dei professionisti della provocazione.
In linea generale, dando un’occhiata ai contenuti diffusi nel web, possiamo constatare che è facile ottenere visualizzazioni alimentando polemiche sterili, facendo un tipo di informazione sensazionalistica, diffondendo fake news o teorie complottista, seminando odio e intolleranza.
Provare a fare un giornalismo affidabile, corretto, tentare di fornire una visione dei fatti alternativa rispetto a quella dominante non è certamente la via maestra per ottenere facili risultati, se utilizziamo il metro di giudizio delle visualizzazioni ottenute.
Se un grande giornale, per far fronte alle spese necessarie per garantire un servizio di qualità, ricorre quindi al sostegno finanziario diretto o indiretto (tramite la pubblicità) delle grandi imprese limiterà fortemente la propria autonomia.
Si pone pertanto l’alternativa del ricorso al finanziamento pubblico all’editoria, ma attualmente quest’ultimo è regolato da una normativa molto confusa che finisce per privilegiare i giornali che godono dell’appoggio dei gruppi politici presenti in Parlamento.
Per questo motivo sarebbe opportuno riconsiderare tale normativa cancellando tutte le forme di finanziamento clientelare e permettendo un sistema trasparente che premi l’editoria indipendente, sulla base delle preferenze espresse dagli stessi cittadini.
La libertà di espressione è solo una delle componenti della vita democratica di un Paese perché questa forma di libertà può servire a poco se il modo in cui si forma l’opinione pubblica è influenzato dal potere del grande capitale nazionale ed internazionale.
Per questo motivo l’indipendenza del mondo dell’informazione è un requisito fondamentale per garantire il rispetto dei principi democratici ed è importante sostenere in ogni modo chi cerca di offrire un’informazione autonoma dal potere politico ed economico.
Giovanni Castellano
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