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25 Aprile irrompe la discordia: scontri a Firenze

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“Lei parla tanto di giovani e di libertà. Ma a noi non è permesso manifestare questo 25 aprile. E non è giusto. Dal palco di quella manifestazione dovremmo parlare noi giovani”. E’ uno studente delle scuole superiori che prende il microfono. Con queste parole, nella giornata di ieri, metteva sotto accusa il sindaco Nardella arrivato nella periferia ovest della città per l’omaggio al partigiano Sarti, deceduto pochi mesi fa. Si riferisce al divieto di ingresso nella piazza delle celebrazioni ufficiali disposto per la manifestazione antifascista e dell’opposizione sociale. Nardella va in imbarazzo e inciampa anche questa volta. La periferia non è il suo terreno, nemmeno quando si circonda di fedayn con le tessere CGIL e PD a fare da claque.

Oggi in via del Proconsolo, a poche decine di metri da una piazza della Signoria blindata per il comizio del Sindaco, sono centinaia i ragazzi e le ragazze che spingono sullo sbarramento della polizia. Una, due, tre volte. Parte qualche carica di alleggerimento, ma la testa resiste ed insiste. Il corteo si riprende le strade di un centro militarizzato finendo nel quartiere di Santa Croce. In piazza dei Ciompi il ricordo per Lorenzo “Orso”, caduto in Siria. E le parole dei migranti del Si Cobas protagonisti delle lotte operaie nelle fabbriche pratesi: “Stiamo combattendo una guerra”.

L’annuncio del candidato leghista Bocci della sua non-partecipazione alle celebrazioni della liberazione hanno alimentato negli ultimi giorni le peggiori retoriche con cui da sinistra si è snaturata e neutralizzata la memoria dello sciopero insurrezionale antifascista di 74 anni fa: vogliono che il 25 aprile sia una festa, e vogliono che sia di tutti.

Nel dibattito nazionale, al Salvini che si defila dalle celebrazioni, la sinistra risponde dalle colonne degli editoriali per convincerlo che quella “è anche la sua festa”. Landini lo invita a ringraziare i partigiani che hanno combattuto per renderlo libero di governare la Repubblica: vincitore.
Nelle retoriche della sinistra quanto dai palchi istituzionali, più che la liberazione, si celebra e si festeggia la pacificazione. Il sogno di un patto sociale eterno, senza conflitti. E il partigiano diventa il mito di chi ha agito un conflitto di cui non c’è più bisogno. Dicono loro.

La piazza Signoria delle celebrazioni “ufficiali” infatti è aperta a tutti. Ma non a chi vuole lì dentro portare lo scandalo della discordia. Sono i soggetti abituati a essere parlati, offesi, umiliati dal discorso politico dominante che, declinato su due frame diversi, accomuna i partiti dalla Lega al Pd.  Il divieto pesa su quelli che in quella giornata hanno lanciato la sfida al palco istituzionale: “vogliamo parlare noi”. Sono soprattuto giovani, anzi giovanissimi delle scuole superiori. Quelli di cui la politica tanto parla, e che la politica non vuole che parlino. Nel catalogo evergreen delle retoriche dei 25 aprile istituzionali, infatti, l’appello ai “giovani che non si interessano più della politica e dei valori antifascisti” è sempre tra i più gettonati. E’ soprattutto tra queste generazioni che compongono il mondo dei “giovani” che la discordia è una realtà. Come potrebbe essere diversamente dopo anni di costi della crisi scaricati sulle condizioni presenti e future di vita delle generazioni più giovani? E’ la “loro” politica che non interessa. Da quella politica arrivano solo prediche paternaliste: o sono menefreghisti da educare o scansafatiche da togliere da sopra al divano. I giovani che hanno lanciato la sfida al 25 aprile di Nardella invece hanno molto da dire, e molta voglia di partecipare. Ma non per applaudire i comizi. 

“Liberazione” come questione e compito della nostra attualità. L’antifascismo come pratica dello scontro tra conservazione e sovversione del presente, tra coraggio della rivolta e infamia dell’oppressione (a partire dalla sua doppiezza che si definisce sulle linee di genere e di razza…) . La discordia come fatto sociale e reale da politicizzare e fare esprimere verso l’alto. Con queste lenti si può guardare alla ricorrenza e scoprirne un uso utile.
E sbattere in faccia ai vari Nardella che di “anacronistico” resta solo il loro sogno di quella generale concordia e pace sociale.

 

 

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