“E allora le foibeh?!”
10 febbraio: Giorno del Ricordo. Partiamo della indecorosa propaganda “culturale” portata avanti in queste ultime settimane dalla Regione Piemonte – più di 30000 euro di soldi pubblici – per divulgare l’immagine di un “genocidio del popolo italiano” compiuto sul confine orientale dalle forze partigiane jugoslave.
Facciamo un po’ di chiarezza, sia sui fatti storici, sia su come dagli anni Novanta e con sempre maggior legittimazione da parte istituzionale venga messa in atto una strumentalizzazione della memoria da parte di forze politiche neofasciste.
Perché è improprio parlare di “italiani” al confine? Perché non si può parlare di “pulizia etnica”? Cosa sono le foibe? Quali sono i contesti politici di questi avvenimenti? E della ricostruzione dei fatti?
Lo facciamo attraverso la lettura di alcuni pezzi scelti dal libro di Eric Gobetti, “E allora le foibe?”, edito da Laterza (2021).
Un estratto:
«Con la fine della Guerra Fredda, infatti, anche il contesto politico italiano è cambiato. Gli eredi del Partito comunista, fondatori del PDS, poi DS, riescono ad uscire quasi indenni dagli scandali di Mani Pulite. Hanno tuttavia urgente bisogno di una nuova legittimazione politica non più basata sull’ideologia. Per poter diventare partito di governo, è necessario presentarsi come forza politica nazionale e il riconoscimento ufficiale della vicenda delle foibe sembra funzionale a questa strategia. Esso consente di deplorare un “crimine del comunismo” e al tempo stesso di mostrarsi paladini della nazione, celebrando le vittime italiane della repressione straniera. Questa operazione politica trova ampia e comprensibile accoglienza dalla parte opposta dello spettro parlamentare, ovvero in quella forza neofascista che a sua volta ha necessità di legittimarsi come partito di governo, ovvero Alleanza nazionale.
È dunque una particolare congiuntura politica che porta alla ribalta la questione delle foibe e dell’esodo, che da tema storico tabù per tutti gli schieramenti entra improvvisamente nell’agenda politica dei principali partiti. Tutto ciò conduce, nel giro di pochi anni, all’istituzione di una giornata commemorativa. Con la legge n. 92 del 30 marzo 2004, votata in maniera bipartisan dalla stragrande maggioranza del parlamento, “la Repubblica riconosce il 10 febbraio quale ‘Giorno del Ricordo’ al “fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. […] Nel momento in cui questo tema è entrato nel discorso pubblico lo ha fatto con il linguaggio, gli slogan, le parole d’ordine degli unici che ne avevano fatto un uso politico fino ad allora: i nazisti fra il 1943 e il 1945, e in seguito i neofascisti. Solo in parte sono state ascoltate le esigenze di espressione e di riconoscimento avanzate dall’associazionismo degli esuli, spesso d’altronde diviso al suo interno. Basti pensare alla visione univoca dell’italianità, certamente molto distante dalla percezione che ne hanno le persone che provengono da quelle regioni. Il complesso di stereotipi (la barbarie slava contrapposta alla civiltà italiana, l’estremismo ideologico comunista contrapposto alla pacifica società fascista…) e la ricostruzione parziale degli eventi (l’assenza del contesto, l’identificazione delle vittime da una parte sola) fanno parte del bagaglio memoriale dell’estrema destra».
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