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Al Jazeera, stralci di WikiLeaks e dimissioni di Khanfar

Un coro mainstream unanime ha presto fatto sapere che Aljazeera, anche se questo episodio ne macchia la reputazione, rimane insostituibile per informarsi sul Medio Oriente, il che è tremendamente vero, per quanto – a nostro avviso – si debba sempre fare i conti con quelli che sono i differenti livelli di realtà sui quali ci si muove. Tutto potremmo provare innanzitutto a sintetizzarlo con un: Al Jazeera, come qualunque altro media o cos’altro, non è una realtà neutra, imparziale e ‘volontaristica’!

Si pensi alla metodologia differente politicamente che ha scandito lo start della primavera araba, l’impasse siriano e la guerra libica… ragione per la quale crediamo che un buon contributo con il quale imprimere senso a questo ragionamento possa essere un articolo che abbiamo letto qualche mese fa sull’edizione italiana de Le Monde Diplomatique, che pensiamo ci azzecchi nel delineare il quadro.

 

L’epopea dell’emittente del Qatar

Al Jazeera, un palcoscenico politico vicario

Le Monde Diplomatique – maggio 2011

A Damasco, alcune centinaia di sostenitori del regime siriano hanno manifestato davanti alla sede televisiva di al Jazeera denunciandone la «parzialità». Nello stesso tempo, il regime libico ha vietato la presenza a Tripoli dei giornalisti dell’emittente accusandoli di sostenere gli insorti. In pochi anni, al Jazeera ha sconvolto il paesaggio mediatico della regione e creato uno spazio pubblico transnazionale, diventando così il protagonista dei sommovimenti che scuotono il mondo arabo dalla fine del 2010.

di Mohammed El Oifi (*)

Il 2 marzo 2011, di fronte ai membri della Commissione affari esteri del Senato americano, Hillary Clinton ha pronunciato le parole che l’emiro del Qatar e i dirigenti di al Jazeera attendevano dal 2001. Gli Stati uniti, ha spiegato il Segretario di stato, «perdono la guerra dell’informazione» nel mondo a causa dei grandi canali televisivi privati americani «che mandano in onda milioni di spot pubblicitari e dibattiti tra esperti», mentre «l’audience di al Jazeera negli Stati uniti aumenta perché fa vera informazione». E, rivolta ai senatori, Clinton ha aggiunto: «Che piaccia o no, [al Jazeera] è veramente potente. Sta cambiando il modo di pensare e i comportamenti.» Il riconoscimento del ruolo e dell’impatto internazionale di al Jazeera, benché interessato – Clinton difendeva il bilancio del suo ministero –, assume una particolare risonanza nel contesto delle rivolte del mondo arabo. Sul piano regionale, l’emittente ha imposto il suo ritmo e le sue regole di funzionamento in campo mediatico, marginalizzando così alcuni concorrenti di lingua araba e intralciando il gioco degli altri. A questo riguardo, è molto significativa la sfida lanciata in diretta ai suoi datori di lavoro da Hafez Al-Mirazi, noto presentatore del canale televisivo al Arabiya, il principale concorrente di al Jazeera.

Commentando la caduta del regime di Hosni Mubarak, il giornalista egiziano si è rammaricato in diretta che il canale per il quale lavorava non osasse «dire una sola parola sul re Abdallah o sul regime saudita». La requisitoria si è conclusa con un ultimatum: «Se non possiamo esprimere la nostra opinione, tanto vale chiudere. Nella prossima trasmissione faremo un esperimento: parleremo dell’impatto [della rivoluzione in Egitto] sull’Arabia saudita. Se la cosa funziona, al Arabiya è un canale indipendente; altrimenti, grazie a tutti e arrivederci». È stata la sua ultima apparizione sul canale controllato dai sauditi. Il gesto tuttavia rivela l’impasse a cui hanno portato la strategia mediatica di Riyad e l’incapacità dei responsabili di adattarsi alle nuove realtà politiche. Ma esso annuncia anche il ritorno dell’Egitto, emancipato dalla tutela paralizzante del presidente Mubarak, nel gioco mediatico arabo, il che, probabilmente, rappresenterà nei prossimi anni l’evento di maggior rilievo nella regione. Dalla sua nascita, nel novembre 1996, l’emittente televisiva d’informazione continua al Jazeera ha rivoluzionato il sistema mediatico regionale, trasformandone la struttura, le regole di funzionamento e i rapporti di forza politici che li sottendono (1). C’è chi le attribuisce un ruolo anche più importante di quello svolto dalle reti sociali nell’innesco delle rivolte che scuotono il mondo arabo. Ad esempio, secondo il cofondatore di WikiLeaks, Julian Assange, Twitter e Facebook «hanno certo avuto un loro ruolo, ma non comparabile a quello di al Jazeera (2)». Fine del monopolio saudita I media arabi sono caratterizzati dall’esistenza di una sfera condivisa – resa possibile dalla lingua comune – che trascende stati e opinioni pubbliche nazionali e la cui genesi risale alla fine del XIX secolo. Le rivalità interarabe passano dal controllo di questo spazio pubblico, un settore in cui i paesi del Golfo, in particolare Arabia saudita e Qatar, hanno preso l’iniziativa. Dopo il ritiro dell’Egitto, alla morte nel 1970 del presidente Gamal Abdel Nasser, e dell’Iraq, dopo l’invasione del Kuwait nel 1990, l’Arabia saudita prende il controllo della maggior parte dei media panarabi. Alla metà degli anni ’90, il lancio di al Jazeera, voluto dall’emiro del Qatar, lo sceicco Hamad Ben Khalifa Al-Thani, segna la fine del monopolio saudita. Con la scelta del luogo d’inserimento, dei giornalisti da reclutare e con le sue opzioni ideologiche, al Jazeera introduce una triplice rottura rispetto alla formula saudita. Prima dominava l’idea che solo i media insediati all’estero potessero godere di una relativa libertà.

L’emigrazione di parte della stampa libanese in Europa, dopo lo scoppio della guerra civile nel 1975, aveva rafforzato questa tesi. Le basi dell’impero mediatico saudita erano a Londra o in Italia, dove si sfruttava la massiccia presenza di giornalisti arabi, soprattutto libanesi, diventati gli alleati – alcuni direbbero i prezzolati – degli emiri del regno. al Jazeera ha smentito questa tesi, dimostrando che un media panarabo, insediato in un paese arabo, può godere di grande libertà.

Poco alla volta, i media sauditi hanno cominciato a tornare nella regione, in particolare negli Emirati – ma non in Arabia saudita. Per aumentare la partecipazione e l’identificazione del pubblico, gli ideatori di al Jazeera hanno voluto che gli effettivi dell’emittente fossero rappresentativi delle diverse nazioni arabe; ponendo così termine al predominio dei giornalisti libanesi e delle strutture saudite. Certo i dissensi all’interno delle equipe giornalistiche sono frequenti, come dimostrano le dimissioni collettive di cinque presentatrici, il 25 maggio 2010. Alcuni media arabi, ripresi dalla stampa internazionale, hanno messo l’accento sulle pressioni dell’emittente per imporre un preciso codice di abbigliamento. Ma, secondo Joumana Nammour, una delle giornaliste dimissionarie, le vere ragioni della protesta non riguardavano affatto l’abbigliamento ed erano invece di ordine professionale. Le presentatrici lamentavano il fatto di avere poco potere. Ad esempio, nessuna delle numerose trasmissioni politiche dell’emittente è affidata a una donna. Un’attenta lettura dell’identità ideologica di al Jazeera e della sua linea editoriale, attraverso l’analisi dei dibattiti proposti e delle tematiche scelte, ma anche degli orientamenti rivendicati dai suoi principali animatori, rivela un sottile equilibrio tra tre tendenze: panaraba, islamizzante e liberale. Il successo di al Jazeera, l’interesse e la passione stessa che suscita nell’opinione pubblica di lingua araba si spiegano con il modo nuovo con cui viene trattata l’attualità, ma anche con la liberalità delle procedure. Dando la parola all’opposizione di ciascun paese arabo per commentare le verità ufficiali, al Jazeera ha offerto ai telespettatori una vera contrapposizione di opinioni. La diversità dei partecipanti, tanto dal punto di vista della nazionalità, della sensibilità ideologica e politica che del loro luogo di residenza, ha permesso la circolazione delle idee e dei punti di vista, abolendo le frontiere nazionali e aggirando ogni censura. L’emittente ha così partecipato in modo decisivo alla formazione di uno spazio pubblico arabo transnazionale (3). Strutturato con canali televisivi satellitari e telegiornali panarabi, ai quali si aggiungono internet, i blog e le reti sociali, questo spazio è diventato il luogo in cui si formano opinioni e preferenze politiche intorno a tutte le problematiche che riguardano la regione. Questo pluralismo, legato al moltiplicarsi dei mezzi d’informazione transfrontaliera lanciati dagli stati concorrenti, come l’Arabia saudita (Al-Arabiya), gli Stati uniti (al Hurra), l’Iran (al Alam), ha portato a un’inedita configurazione politico-mediatica nella quale si sovrappongono una sfera mediatica pluralista relativamente libera e regimi politici nazionali autoritari.

La contraddizione, acuita dall’audacia e dall’influenza di al Jazeera, ha tenuto sotto pressione i poteri scossi dalla circolazione di tanta informazione. La maturazione dei processi rivoluzionari nel mondo arabo deve molto a questa tensione tra ordine politico e ordine mediatico. Copertura militante delle rivoluzioni Visto il carattere fittizio – o addirittura l’assenza – di strutture di parte e sindacali in grado di organizzare il dibattito pubblico, al Jazeera ha progressivamente smesso di essere un normale canale televisivo per trasformarsi in un palcoscenico politico vicario. Da ormai una decina di anni, tutti i grandi temi che interessano i popoli della regione vengono discussi sui suoi schermi. È diventata un punto di riferimento per tutti i conflitti, dall’Afghanistan alla Palestina, tanto più che il dinamismo della diplomazia del Qatar mette spesso in crisi tradizioni e usi locali. La critica agli orientamenti dell’emittente, che provenga dall’interno (4) o dall’esterno del mondo arabo (5), fa ormai parte del gioco politico mediorientale. In genere punta a mettere sulla difensiva il governo del Qatar, presumendo che la linea editoriale dell’emittente non sia altro che la traduzione mediatica degli orientamenti diplomatici di questo stato. Ma tutto dimostra – a cominciare dalla copertura delle rivoluzioni di questi ultimi mesi – che al Jazeera è diventata un fenomeno arabo, uno specchio dell’evoluzione regionale che scavalca ampiamente la volontà di Doha. Benché al Jazeera sia popolare, è comunque un’emittente discussa, anche se per ragioni spesso contraddittorie. Alcuni contestano l’apertura nei confronti di Israele (è stata la prima tv satellitare a intervistare dei responsabili dello stato d’Israele), altri la sua propensione «islamista». Dimostra però un deciso antiamericanismo, malgrado la forte presenza militare americana in Qatar, che fa dell’emirato uno degli strumenti dell’influenza degli Stati uniti sul Medioriente. La copertura militante delle rivoluzioni arabe, in particolare in Libia e Yemen, e l’appoggio all’intervento militare dell’Organizzazione del trattato del Nord Atlantico (Nato) sono stati denunciati come intromissione negli affari interni dei paesi arabi. L’assenza dell’opposizione saudita o di quella del Qatar dai suoi schermi, la timidezza su ciò che avviene in Bahrein e le modeste critiche a proposito dell’intervento delle forze armate saudite e dei loro alleati nel regno vengono interpretate come una volontà di preservare lo statu quo nel Golfo. L’annuncio, alla fine di aprile, delle dimissioni del responsabile dell’ufficio di Beirut dell’emittente, Ghassan Ben Jeddou, per divergenze relative a una copertura della Libia e della Siria giudicate troppo di parte, dimostra la sensibilità di al Jazeera alle evoluzioni regionali. Inoltre, la tesi dei detrattori, che presentavano l’emittente come una semplice fucina islamista, è stata sconfessata dall’appoggio alle rivolte maghrebine e mediorientali, in cui gli islamisti sono quasi inesistenti. E il lancio di al Jazeera in inglese, nel 2006, ha contribuito a smantellare l’immagine costruita dal Middle East Media Research Institute (Memri) che, attraverso traduzioni parziali ed estratti decontestualizzati, cercava di presentare al Jazeera come un media antioccidentale e antisemita (6).

 

note:

* Politologo. bess (sotto la dir. di), Les Arabes parlent aux Arabes: La révolution de l’information dans le monde arabe, Actes Sud, coll. «Sindbad», Arles, 2009.

(2) Le Monde, 11 marzo 2011.

(3) «Influence without power: Al-Jazeera and the Arab public sphere», in Mohamed Zayani (sotto la dir. di), The Al-Jazeera Phenomenon Critical Perspectives on New Arab Media, Pluto Press, Londra, 2005.

(4) Mamoun Fandy, (Un)Civil War of Words: Media and Politics in the Arab World, Praeger Security International, Santa Barbara (Stati uniti), 2007.

(5) Zvi Mazel, «Al Jazeera et le Qatar: le sombre empire des Frères musulmans?», Controverses, n° 13, Parigi, marzo 2010, www.controverses.fr.

(6) Leggere «Vietato criticare Israele», Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 2005.

(Traduzione di G. P.)

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