La crisi dell’UE, tra comitati d’affari e spinte geopolitiche
Il terremoto che sta sconvolgendo il Parlamento Europeo dopo l’affaire Qatar odora di “tangentopoli” europea. Lo spettro dell’inchiesta si allarga di giorno in giorno e la vera preoccupazione generale dei politici di ogni schieramento è che salti tutto.
La credibilità delle istituzioni europee, già ampiamente screditate dalla gestione delle crisi che si sono susseguite nell’ultimo decennio, rischia di ricevere il colpo di grazia dalla magistratura belga, ma per interpretare questa vicenda bisogna andare oltre uno sguardo superficiale allo specifico episodio corruttivo e collocarla all’interno di un quadro più ampio. La “questione morale”, le “mele marce” sono le retoriche autoassolutorie di un sistema politico che ha nella sua propria natura la mediazione degli interessi economici delle borghesie transnazionali.
Sostenere che l’Unione Europea per come la conosciamo sia solo un aggregato di interessi economici piuttosto che una serie di istituzioni politiche rischia di essere banalizzante. Infatti è il ruolo di queste istituzioni ad essere importante, come facilitatore, mediatore e potenziatore di questi interessi. L’Unione Europea risponde perfettamente alla vecchia definizione marxiana dello Stato come Comitato di Affari della borghesia, e nonostante negli ultimi anni sia stato evidente che per lo stesso funzionamento da un punto di vista liberista di questi organismi ciò non fosse sufficiente (si veda il dibattito sull’esercito europeo ecc… ecc…), la sostanza è rimasta quella. La mappa del lobbismo legale e informale che emerge solo parzialmente da questo articolo del Fatto Quotidiano parla chiaro anche su un piano geografico: più di 1400 uffici di “portatori di interesse” tra Commissione Europea e Parlamento. Grandi aziende, Stati, consorzi imprenditoriali che si assiepano intorno a quei luoghi che decidono dove convogliare i cosiddetti investimenti strategici. Se vi è una parte di mediazione degli interessi che è sommersa, un’altra è in piena luce, senza troppo scandalo, almeno finora.
Per fare un piccolo esempio che dire dei famosi due miliardi di euro europei mancanti per il Tav Torino-Lione che ha da poco dovuto annunciare suo malgrado il ministro Salvini? E’ evidente che molta della retorica che si era costruita intorno al finanziamento europeo era un prodotto del lobbismo dei promotori dell’opera (cioè di Telt) con l’aiuto della Coordinatrice del Corridoio Mediterraneo Iveta Radicova.
E’ chiaro che chi non può ufficialmente sedersi a questa tavola imbandita cerca di farlo attraverso canali ufficiosi di carattere corrutivo e clientelare, come hanno fatto Qatar e Marocco, ma si può facilmente immaginare che sia pratica ampiamente diffusa, una sorta di porta di servizio per gli “impresentabili”. Ora questa dinamica è emersa alla cronache e quindi tocca anche domandarsi “Cui Prodest?”, consapevoli di quanto sopra. Ovviamente non si tratta di fare teorie del complotto campate in aria, ma di raccogliere alcune ipotesi alla luce di quanto sappiamo finora della vicenda.
Dalla risposta terrorizzata bipartisan dei maggiori partiti europei, cioè i Popolari e i Socialisti & Democratici (coivolti mani e piedi nello scandalo) è evidente che quanto sta succedendo viene percepito come qualcosa che può complessivamente sconvolgere gli assetti europei.
Come sostiene Formiche.net:
“Il “Qatargate” […] ha fatto una prima vittima, oltre al danno reputazionale alle istituzioni europee ed in particolare al gruppo socialista e progressista del Parlamento europeo: il progetto di aumentare le risorse a disposizione della Commissione europea tramite “risorse proprie”, non solo quelle fornite dagli Stati membri, al bilancio comunitario, in base, essenzialmente, al Pil di ciascuno. Ad oggi, le uniche “risorse proprie” dell’Unione europea (Ue) sono i dazi doganali della tariffa esterna comune e una parte del gettito Iva.”
Cioè ad essere messo a rischio sarebbe un rafforzamento “politico” dell’Europa, che pare necessario (che sia in salsa emergenziale o più federalista) per la sopravvivenza stessa dell’Unione di fronte alle nuove sfide e alla posizione di “vaso di coccio” tra i due vasi di ferro USA e Cina.
Dunque questo scandalo giova a quei paesi interni ed esterni all’Unione Europea che non guardano di buon occhio questi tentativi di rafforzamento. L’insofferenza del blocco nord-europeo rispetto ad una maggiore integrazione? Oppure il timore USA che l’Europa possa gradualmente autonomizzarsi un po’ di più nel contesto del mercato globale?
Lo ripetiamo, non si tratta di fare complottismo un tanto al kilo, ma di provare a leggere quali potrebbero essere gli aspetti di questa vicenda nella sua complessità. Di certo in questa Unione Europea dal punto di vista delle classi popolari c’è ben poco da salvare e la casta politica pusillanime e parassitaria che la compone è la perfetta rappresentazione della sua ipocrisia, ma quelle che vediamo sembrano essere le avvisaglie di grandi manovre per una ristrutturazione complessiva di questo spazio politico, vedremo in che direzione…
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