Arzu Demir, accusata di essere membro dell’ufficio stampa del PKK e di svolgere propaganda filo-terrorista, è già stata condannata e rischia ora sei anni di galera. Diffondere le sue parole, per noi, è un semplice atto dovuto e – speriamo – solo il primo passo verso la più ampia mobilitazione contro il governo liberticida e assassino di Erdogan.
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Lavoro come giornalista dal 1998. Da allora mi sono occupata soprattutto della causa curda, di diritti umani e di questioni di genere. Attualmente collaboro come reporter con le agenzie giornalistiche ETHA e ANF, a cui dalla Turchia è proibito accedere ai rispettivi siti internet, mentre alla ANF è interdetta anche la possibilità di aprire un qualunque ufficio in territorio turco.
Come autrice dei libri “La rivoluzione del Rojava” e “La montagna delle donne” (pubblicati o in corso di pubblicazione in Italia dalla Red Star Press), dedicati alla situazione curda, sono stata condannata in primo grado a sei anni di prigione con l’accusa di “propaganda del KWP (PKK) e dell’MLCP (MLKP)”. Questi due libri sono stati proibiti in Turchia, dove non possono essere né venduti né distribuiti.
Abbiamo rigettato le conclusioni della corte ricorrendo in Appello, ma i miei avvocati pensano che la sentenza nei miei confronti diventerà definitiva nel giro di due mesi, periodo al termine del quale rischio di finire in prigione.
Inoltre sto affrontando altre due cause connesse a lanci di agenzia e interviste da me pubblicate, anche queste passibili di suscitare un verdetto di condanna rispetto all’accusa di fare propaganda e di “elogiare il crimine e i criminali”. In effetti sono già stata arrestata insieme ad altri tredici colleghi nel dicembre del 2011 e, a causa di questo arresto, pende sulla mia testa l’accusa di essere “un membro dell’ufficio stampa del PKK”.
Per scrivere i ritratti di donne contenuti nel volume “La montagna delle donne”, ho visitato le zone occupate dalla Resistenza nel Kurdistan meridionale nel dicembre del 2011. Ho passato dieci giorni con le partigiane curde nel corso di quelli che sarebbero dovuti essere i tempi del “processo di pace”.
Nel corso del lavoro necessario alla redazione del libro “La rivoluzione del Rojava”, ho visitato il Rojava due volte e ho soggiornato nei cantoni di Efrin e Cizire per circa due mesi in tre periodi differenti.
Ne “La montagna delle donne” ho analizzato il cambiamento subito dei ruoli di genere all’interno del PKK raccogliendo la storia orale di undici partigiane. Ho tentato di esaminare come i grandi cambiamenti in corso siano opera delle donne curde e di capire il modo in cui le donne vedono la guerra, il processo di pace, la libertà, l’amore e il sesso.
“La rivoluzione del Rojava” è il libro in cui cerco di spiegare come si sia affermato un nuovo modo di vivere a partire da campi come i ruoli di genere, la difesa, l’economia e la giustizia. Un libro composto da fotografie, interviste e note di campo.
Entrambi i miei libri, pur essendo stati dei best-seller, sono stati proibiti. “La montagna delle donne”, pubblicato nel novembre del 2014, era alla sue settima edizione. “La rivoluzione del Rojava”, pubblicato nel luglio del 2015, aveva avuto quattro ristampe.
Nel giorno in cui questi libri sono stati proibiti in Turchia, veniva pubblicata l’edizione italiana de “La rivoluzione del Rojava”. Ma perché ho scritto questi libri?
Sono ben conscia di come dietro la loro redazione ci siano ragioni sia professionali che politiche.
Da un punto di vista etnico sono turca e la mia famiglia è una famiglia mussulmana di origini sunnite, vale a dire l’identità dominante nella Turchia contemporanea. Sono stata in grado di venire a conoscenza del fatto che non tutti in questo paese sono di madrelingua turca solo frequentando il terzo anno di università. Dopo aver appreso questo fatto incontestabile, qualunque cultura, lingua, tradizione e manifestazione di esistenza non ricollegabile alla Turchia sunnita ha attratto la mia attenzione e questa è la parte della storia che ha a che fare con la mia coscienza personale. Dal punto di vista professionale, credo che un giornalista sia obbligato a soddisfare il diritto delle persone a essere informate. Inoltre, in quanto socialista, sono stata attratta dalla nuova vita che emergeva del Rojava e sono stata testimone di questa rivoluzione. Come donna, ho voluto diffondere la mia parola e testimoniare il modo in cui queste donne hanno conquistato la propria libertà…
Come ho affermato davanti alla Corte nel discorso pronunciato in mia difesa: se il processo di pace avesse compiuto dei progressi, i miei libri non sarebbero stati proibiti. “La montagna delle donne” è stato proibito un anno e mezzo dopo la sua pubblicazione e “La rivoluzione del Rojava” a dieci mesi dalla sua uscita. La rottura del processo di pace, in effetti, è l’unica ragione per cui i miei libri hanno avuto a che fare con la legge turca in materia di stampa. E in ogni caso, non c’è stata alcuna esitazione nell’aprire i processi e nel punirmi con una sentenza di carcerazione malgrado questi stessi processi siano contrari a ciò che afferma la stessa legge sulla stampa.
Con l’inizio della guerra, il governo del JDP e di Erdogan ha inaugurato una nova storiografia, attraverso la quale hanno intenzione di forgiare una loro verità, funzionale ad egemonizzare le armi della critica insieme alla critica delle armi. Questo è il motivo per cui lo JDP ed Erdogan sono in lotta contro i giornalisti, i reporter, gli scrittori, gli accademici oltre che con i loro libri e il loro lavoro. Questo è il motivo per cui oltre 150 giornalisti si trovano già in prigione in questo momento. Decine di quotidiani, stazioni radio ed emittenti televisive sono stati oscurati a causa dello stato di emergenza imposto dal governo. Ozgur Radio, emittente per la quale ho curato un programma per molti anni, non solo è stata oscurata, ma anche tutte le sue proprietà, dal mixer fino ai cestini dei rifiuti, sono state sequestrate dallo Stato.
So che il potere dello Stato non si occupa di me come persona, ma si interessa a me solo nel momento in cui, insieme a tanti e a tanti, decido di esprimermi a favore della verità e della realtà.
Eppure continuo a credere che la verità sia un valore universale. E alla fine non può esserci nessun potere statale, neanche una dittature, a impedire al sole di sorgere come alla verità di splendere.
Arzu Demir
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SULLA STORIA DELLA PERSECUZIONE DI ARZU DEMIR IN TURCHIA: