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Cosa succede in Venezuela?

 

Nella crisi del progetto socialista una sollevazione popolare non del tutto assimilabile all’opzione restauratrice anti-bolivarista anima le proteste contro il governo. Cosa succede nel paese del chavismo? 

 

Alcuni fatti all’origine della recente crisi politica

 

Con una sentenza, nella notte tra il 29 e il 30 marzo il Tribunale Supremo della Giustizia venezuelano (TSJ), uno dei cinque organi supremi dello Stato, assume i poteri dell’Asamblea Nacional, il parlamento unicamerale, i cui seggi, dalle elezioni legislative del dicembre 2015, sono per la maggior parte controllati dall’opposizione a Nicolas Maduro, il presidente in carica e delfino del Comandante della rivoluzione bolivariana Hugo Chavez. La stampa internazionale, facendo il gioco delle opposizioni, ha denunciato il golpe: il potere giudiziario, controllato da Maduro, avrebbe soppresso il parlamento consegnando pieni poteri al presidente. La situazione è certamente più complessa e le opposizioni usano politicamente lo scontro interno agli organi dello stato per destabilizzare il governo Maduro in piena crisi politica e di consenso.

Dopo l’elezione del parlamento una serie di inchieste del Consejo Nacional Electoral (CNE) stabilirono che quattro deputati erano indagati al momento della loro elezione: uno governativo, che rassegnò le dimissioni, due dell’opposizione (MUD) e un rappresentante indigeno alleato dell’opposizione. Questi ultimi tre hanno contravvenuto alle sentenza del TSJ che ne ordinava la rimozione. Si è così innescato un conflitto tra Tribunale Supremo, di cui 13 nuovi magistrati e 22 supplenti vennero nominati da Maduro prima che il parlamento neoeletto si insediasse, e l’Asemblea Nacional la quale ha a più riprese votato per il reinsediamento dei parlamentari rimossi. Il TSJ ha così dichiarato nulla la legislatura per oltraggio a un altro organo istituzionale e incapacità di assolvere al suo mandato istituzionale.

Dal canto suo l’opposizione ha sistematicamente lavorato all’esplosione del conflitto istituzionale, proclamando anche un referendum, mai votato perché nuovamente annullato dalla TSJ, per rimuovere Maduro, e arrivando fino a chiedere l’intervento, anche con sanzioni, da parte dell’OAS (l’Organizzazione degli Stati Americani) presieduta da Luis Almagro, diplomatico vicino alle opposizioni venezualane e da tempo promotore di una politica di regime-change. Il Perù ha ritirato il proprio ambasciatore dal paese.

Di fatto, comunque, la sentenza del TSJ ha innescato la recente fase della crisi politica venezuelana, rovesciatasi contro la presidenza di Maduro. Lo scontro politico nel paese si sta spingendo ben oltre il conflitto istituzionale, rimettendo in gioco strati consistenti della popolazione venezuelana e trasformandosi in vero conflitto civile.1

 

Crisi del progetto socialista

 

Dopo la morte di Chavez Nicolas Maduro ha assunto la guida del paese subendo, di lì a poco, il contraccolpo del crollo del prezzo del petrolio sui mercati mondiali. L’asse di sviluppo economico e di redistribuzione sociale del progetto chavista, ruotando attorno alla nazionalizzazione dell’industria petrolifera, salarizzò nel pubblico impiego larghe masse popolari, avanzando politiche di redistribuzione sociale. Le oligarghie petrolifere del paese, pur arginate di fatto, iniziarono una guerra di posizione contro l’allargamento dell’accesso ai consumi, della scolarizzazione degli strati subalterni e l’aumento della pretesa popolare.

Sul nesso tra integrazione delle masse povere, metropolitane e indigene, nella macchina produttiva statale e l’interdipendenza di questo processo con le oscillazioni dei mercati si sviluppa la crisi stessa del bolivarismo. Il cosiddetto “consenso delle commodities”2, ovvero la ricerca di una indipendenza politico-economica emancipata dal ricatto debitorio del FMI attraverso le esportazioni su larga scala di materie prime diventa il limite del progetto socialista. La spirale della crisi economica innescata dal crollo del prezzo del petrolio ha prodotto negli ultimi anni l’aumento del debito pubblico, un’inflazione inarrestabile, emigrazione di massa dal paese, aumento della corruzione nelle clientele statali, fino alle drammatiche situazioni dovute alla mancanza di generi alimentari, con un commercio parallelo in un fortissimo mercato nero.

Le conseguenze della miseria sociale prodotta dalla crisi economica pesano dunque sulla stessa base della rivoluzione chavista alla ricerca essa stessa di una soluzione all’arresto del programma progressista. La categoria di progressismo, inteso come processo di integrazione allo sviluppo produttivo, e la sua critica sono al centro delle riflessioni sulla chiusura del ciclo delle sinistre al governo in latinoamerica3. Il campo dell’ostilità nella società si riconfigura sia nella resistenza ai processi estrattivi sul territorio, sia in seno alle dimensioni sociali integrate nel nuovo ordine redistributivo come persistere di una pretesa proletaria nonostante la crisi economica, dentro la crisi e contro la crisi.

 

 

Tra i pescecani una variabile parzialmente indipendente

 

Los Teques, 200 mila abitanti, mille metri di altitudine a 40 km da Caracas- Tra il 13 e il 14 aprile le manifestazioni dell’opposizione vengono usate per tentare il saccheggio di alcune attività commerciali. Questo uso del disordine dettato da fame e disperazione è ricorrente nelle proteste degli ultimi giorni e non è riducibile alle guarimbas, le scorribande armate organizzate dalla destra, né allo scontro tra oppositori e i collectivos armati, le istituzioni del contropotere territoriale della rivoluzione bolivarista che contendono il sottobosco della povertà agli interessi del narcotraffico e del contiguo mondo delle destre. La conta dei morti di questi giorni e le loro storie lo testimoniano: Bryan Principal, 13 anni, abitava nelle case popolari assegnate gratuitamente dal governo nello stato di Lara; Jairo Ortiz, 19 anni, ucciso da un poliziotto nello stato di Miranda, era figlio di un militante chavista. Le rivolte per destabilizzare il governo sono in qualche misura attraversate anche dal mondo prodotto dalla rivoluzione bolivarista.

Sulla crisi politica venezuelana, di tenuta del progetto socialista e dell’aggressione reazionaria nei suoi confronti, si svela la crisi sociale del paese. Le forze soggettive che la attraversano diventano una variabile parzialmente indipendente nella partita apertasi a fine marzo. Per quanto questa variabile non sia interamente riducibile all’opzione reazionaria, viene oggi da questa giocata contro il governo e con tutta probabilità, al netto delle forze capaci di imporre una volontà politica anche contro le dimensioni autonome della protesta popolare, sarà condannata a venire assorbita interamente dalle destre e dal loro progetto di rimozione dell’esperienza bolivarista. Ancora, alla vigilia di una nuova grande manifestazione convocata dalle opposizioni, il dato che va colto è che il chavismo ha rappresentato la condizione politica di esistenza di questa variabile, come fenomeno di politicizzazione di massa delle dimensioni popolari e subalterne del paese, il chavismo ne è ora il suo limite, per la crisi del progetto economico-politica del modello socialista venezuelano, e ne sarà il destino per il ricorrere del problema dell’autonomia politica latinoamericana dagli interessi neocoloniali del capitale nordamericano.

 

1 https://venezuelanalysis.com/analysis/13018 riportiamo da un sito vicino alle posizioni del PSUV di Maduro un’analisi della sentenza, il suo retroterra e le sue conseguenze

2 M. Svampa, «Consenso de los Commodities» y lenguajes de valoración en América Latina, (marzo-aprile 2013), consultabile qui: http://nuso.org/articulo/consenso-de-los-commodities-y-lenguajes-de-valoracion-en-america-latina/

3M. Modonesi, M. Svampa, Post-Progressismo e orizzonti emancipatori in America Latina, (agosto 2016), traduzione a cura di Camminaredomandando.wordpress.com consultabile qui: https://camminardomandando.wordpress.com/testi-da-scaricare/post-progressismo-e-orizzonti-emancipatori-in-america-latina/

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