
Crisi al “manifesto”. La parola ai lettori

L’editoriale  di Norma Rangeri e di Angelo Mastrandrea sul manifesto del 12 ottobre  scorso ha provocato molte critiche anche gravi, fino al rischio di  dimissioni di alcuni di noi. Ed è paradossalmente proprio per non avere  buttato il sasso nello stagno che quell’articolo è criticabile.  Senz’altro i direttori sono stati mossi da buone intenzioni nel  tentativo di rappattumare le divisioni nel manifesto.
Ma voler far  passare il documento di Rossana Rossanda come la linea del giornale,  quando si sa che alle assemblee del collettivo, il suo documento è stato  solo citato da alcuni ed è stato accolto (anche per colpa mia)  nell’indifferenza generale, ha provocato la giusta reazione di Rossana. E  la mia.
Con la differenza che do atto ai direttori di aver svolto un  compito ingrato in questi mesi di liquidazione coatta, quando da  dimissionari sono stati rinominati direttori dai liquidatori.
Al  punto in cui siamo giunti penso che l’ultima speranza di rilanciare il  manifesto è rappresentata dalla convocazione, domenica 4 novembre a  Roma, dell’assemblea dei circoli, dei sostenitori, dei collaboratori e  dei lettori del manifesto che giustamente hanno titolato l’assemblea «da  dove ricominciare».
Manca meno di una settimana, il tempo stringe e  in questi pochi giorni dobbiamo definire, sulle pagine del nostro  giornale, cosa ci proponiamo di fare. 
Certo la crisi non è solo nostra ma di tutto quel che resta della sinistra. 
Una  crisi che si manifesta anche nelle nostre riunioni di redazione. Il  giornale ha perso la fisionomia che aveva in tempi migliori. Certo  pubblichiamo ancora ottimi articoli, ma che non fanno il discorso  politico e multiculturale che spesso ci è riuscito di fare nel nostro  passato.
Siamo in amministrazione controllata e, a dicembre, i  liquidatori metteranno in vendita la testata e nessuno di noi ha i soldi  per comprarsela. Forse (nemmeno questo è sicuro) ci sarà un padrone.  Questo ancora nostro giornale rischia di scomparire in silenzio o di  finire in altre mani.
Dopo l’assemblea del 4 novembre avremo solo due  mesi di tempo per continuare a discutere tra noi, con i lettori e con i  circoli per tentare di sopravvivere e ricominciare, definire analisi e  obiettivi. E anche questo tentativo dovrà farsi pubblicamente, sulle  pagine del giornale. Una discussione aperta e pubblica può anche  richiamare e coinvolgere lettori delusi.
Certo, dicevo, siamo di  fronte ad una crisi storica globale, che non si può risolvere solo in  Italia e neppure negli Usa; la finanza sta distruggendo anche la  politica e l’allontanamento dei cittadini dalla politica (in Italia il  partito più forte sarebbe, è, quello di chi si astiene e dei grillini) e  dalla cultura (quanto e che cosa si legge oggi in Italia?) Ma di  questo, cosa e quanto pubblicano le nostre pagine? C’è la grande crisi e  cresce la povertà, ma quanti e chi sono quelli che si arricchiscono?
Se  questa grande crisi ci ha messo in difficoltà e calo delle vendite è  anche per nostra responsabilità. E, aggiungo, poco o niente ci siamo  interrogati sul calo delle nostre vendite in edicola e sulle nostre  divisioni interne delle quali siamo tutti, più o meno, responsabili. Di  questo non discutiamo e c’è una certa passività e occasionalità nella  fattura del giornale invece di costruire campagne.
«La discussione  sul manifesto – ci ha scritto Rossanda – è partita male. La prima  domanda non è di chi è, ma che cosa è il manifesto», riferendosi a chi  sostiene che il giornale appartiene a chi lo fa. E concordi con Rossanda  sono, oltre a me, anche i circoli della Sardegna, di Padova, di  Bologna, di Pietrasanta e di Roma. Per questo – nonostante il poco tempo  davanti a noi – ribadisco che una intera pagina del giornale sia ogni  giorno dedicata al nostro che fare e magari, prima del 4 novembre, anche  più di una pagina, perché il tempo stringe. Molto utile, a mio parere,  l’intervento di Sergio Caserta sul manifesto di ieri.
Per un giornale  come il nostro, la discussione deve essere pubblica. Spero che questa  proposta abbia l’approvazione anche del nostro attuale collettivo in  modo da arrivare con più chiarezza alla decisiva discussione del 4  novembre.
Abbiamo già cominciato
Norma Rangeri, Angelo Mastrandrea
Questo  è il giornale della sinistra plurale: politica, sindacale, sociale,  culturale. E’ un giornale che guarda alla sua storia e molto attento ai  cambiamenti in atto; è il giornale che da sempre difende i lavoratori  più svantaggiati e i precari; è il giornale dei diritti e della  giustizia sociale. E’ il foglio della sinistra, di tutta la sinistra. E’  un giornale aperto all’ambientalismo e al riformismo sociale, pioniere  nella difesa dei beni comuni. E’ un giornale che mette insieme i  “vecchi” comunisti e i giovani meno ideologizzati e più libertari.  Pensare di difendere la nostra storia senza tenere conto del fatto che  le giovani generazioni non sanno neppure cosa voglia dire “comunismo”  significa attardarsi in una lotta politica e in una informazione  minoritarie. Abbiamo l’ambizione di accompagnare il cambiamento del  mondo del lavoro, di raccontarne l’involuzione, di restituire la  ricchezza delle mappe internazionali, di continuare a imparare  dall’inchiesta sociale, di condividere le esperienze dei nuovi  movimenti, di aiutare il compito di ricostruire una sinistra critica, il  cui mondo sospettiamo più interessante e ricco di come lo  rappresentiamo. Abbiamo un punto di vista radicale, mai settario. Forse a  qualcuno questa prospettiva larga non piace. Ci si accusa di non avere  una linea: non l’abbiamo infatti, non siamo un partito.
Negli ultimi  tre anni, quando abbiamo assunto la responsabilità della direzione (dopo  quasi due anni di assemblee sfibranti quanto inefficaci) abbiamo  dedicato tutte le nostre energie al lavoro quotidiano. In un momento di  crisi pesante per la carta stampata, dovevamo tenere il più possibile  stabili le copie, difendere i posti di lavoro e curare la qualità del  manifesto, dialogando tanto con l’opposizione interna quanto con la  crisi esterna, che mazzolava tutti i quotidiani. A leggere le  percentuali di perdita delle altre testate, da Repubblica, all’Unità, al  Fatto, con centinaia di giornalisti mandati a casa, possiamo dire di  aver affrontato la crisi perdendo copie sì (mentre il contesto si  arricchiva di nuovi e agguerriti concorrenti) ma mantenendo un livello  accettabile di vendite. I postumi della fine tardiva di Berlusconi,  oltre alla crisi più generale dell’editoria nazionale (e internazionale:  testate storiche come Newsweek ora sono solo sul web) ha colpito tutti  duramente.
Dopo un’estate terribile ora le nostre copie in edicola  stanno risalendo, e la stagione politica che ci aspetta ci fa ben  sperare, ma naturalmente non ci mette al riparo. L’assenza cronica di  pubblicità, i costi eccessivi di una redazione troppo numerosa, da  sempre, hanno pesato moltissimo, al punto da portarci alla liquidazione  amministrativa. E avendo Valentino Parlato sottolineato questo passaggio  nel suo articolo, ricordiamo che se siamo stati confermati dai  liquidatori alla direzione del giornale è anche perché non c’era chi  fosse disposto ad accollarsi questo peso. Non solo. Come i nostri  lettori sanno, circa un anno fa abbiamo dato le dimissioni: era  faticoso, fisicamente e psicologicamente, lavorare senza poter contare  sulla solidarietà esplicita di persone che hanno fatto la storia  (insieme a questa direzione) del manifesto. Mentre fuori grandinava,  abbiamo lavorato con l’elmetto, spesso non per ripararci dai colpi  esterni, ma da quelli che venivano dall’interno: questa direzione ha  affrontato una opposizione costante. Da qui, nella speranza di favorire  un clima più disteso, l’offerta delle nostre dimissioni. Ma neppure  dalle fila dei critici più accaniti si è fatto avanti qualcuno disposto a  prendersi la responsabilità del giornale in un momento così difficile. 
Ci  si può addebitare, ed è l’unica critica che ci sentiamo di accogliere,  di non avere incentivato un dibattito assembleare interno. Ma, a nostra  parziale discolpa, va il fatto di avere lavorato in condizioni  drammatiche, con la redazione dimezzata dalla cassa integrazione, e  dunque con tempi strangolati. Nulla ha mai ostacolato la possibilità di  attivare una discussione da parte di chi più di noi aveva tempo e modo  per sollecitarla; imputare a noi di non averlo fatto è singolare.  Abbiamo sempre tenuto nella massima considerazione il contributo critico  dei circoli, tutti (non abbiamo mai fatto la conta di chi ci sostiene e  chi no), come naturalmente di tutte le lettrici e i lettori. Detto  questo, il manifesto ha sempre rivendicato a sé la propria autonomia,  mai piegandosi a interessi di partito, e quando accadde Luigi Pintor si  dimise dal giornale. Vogliamo continuare così. Ben venga qualsiasi  contributo, idea, suggerimento, proposta perché il giornale possa vivere  oggi, domani e per altri quarant’anni.
Sul futuro esistono alcune  proposte di rilancio e di riorganizzazione del giornale. Ne vogliamo  discutere pubblicamente. Ma una cosa deve essere chiara: chi ha fatto il  giornale nella sua fase più difficile non si farà da parte. E, sarà  bene ribadirlo: noi siamo estranei a qualunque ipotesi di nuove società  editoriali che cancellino l’esperienza di autogestione della  cooperativa. E siamo preoccupati, invece, per l’esplicita ammissione di  progetti di appropriazione della testata discussi fuori dalle stanze  della redazione. Se i circoli del manifesto raccoglieranno i soldi  necessari per aiutarci a ricomprare la testata entro la scadenza  dell’asta liquidatoria, tanto meglio. Saremo felici di saltare il  passaggio del socio finanziatore. Ma deve essere chiaro che, anche in  caso di acquisto, noi tratteremo alla condizione di avere una  cooperativa libera e autonoma.
Immaginiamo che la nostra risposta e  lo scritto di Valentino Parlato non saranno una piacevole lettura per  molti di voi. Avevate pensato che il manifesto, nonostante le  difficoltà, fosse unito nella lotta per le magnifiche e progressive  sorti della sinistra? Non è così. Ci sono oggi, al nostro interno  come  del resto è sempre accaduto – sguardi diversamente critici, tanto sulla  sinistra che sul giornale da fare. Meglio esibirli apertamente.
Ps:  Ci suona pretestuosamente polemico il riferimento di Valentino Parlato  al commento nel quale citavamo l’articolo di Rossana Rossanda. Non  abbiamo fatto, in quell’articolo, che sottolineare alcuni aspetti della  sua analisi sulla quale concordiamo. La prossima volta, se capiterà,  scriveremo le stesse, identiche cose senza fare nomi e cognomi.
da contropiano
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