Direzione Pd: oltre il 4 dicembre
Si è riunita ieri la direzione del Pd in via Alimbert, a Roma. Esito della riunione la convocazione anticipata del Congresso proposta da Renzi e votata dalla maggioranza del Pd. Con 107 sì, 12 no e 5 astenuti Renzi riconferma e vede rafforzata la sua posizione all’interno del, possiamo dirlo, suo partito.
Varie le anime del PD che ieri hanno preso parola. Pochi i fronti reali sostanzialmente divisi tra coloro che vogliono attendere la scadenza naturale dell’attuale legislatura e coloro che spingono verso elezioni anticipate. Bersani, D’Alema &co, esprimono l’insofferenza a stare dentro un partito che non li considera. In particolare Bersani sostiene la necessità di non affrettare i tempi di strutturazione del Congresso. Emiliano si pone a fianco di Gentiloni fino al termine del suo mandato e prende le distanze da Renzi avanzando la sua candidatura a segretario del Pd. L’apice viene raggiunto da Speranza che in uno slancio di creatività paragona la politica di Renzi a una diga che non regge più. Queste le premesse con cui avanza l’opposizione, che si esplicitano in una minaccia di scissione, subito liquidata dall’ex premier: “a un certo punto un punto va messo, non da me ma dall’assemblea”. Renzi e la maggioranza, infatti, non entrano nel merito della scadenza della legislatura ma sottolineano l’importanza di tornare a parlare di politica. Da questo assunto Renzi rivendica i suoi presunti meriti nei tre anni di governo e definisce con una facilità impressionante la sconfitta del referendum come qualcosa da dimenticare il prima possibile, sminuendo il duro colpo che essa ha inflitto al suo schieramento. Ambigue a questo punto risuonano le dichiarazioni dell’ex premier nell’asserire con convinzione di aver preso un partito al 25,4% e averlo portato al 40%, ulteriore tentativo di porre sotto una luce positiva le riforme varate che nella sostanza sono state il principale motivo della sfiducia inferta al governo con l’esito referendario.
Ad un’analisi a posteriori il governo fantoccio di Gentiloni non è stato altro che una parentesi atta a colmare il vuoto creatosi dopo le dimissioni di Renzi dalla presidenza del Consiglio. Non ha assecondato l’esito del 4 dicembre ma si è posto in linea di continuità rispetto alle politiche precedenti. Un cambio di volti che non è coinciso con un cambio di rotta ma che aveva come obiettivo quello di creare i presupposti per rafforzare la legittimità dell’ex premier dentro e fuori il partito democratico. La riunione di ieri pone davanti a una evidenza: il disinteresse della maggioranza del partito nei confronti di Gentiloni utile evidentemente solo a fare da cerimoniere al vertice europeo del 25 marzo a Roma e per il G7 di Taormina del 26 e 27 maggio. L’opposizione, che ne sia consapevole o meno, sta solo contribuendo al gioco di Renzi, mostrando con chiarezza come non esista alcuna figura in grado di contrapporvisi. L’attuale segretario del PD sa che può contare sull’appoggio dei suoi e che, pur dimettendosi, al congresso sarebbe lui ad avere di nuovo la meglio e tornare saldo alla guida del partito. Sempre lui parla di ricatto riferendosi alla minaccia della minoranza di arrivare alla scissione. Sappiamo bene che se dovesse materializzarsi questa possibilità, allora potremo assistere all’ennesima creazione della stampella sinistra del PD fuori dal PD. A quanto pare c’è gia pronta una nuova sigla, un nuovo simbolo, che possa mettere insieme tutti i rottamati di Renzi. Qualche giorno fa, non a caso, Pisapia rilasciava un intervista in cui chiariva la volontà di lavorare ad un progetto politico in grado di portare insieme al partito democratico di Renzi il centro-sinistra oltre il 40%. Un Pisapia che non si pente di aver votato Si al referendum e sostenuto ultimamente da un nostalgico Prodi che spera in un ulivo 2.0. Insomma tutto torna.
Ancora una volta una direzione di partito che si rivela un’inutile dimostrazione di come i dirigenti del Pd scommettano sulle spalle del paese in base ai loro interessi privati, mossi da logiche di carrierismo che coltivano fin da giovani. Le solite farse della politica continuano a percorrere le strade che porteranno con ogni probabilità ad un centro sinistra unitario, che il PD e Renzi metteranno a valore. Ancora una volta per fermare l’avanzata del salvinismo e del grillismo, maggioranze e minoranze interne comunque torneranno fianco a fianco, sotto l’ala di Renzi, pronti a votare leggi che, come Jobs act, Buona Scuola, Sblocca Italia, faranno gli interessi della casta e non di quel popolo di cui tanto si riempiono la bocca esponenti dell’una e dell’altra faccia della medaglia.
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