[EBOOK] Struggle for future
In occasione del secondo sciopero globale del clima pubblichiamo Struggle for Future.
Si tratta di un ebook scaricabile qui che raccoglie interventi, interviste ed approfondimenti su ecologia politica e lotte sociali nel capitalismo della devastazione climatica pubblicati negli ultimi sei mesi. Ne riportiamo indice ed introduzione qui di seguito. Buona lettura!
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INDICE
– Introduzione. Per salvare il pianeta va indicato un nemico
Sezione 1: Interventi
– Il clima c’è
– Tutti pazzi per il clima?
– Il TAV e la fine del mondo
Sezione 2: Interviste
– Prospettive su un marzo ecologista. Conversazione con Emanuele Leonardi
– Una questione non solo tarantina. Conversazione con un compagno verso il 4 maggio
Sezione 3: Approfondimenti
– La nuova economia politica: formazioni predatorie che espellono ambiente e umanità
– Tra negazionismo climatico e green economy. Intervento di Massimo De Angelis
– Catastrofe ecologica: la natura parla
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Per salvare il pianeta va indicato un nemico
Stando al Carbon Majors Report del 2017, negli ultimi 30 anni il 70% delle emissioni di gas serra è stato dovuto alle operazioni di solamente cento aziende. Ci troviamo di fronte ad un dato che dovrebbe fare riflettere. In particolare, su come la tanto decantata “etica dei comportamenti”, quella che descrive le scelte collettive a livello soggettivo come determinante cruciale nella lotta ai cambiamenti climatici, viva una profonda contraddizione.
Infatti, questo modo di pensare è a sua volta derivante dall’idea per la quale la responsabilità del cambiamento climatico e delle sue conseguenze debba essere comune a tutti e tutte. Esisterebbe di fatto un “interesse generale” che tutti e tutte saremmo chiamati a difendere con le nostre buone azioni. Certo, i comportamenti virtuosi non sono in alcun modo da criminalizzare. Eppure, il compito di chi si intenda mettere in marcia politicamente contro il cambiamento climatico e le sue conseguenze non può esaurirsi in questo.
Non può prescindere, crediamo, dal tema della responsabilità differenziata di fronte allo sfacelo attuale. La colpa di quanto avviene non è da condividere con quelle cento aziende. La colpa è solamente loro. Ed è solo questa assunzione che permette di delineare un campo della nemicità, propedeutico ad ogni espressione conflittuale. La salvaguardia dell’ambiente è un tema di interesse generale se ragioniamo sui termini della sopravvivenza della specie, ma sono alcuni precisi attori privati ad avere creato il danno, e sono sempre questi privati che lo devono riparare.
Decenni di interesse particolare mascherato da “interesse generale” hanno portato non solo alla distruzione di interi territori e di intere comunità, come rappresentato plasticamente, alle nostre latitudini, dal caso di Taranto, o dalla Terra dei Fuochi. Peggio, hanno spoliticizzato la questione, impedito l’affermarsi di una lettura dell’ambiente come campo di battaglia piuttosto che di bene comune. Il mantra della crescita, la dittatura del prodotto interno lordo, hanno prodotto pratiche politiche mistificatorie della realtà sottostante di interessi contrapposti.
È un discorso che ha anche una base filosofica precisa. Da sempre l’uomo agisce sulla natura, la trasforma, e a sua volta ne è agito e trasformato. Se il concetto di Antropocene, tanto in voga oggi, si è sviluppato a partire da una lettura dell’incremento sostanziale dell’attività umana sull’ambiente, analizzare politicamente quell’incremento significa leggerlo come né irreversibile né finalizzato a una qualsivoglia forma di progresso sociale collettivo.
Quell’incremento è piuttosto figlio della tendenza capitalistica a costruire mercato dovunque ci possa essere un bene commercializzabile. Per questo l’idea del Capitalocene come descritta da Jason Moore ci sembra molto più convincente. Il problema non è agire o meno sulla natura, non è un ritorno primitivo verso una Valle dell’Eden mai esistita, e dove magari si moriva a 30 anni di vita. Il problema è come si agisce il rapporto con l’ambiente, è un problema politico di organizzazione del vivente.
Se c’è organizzazione capitalistica del territorio, c’è chi vince e chi perde da una distribuzione sbilanciata delle richzze e delle opportunità. C’è scontro di classe, latente quando non agito direttamente. E non esiste “bene comune” dove esiste un chiaro scontro di classe, impersonato nella sua forma più esplicita dai negazionisti di tutto il globo, per il quale tutto è sacrificabile al profitto.
Ma la necessità di indicare nemici è funzionale anche all’evitare il rischio peggiore per un movimento che si riferisca al tema dell’ecologia politica da un punto di vista genuinamente voglioso di invertire la rotta. Ovvero, quello di essere risucchiato nel vortice della delega, in cui l’impulso al cambiamento si risolve, alla meglio, in un capitalistico greenwashing. Esiste, in questo caso ancor di più, un problema di costruzione del bersaglio da colpire, di capacità di diradare i finti amici, di andare oltre la performance e l’idea di un cambiamento profondo di lungo periodo da realizzare per via migliorista. Progetto che si scontra con gli stessi dati a partire dai quali ci si sta mobilitando in tutto il mondo.
Se la nostra casa sta andando in fiamme, è poco utile aprire una discussione filosofica sulle virtù del fuoco. A Greta Thunberg, al complesso di interessi che le sta dietro va dato il merito di aver attivato un processo di mobilitazione globale, di aver contribuito alla costruzione di hype intorno alla questione dei cambiamenti climatici in maniera adeguata alla forma della comunicazione politica odierna. Ma anche il demerito di averlo sempre più chiaramente fatto in termini di spinta elettorale verso la consultazione europea di maggio.
Interessante da questo punto di vista ci sembra sottolineare come lo stesso linguaggio di Greta, per funzionare, non sia potuto essere esso stesso orientato alla mediazione. Non c’è attivazione possibile senza una retorica ostile all’idea della mediazione. Pena la non credibilità. Quando Greta si scaglia contro “i politici che non ascoltavano ieri e che non ascolteranno domani”, critica una classe politica vecchia con l’implicito obiettivo di favorirne una nuova. Ma il suo messaggio non è in toto sussumibile, c’è una sfiducia profonda che non può essere oggetto di facile e rapida pacificazione elettorale.
Perché il tempo sta finendo, e la transizione non è rimandabile. Ora il tema è capire come riuscire a torcere antagonisticamente quel processo, come dargli organizzazione e durata. Da Friday for Future a Extinction Rebellion già si vede qualche passaggio in avanti, nel discorso e nelle pratiche, nel provare ad individuare un agire allo stesso tempo performativo e processuale, capace di andare oltre l’Evento come di usarne la cassa di risonanz Il percorso è però aperto, che cento fiori sboccino. Il punto politico, come sottolineaato dal movimento dei gilet gialli, non è questionare la necessità della transizione. E’ decidere chi debba pagarla, e se la risposta scontata è “il ricco!” allora il problema diventa come organizzarsi nella maniera più efficace affinchè ciò avvenga. Chi sono i ricchi intorno a noi? Come ne colpiamo gli interessi?
Questo ebook prova a dare delle letture, degli sguardi, delle analisi finalizzate proprio a questo ultimo obiettivo. Raccoglie alcuni dei contributi pubblicati negli ultimi mesi su Infoaut.org sul macrotema dell’ecologia politica.
Dopo questa introduzione, la prima sezione raccoglie alcuni ragionamenti a cavallo tra analisi delle posizioni in campo nella sfera politico-istituzionale e prospettive dei movimenti. Nella seconda sezione interviste che entrano nel dettaglio sui temi indicati nella prima sezione, con uno sguardo su alcuni processi di lotta attivi sul tema in ambito globale e locale. Nell’ultima sezione proponiamo una serie di approfondimenti che evidenziano i legami tra la questione dell’ecologia politica e il macrosistema di nocività rappresentato dal capitalismo contemporaneo.
Il lavoro è ovviamente temporalmente limitato al 23 maggio, giorno che precede il secondo sciopero globale organizzato sotto la sigla del Friday for Future. Se non sappiamo se il 24 maggio replicherà il successo dello scorso 15 marzo, siamo certi che il conflitto in ambito ambientale è destinato a durare e a produrre smottamenti in tutte le nostre società. Aprendo di conseguenza, per chi avrà l’abilità di coglierli, importanti spazi di radicamento e di azione politica.
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