Evo Morales e i limiti del Socialismo del 21° Secolo
Tutti casi distinti da genealogie politiche differenti, ma egualmente toccate dallo scoppio della crisi del 2008 e le sue ripercussioni geopolitiche, dalla questione cubana che proprio in queste ore con la visita di Obama a Cuba conosce una svolta simbolica non certo favorevole a queste esperienze, così come dallo scorrere storico che ha visto la dipartita di Chavez e il crollo di legittimità di altre esperienze che contribuivano a definire il contesto sudamericano come quelle di lulismo e kirchnerismo in Brasile ed Argentina.
Nello specifico, qui si analizza quanto successo in Bolivia con la sconfitta del MAS di Evo Morales nel referendum che doveva decidere sulla sua possibilità di rielezione, ma solo per affrontare in maniera profonda per quanto ancora insufficiente le contraddizioni che emergono in questa esperienza senza dubbio di rilevanza storica ma probabilmente non ancora giunta o vogliosa di giungere a scarti in avanti piu’ radicali rispetto a questioni come l’economia neo-estrattivista, il rapporto con le minoranze indigene e con il concetto ampio di rappresentanza nazionale, o la ridefinizione di una teoria e di una pratica della democrazia e dei movimenti. Buona lettura, link originale qui.
Il referendum costituzionale della scorsa settimana ha mostrato le contraddizioni e le tensioni al cuore della politica boliviana, dopo dieci anni di leadership del Movimiento al Socialismo (MAS). Il 21 febbraio la Bolivia ha tenuto un referendum costituzionale per decidere se il presidente Evo Morales e il vicepresidente Álvaro García Linera potessero correre per un altro mandato.
La proposta di modificare l’articolo 168 della Costituzione che avrebbe permesso al presidente ed al vice-presidente di candidarsi a tre mandati consecutivi è stato respinto con il 51,3% dei voti. Ora che la polvere dalle lunghe ed esuberanti campagne comincia lentamente a depositarsi, è importante riflettere sulle lezioni apprese dal referendum costituzionale. Il risultato è una chiara espressione di alcune delle contraddizioni che si trovano al cuore della presidenza di Evo Morales. Il referendum ha messo in evidenza le tensioni all’interno dell’economia politica della Bolivia tra i modi di vita indigeni – buen vivir – e il modello neo-estrattivista dello stato, da un lato, e tra il governo dei movimenti sociali ed i movimenti stessi dall’altro.
Il governo del Movimiento al Socialismo (MAS) è caratterizzato più dalla continuità che dalla rottura con i governi precedenti – e sembra incapace di rompere con la logica del passato periodo neoliberale. L’economia rimane dipendente dalle esportazioni primarie, e l’informalità e la precarietà sono una realtà costante per molti boliviani. Lo stato ha avuto l’opportunità di modificare radicalmente la natura dell’economia politica della Bolivia, ma invece ha scelto di suturare le crepe nel sistema economico predominante.
LA PROMESSA INIZIALE DI EVO MORALES
Per molti a sinistra, la Bolivia è un luogo di speranza. Si tratta di un vesempio del potere dei movimenti, di ciò che accade quando gli oppressi e gli esclusi si sollevano e combattono contro le narrazioni politiche ed i modelli economici apparentemente monolitici e dominanti.
Durante i primi anni dopo la sua vittoria elettorale, il MAS ha goduto della residua benevolenza dalle vittorie dei movimenti sociali del 2000-’05. Si trattò di un periodo che vide proteste di massa bloccare i tentativi di privatizzazione, il rovesciamento di governi neoliberali e la proliferazione e l’articolazione di idee radicali in una società altamente mobilitata.
Gli apogei di questi movimenti sono stati senza dubbio le cosiddette “guerre del gas” dell’ottobre 2003 e del giugno 2005, in cui centinaia di migliaia di persone si mobilitarono per pretendere la ri-nazionalizzazione degli idrocarburi e le dimissioni del presidente. Evo Morales era l’espressione di questo momento all’interno dello stato, presumibilmente guidando un governo dei movimenti sociali. Sebbene inizialmente il MAS avesse ottenuto un notevole sostegno da parte della maggioranza dei settori popolari, le tensioni di questa configurazione non potevano essere contenute a lungo.
Una delle caratteristiche centrali della congiuntura, da cui è emersa questa immensa mobilitazione sociale è stata una crisi fiscale dello stato. La privatizzazione della principale fonte di entrate dello stato – la società di idrocarburi Yacimientos Petrolíferos Fiscales Bolivianos, YFPB – ed il rallentamento della crescita del PIL durante i tardi anni ’90 a causa delle contrazioni del capitalismo neoliberale ha gravemente limitato in diversi modi la capacità dello stato di funzionare correttamente.
In primo luogo, le entrate da idrocarburi che filtravano fino al livello municipale locale sono sparite, portando ad un diffuso malcontento, soprattutto nelle povere municipalità rurali. In secondo luogo, un debito crescente ha posto la Bolivia sempre più sotto il controllo delle istituzioni finanziarie internazionali – incluse la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) – limitando la capacità dello stato di rispondere alla crisi. Il FMI ha preteso che il deficit di bilancio – in larga parte il risultato di programmi di privatizzazione sostenuti dal FMI – fosse ricomposto tagliando la spesa sociale e la tassazione regressiva.
I movimenti sociali chiedono quindi un ristrutturazione dell’economia politica neoliberale della Bolivia. Hanno rifiutato la tassazione regressiva nei violenti scontri dell’impuestazo del febbraio 2003, e hanno preteso la ri-nazionalizzazione degli idrocarburi e la fine del neoliberalismo in Bolivia nel corso delle espressioni popolari delle due Guerre del Gas.
Evo Morales è stato condotto al palazzo presidenziale su un’ondata di ottimismo, sulle spalle di questi movimenti. Non solo era il primo presidente indigeno della Bolivia, ma ha rappresentato una sfida all’ordine neoliberista che aveva dominato la Bolivia dal 1985. Evo ha portato un nuovo periodo di speranza e l’aspettativa che l’economia politica della Bolivia stesse per essere riorganizzata secondo principi radicalmente differenti, a beneficio della maggioranza dei boliviani. Ma negli anni recenti, el proceso de cambio (il processo di cambiamento) sembra aver perso la sua strada, con la speranza che si irradiava dal governo Morales nei primi anni sostituita da contraddizioni sempre più visibili all’interno dello stato.
Il governo è stato devastato da una serie di scandali di corruzione nei mesi recenti, senza che nemmeno Morales ne sia uscito indenne. Il referendum costituzionale non è che l’ultima espressione delle tensioni al cuore del socialismo del 21 ° secolo.
UNA “NUOVA” ECONOMIA POLITICA DELLA BOLIVIA?
Contrariamente a quanto i risultati del referendum del 21 febbraio indicano, Evo Morales resta popolare tra la popolazione boliviana. Nel mese di gennaio, il suo tasso di approvazione era ancora tra il 60 ed il 70%. Evo e il suo partito, il MAS, sono stati il primo partito a vincere la maggioranza nelle elezioni presidenziali dal ritorno alla democrazia nel 1982, e sono stati il primi governo in carica ad essere rieletto – qualcosa che hanno ormai conseguito due volte. Dietro questo successo elettorale c’è stata un’economia in crescita e l’immagine del governo nel ruolo guida della redistribuzione e di riduzione della povertà; un’immagine che è stata improvvisata per la campagna del “sì”, con slogan che enfatizzavano i cambiamenti che la Bolivia ha vissuto sotto il governo del MAS.
Tuttavia, ci sono crepe visibili all’interno dell’economia politica della Bolivia, problemi che sono stati evidenziati dai protagonisti della campagna del “no”. Un esempio. Il governo si è adoperato per promuovere un’immagine di redistribuzione guidata dallo stato, introducendo programmi di trasferimento di fondi condizionati diretti a pensionati, bambini e giovani madri. La plateale operazione militare per riappropriarsi dei giacimenti di idrocarburi che un tempo appartenevano alla YPFB nel 2006 è stato progettata per conseguire lo stesso effetto. Tuttavia, ciò era solo un’occasione da vetrina – uno strumento intelligente di Public Relations che rappresentava il governo come agire sulle richieste dei movimenti sociali.
In realtà, invece di nazionalizzare l’industria, il governo ha firmato 44 nuovi contratti con le dodici più grandi compagnie petrolifere. Ha inoltre concordato contratti di esportazione con l’Argentina e il Brasile, che in congiunzione con un boom globale delle materie prime tra 2008 e il 2013 ha aumentato il tasso medio di crescita del PIL dal 3,3% annuo tra il 1996 ed il 2006 al 5,0% nel periodo 2006-’14.
Lo Stato ha concentrato i suoi sforzi non sulla ridistribuzione di questa ricchezza, ma su un programma di ciò che il Washington Post ha definito come “prudenza fiscale”, accumulando riserve estere per garantire la stabilità macroeconomica. Tuttavia, anche con un misero 1,6% del PIL speso per programmi condizionali di trasferimento di denaro contante, il boom delle materie prime a livello globale ha contribuito a ridurre la povertà in modo significativo sotto il MAS. La povertà è scesa dal 59,6% nel 2005 al 39,1% nel 2013, e nello stesso periodo la povertà estrema è stata ridotta dal 36,7% al 18,8%.
Tuttavia, i centri di accumulazione del capitale in Bolivia rimangono invariati, essendo stato il MAS incapace – o non intenzionato – a trasformare la struttura dell’economia politica della Bolivia. Le decisioni prese dal governo durante il primo mandato del MAS hanno avuto un grande impatto sulla recente traiettoria della Bolivia. Morales ha avuto un chiaro mandato di nazionalizzare gli idrocarburi, un mandato che ha apparentemente ignorato. Il capitale multinazionale dell’agro alimentare, degli idrocarburi e delle miniere nei bassipiani; completato dalla borghesia nascente nel settore minerario cooperativo, negli scambi commerciali, nel contrabbando e narcotici rappresentano ancora i principali settori di accumulazione capitalistica.
La Bolivia fino ad oggi è riuscita a mantenere il suo tasso di crescita del PIL, con una media del 5,2% a gennaio e febbraio di quest’anno, ma i continui bassi prezzi delle materie prime – in particolare quelli degli idrocarburi – è particolarmente preoccupante nel contesto della loro continua importanza per l’economia della Bolivia.
Sebbene il contratto bilaterale per la fornitura di gas naturale al Brasile duri fino al 2019, il contratto con l’Argentina sia in corso di rinnovo, ed il prezzo del gas boliviano sia sceso del 43% in Argentina e del 53% in Brasile nel corso dell’anno passato. Con previsioni negative per la crescita del PIL mondiale nel 2016 e il prezzo del petrolio che non mostra segni di aumentare nel prossimo futuro, il modello economico neo-estrattivista della Bolivia sarà sottoposto ad una crescente quantità di stress.
Anche con le recenti scoperte di gas a Boicobo, Ipaguazu e Boyuy che hanno aumentato del 40% le riserve conosciute della Bolivia, il governo dovrà lottare con una debole performance economica, e potrebbe incoraggiare nuove modalità di accumulazione per mantenere i recenti tassi di crescita del PIL della Bolivia. Senza dubbio, abbiamo già assistito a segnali in tal senso, con Morales che ha tenuto una fiera di investimento sponsorizzata dal Financial Times a New York nel mese di ottobre dello scorso anno.
PRINCIPI INDIGENI E SOCIALISMO DEL 21° SECOLO
Le tensioni all’interno del governo Morales sono ben lontane dal poter essere descritte solamente in riferimento all’economia politica. Il modello del neo-estrattivismo sopra descritto è del tutto in contrasto con il principio indigeno del buen vivir che Evo Morales apertamente sostiene.
Al centro di questo principio è il rispetto per la Pachamama (Madre Terra), nonchè la comprensione che gli esseri umani e il mondo naturale esistono in una stato di armonia; un delicato equilibrio in cui gli esseri umani sono parte di un ecosistema più grande e di un mondo spirituale. Questa cosmologia è caratterizzata da una concezione ciclica del tempo e dalla presenza del passato nel presente: la topologia delle Ande racconta storie di eventi di epoche passate. Le comunità indigene narrano come protagoniste di queste storie – come i loro antenati – le colline colorate e le cime innevate delle Ande.
Tutto ciò è in netto contrasto con le idee che sono alla base dell’estrattivismo: il dominio sul mondo naturale attraverso l’utilizzo di tecnologie e macchinari. Gli esseri umani possono agire sulle vicissitudini del mondo naturale – sul tempo e sul clima, sui cambiamenti di stagione e sui cicli annuali – attraverso lo sfruttamento della stessa Madre Terra stessa, che esiste per essere sfruttata dagli esseri umani.
Gli esseri umani sono quindi posti al di fuori e al di sopra degli ecosistemi del mondo naturale, con le moderne società capitalistiche e gli ecosistemi naturali come distinte, piuttosto che inseparabili, sfere. La durata dei processi di estrazione delle risorse è teleologica, una progressione lineare che conduce a una fine definitiva non appena la risorsa limitata si esaurisce – qualcosa che è abbastanza in contrasto con le concezioni cicliche del tempo detenute dalla comunità indigene.
Il recente scandalo che ha travolto Evo Morales ben coglie queste contraddizioni al cuore del MAS. Nel 2007 Evo Morales ha dato alla luce un figlio con Gabriela Zapata, una cruceña bianca che lavora per la società cinese CAMC, negoziando contratti con lo Stato Boliviano.
Sotto il governo Morales alla CAMC sono stati assegnati oltre 500 milioni di dollari in contratti di sviluppo statali; la multinazionale sarà responsabile della costruzione di infrastrutture – tra cui un treno elettrico – che consentiranno di migliorare ulteriormente l’economia estrattiva della Bolivia. Non è sfuggito il fatto che gli interessi di una donna dalla pelle chiara di discendenza europea, insieme a quelli del capitale multinazionale, sono stati posti al di sopra degli interessi della maggioranza indigena della Bolivia.
Non sorprende, quindi, che l’emergere di questo scandalo ai primi di febbraio abbia molto probabilmente fatto pendere la bilancia a favore del “no” ( il “sì” era, secondo alcuni sondaggi, in vantaggio di cinque punti percentuali appena un mese prima del referendum). Non solo il governo Morales assomiglia sempre di più i suoi predecessori rispetto all’incapacità nel fermare la corruzione onnipresente nello stato boliviano in tutte le sue articolazioni; lo scandalo evidenzia anche la continua subordinazione degli interessi indigeni a quelli del capitale.
Vi è un’altra contraddizione grave che sta alla base del MAS, una tensione che era contenuta nell’essenza stessa del referendum costituzionale.
L’unità sociale Aymara dell’ayllu è organizzata non lungo gli ideali liberali di “diritti” e “responsabilità”, ma attraverso i principi di “rotazione” e “obbligo”. Ognuno all’interno di una comunità è previsto come esecutore di determinate attività in certi momenti, e poi previsto cedere la responsabilità al proprio successore. I movimenti sociali hanno presto in prestito questi principi – in particolare a El Alto, dove la popolazione è in gran parte Aymara – e le famiglie sono state obbligate a mandare un loro membroi a partecipare di volta in volta a blocchi stradali, riunioni o marce.
“Obbligo” è integrato con “rotazione” negli ayllu: una volta che un membro della comunità ha svolto il suo ruolo, è poi il turno di qualcun altro. Con la richiesta di un quarto mandato, Evo Morales è venuto direttamente in conflitto con la “rotazione” della leadership, un ideale che egli manifestamente rappresenta.
Molti dei sostenitori principali della campagna per il “no”, tra cui il governatore di La Paz Felix Patzi, hanno notato questo scisma tra la retorica dei principi indigeni e le azioni del governo. Il referendum costituzionale rappresenta una svolta lontana dai principi indigeni e dalla tradizione, e mette in mostra la contraddizione simboleggiata dal divario tra lo stato e la maggioranza indigena che forma la base di appoggio del MAS.
UN “GOVERNO DEI MOVIMENTI SOCIALI”?
Il MAS è, secondo il vice-presidente García Linera, un governo di movimenti sociali. Evo Morales è il leader delle sei federazioni dei coltivatori di coca del Chapare, ed era un attivista sociale prima di diventare presidente. Le conseguenze dell’essere un governo di movimenti sociali sono state un po ‘inaspettate. Molti protagonisti delle lotte del 2000-’05 hanno ottenuto posizioni all’interno del governo, decapitando la leadership della società civile locale e sancendo i canali ufficiali del governo come la via legittima per il cambiamento.
Questo ha chiuso alle strade alternative per mettere in atto il cambiamento dal basso. I movimenti sociali al di fuori del controllo dello Stato sono stati etichettati come agenti di azioni controrivoluzionarie, guidate da capi egoisti che mettono i propri bisogni al di sopra di quelli della nazione. E’ interessante notare che questa polemica – che è stata particolarmente diretta verso i leader della Confederazione dei Popoli Indigeni della Bolivia nel conflitto che ha avuto inizio nel 2011 sulla costruzione di una strada nel parco nazionale TIPNIS – contraddice il plurinazionalismo che dovrebbe essere l’architrave su cui poggia lo stato boliviano.
Il posizionamento dei bisogni della nazione al di sopra di quelli di un particolare gruppo è impossibile in un reale plurinazionalismo, in quanto le esigenze di tutti i gruppi – ognuno nelle proprie reali “nazioni” – sono considerate uguali. La repressione violenta dei movimenti sociali al di fuori del controllo dello Stato sfida questa immagine di un governo dei movimenti sociali.
Inoltre, il processo di integrazione nello stato ha offerto ad alcune comunità e leader di accedere alle risorse statali, migliorando lo status degli individui e aiutando alcune comunità a svilupparsi sopra altre. Questo ha portato ad un certo numero di effetti sulla società boliviana. In primo luogo, ha creato conflitti tra le comunità, con i gruppi di pianura che lottano rispetto al TIPNIS altamente sospettosi nei confronti delle nazioni indigene dell’Altiplano e viceversa, mentre le ayllu di Potosí hanno inscenato una protesta di massa nel 2011, sentendosi colpite dal fatto che lo Stato non avesse diretto risorse in loro direzione.
In secondo luogo, e forse più grave, si è creato un conflitto intra-comunitario tra coloro che hanno accesso ai canali ufficiali dello Stato, e chi vuole radicalizzare il processo di cambiamento. In effetti, alcuni dei leader delle ayllu vedono il regime di Morales come peggiore rispetto ai governi neoliberali degli anni 1980 e 1990, avendo notato le loro comunità divenire sempre più divise nel corso degli ultimi dieci anni. Il referendum costituzionale ha portato questi tensioni intra-comunitarie alla ribalta, con le comunità – e anche le famiglie – divise lungo le linee del “sì” e del “no”.
UN PASSO NELLA DIREZIONE GIUSTA?
Il referendum costituzionale ci ha insegnato molto sull’attualità politica in Bolivia: sull’economia politica della Bolivia di Morales; sul rapporto tra le comunità indigene, lo Stato e l’accumulazione di capitale; e circa l’impatto del MAS rispetto al progetto di essere un “governo dei movimenti sociali.”
La conclusione che si può raggiungere è che c’è un problema al cuore del socialismo del 21 ° secolo. C’è stata troppa continuità e non abbastanza rottura, e le vecchie istituzioni dello Stato e dell’accumulazione di capitale non sono state contestate e trasformate. Il capitale transnazionale domina ancora il panorama economico, spesso a scapito delle comunità indigene e dei movimenti sociali che costituiscono la base di appoggio del governo Morales.
Il referendum costituzionale mette solamente in evidenza la pletora di contraddizioni contenute da questa continuità con le vecchie forme politiche e dell’economia politica. Si tratta di un promemoria, non su dove la Bolivia sia arrivata, ma su quanto debba ancora marciare. E’ un’occasione per riflettere sugli errori del passato, e per contemplare quello che si sarebbe potuto fare in seguito ad un momento di opportunità così radicali.
La vittoria del campo del “no” offre una nuova opportunità, ma se il regime di Evo Morales ci ha insegnato qualcosa, è che una forte trasformazione sociale può avvenire solo attraverso una rottura radicale con il passato.
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