I bisogni di tanti contro gli interessi di pochi
La conferenza stampa di presentazione del provvedimento più significativo per la gestione economica del paese è sembrata più una performance da illusionista che un vero e proprio rendiconto delle intenzioni dell’esecutivo. Le illusioni, fornite a piene mani, sono la parte rilevante della manovra, mentre la sostanza si è concentrata verso il cosiddetto paese solvibile. Semplificando potremmo dire che ai poveri arrivano delle elemosine e al paese che sta bene, per ora, si riserva un trattamento di favore, confidando in un ritorno elettorale e in un sostegno duraturo. I 27 miliardi della Legge di Stabilità sanciscono, ancora una volta ed ancora di più, un aumento delle diseguaglianze e una scelta di campo ideologicamente e materialmente classista. Si escludono da ogni possibile attenzione milioni di persone che vengono giudicate improduttive, inutili ed elettoralmente perse. Il premier si erge esplicitamente a capo di una vera e propria fazione disposta anche “allo scontro fisico” pur di mantenere le proprie rendite di posizione, accrescere profitti e patrimoni, mentre una fascia sociale rilevante diventa sempre più fragile e distante.
“Il Matteo nazionale” ha speso parole di fuoco per sottolineare l’inaccettabile condizione di milioni di bambini e bambine, per poi comportarsi come quel distinto signore che uscendo dalla chiesa lascia cadere una piccola moneta nel piattino di chi chiede un obolo. Il PD di Renzi risponde così alla domanda di Orfini di qualche tempo fa sul cuore sociale di questo partito. Una risposta drammaticamente inequivocabile di chi sta dalla parte benestante e può solo escogitare bonus per le povertà, mantenendo inalterato lo stato d’emergenza permanente che tanto piace alla rendita di questo paese.
In nome di una rinnovata fiducia e verso l’incentivazione di nuovi consumi, si determina l’idea di una ripartenza fortemente classista con tagli alla sanità e vistosi regali alla proprietà, al mercato e alle imprese. Dopo aver riformato violentemente le regole sul lavoro e sul welfare, con questa manovra si tira una riga definitiva sulle vite di un numero impressionante di persone, milioni di famiglie e di single che a parole si dice di voler tutelare, nei fatti vengono cancellate/i. Oltretutto quando questi uomini e queste donne si organizzano vengono repressi, limitati nei diritti, zittiti con arroganza e protervia. Anche la libera espressione del dissenso viene fortemente controllata e depotenziata.
Si interviene sulla tassazione per la prima casa e non solo, favorendo soltanto chi ha già garanzie e dimenticando coloro che un alloggio non hanno potuto acquistarlo e spesso nemmeno affittarlo, come capita a milioni di precari con redditi incostanti e insufficienti. In assenza di politiche abitative pubbliche e di fronte al fallimento del cosiddetto “piano casa” dell’ex ministro Lupi, sodale di prima grandezza del governo Renzi, ci si sarebbe aspettato ben altro. Si parla di intervento sulle case popolari dimenticando volutamente che già 500 milioni erano da appostare sul “piano” di cui sopra, pretestuosamente denominato provvedimento atto a limitare l’emergenza abitativa, per la manutenzione e la riqualificazione degli alloggi pubblici. Cosa mai avvenuta. Cosa si è concretizzato di quel piano? Le risorse destinate al solito grande evento “succhiasangue e devastacittà” di Expo 2015 e l’applicazione dell’odioso articolo 5. Con la Legge di Stabilità 2016 si percorre quindi sempre la stessa strada, guerra ai poveri e briciole per l’emergenza, sgravi fiscali e risorse per gli abbienti e per l’impresa.
È chiaro anche l’intento propagandistico dei soldi per il Giubileo all’indomani delle dimissioni del sindaco Marino. Un grande evento è sempre un affare e il fatto che cada mentre si deve preparare una campagna elettorale non è una cosa da gestire malamente. Quindi le risorse fino a ieri negate irrompono spettacolarmente – salvifiche – nella capitale, rappresentando in un certo senso –una dote – del governo verso l’election day della prossima primavera.
Roma come Torino, Bologna, Milano e Napoli andranno infatti alle elezioni a maggio prossimo. Questa Legge di Stabilità ha dentro di se anche questa necessità, raccontare al paese solvibile che la coalizione di governo non ha interesse alcuno nel modificare le condizioni di vita di chi ha superato più o meno indenne la bufera della crisi, oppure ne è uscito persino arricchito. Per fare questo l’ostilità verso gli insolventi deve diventare maggiormente visibile e palpabile. Bisogna eliminare ogni percezione di attenzione, al massimo si può coltivare l’istituto della pietà, foraggiando un terzo settore complice e corrotto o prevedendo minime risorse da destinare a bonus insignificanti, insufficienti e provvisori, oltretutto immaginati come strumenti di controllo e ricatto sulle persone.
Come ribaltare questo stato di cose? Come sfidare questo neoliberismo che regala 6 dei 27 miliardi della manovra ai ricchi mettendo tutto comunque al servizio del mercato e dell’impresa? Come rispondere a politiche economiche così faziose e insopportabili per milioni di persone?
L’indebolimento generalizzato delle tutele, dei salari, della riproduzione sociale, dei diritti, è il prezzo da pagare per uscire dalla crisi? Davvero questa barca non si può rovesciare perché altrimenti moriremmo tutti e quindi puntare alla riduzione del danno, ad una ipotesi di sopravvivenza, rimane la sola via praticabile in attesa di cose rosse o coalizioni possibili? Noi non ne siamo affatto convinti.
La dichiarazione di guerra del premier è palese, così come è evidente che le numerose effervescenze sociali disseminate nel paese non hanno valore di contrasto da contrapporre, se non a livello locale. Pensare di percorrere ancora una volta ipotesi elettorali perdenti e comunque di governo della crisi significa non percepire il disagio dei poveri e lasciare questa pancia dolente nelle mani della destra fascio-leghista. Bisogna provare invece a scagliare la povertà sulla scena come oggetto contundente e ricompositivo, immaginando che l’apertura del Giubileo della Misericordia diventi lo spazio della rabbia e della dignità degli esclusi, della classe sociale che si vuole relegare nell’oblio e nella sfera delle elemosine. Pensare che sia una tornata elettorale primaverile a restituire la dignità che vorrebbero toglierci è illusorio e perdente: benvenuti negli Stati Uniti, dove chi vota rappresenta meno del cinquanta per cento della popolazione e decide per tutti, poveri compresi. A New York come a Ferguson.
La divaricazione degli interessi, dei bisogni, dei desideri è troppo forte per non esplicitarla, per non viverla come possibilità di trasformazione e liberazione. Prima i poveri, non è uno slogan. È un affermazione di appartenenza!
Movimenti per il diritto all’abitare
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