Il movimento Occupy. Intervista a Silvia Federici
Silvia Federici è docente presso la Hofstra University di New York, oltre che attivista del movimento Om. È una delle maggiori intellettuali e militanti femministe e marxiste. Ha vissuto tra Italia, Stati Uniti e Nigeria prendendo parte attiva in numerose battaglie politiche: dalle mobilitazioni studentesche alle lotte femministe europee e africane, dall’attivismo contro la pena di morte alla militanza nei movimenti contro la globalizzazione e la mercificazione dei sistemi scolastici.
La rappresentazione che giunge qui in Europa del movimento Occupy Wall Street tende a valorizzarne soprattutto l’originalità e la spontaneità. Tuttavia sappiamo che la sua esperienza non è priva di organizzazione, nè di antecedenti. Su che terreno politico si è potuto costruire questo movimento?
La prima cosa da correggere riguardo alla rappresentazione che si fa in Europa di questo movimento è che si tratti essenzialmente di un movimento concentrato a New York, mentre in realtà si è esteso a più di 600 città degli Stati Uniti, da costa a costa, per cui è meglio parlare di Om. In ogni caso è un movimento che ha dietro di se un grosso retroterra di lotte e iniziative a partire dalle occupazioni che migliaia di studenti hanno portato avanti in questi ultimi anni, sia in California che a New York, contro l’aumento delle tasse universitarie e la mercificazione dell’istruzione pubblica. Si deve anche ricordare l’occupazione avvenuta nell’inverno del 2011, nello stato del Wisconsin, quando migliaia di persone si sono insediate per settimane nel Palazzo della Legislatura, in risposta al tentativo del governatore dello stato di bandire il ‘collective bargainin’, che è fondamento dell’attività sindacale e senza il quale il sindacato non può esistere. Pensando però in senso più ampio al terreno sui cui questo movimento ha potuto crescere vorrei evidenziare due cose. Prima di tutto la vasta rete di iniziative che in questi anni si sono prodotte nell’ambito del movimento per un’altra globalizzazione e per la costruzione di un’economia solidale, che spesso sono apparse frammentarie ma allo stesso tempo hanno creato capacita organizzative e una crescente consapevolezza dell’ingiustizia e delle disuguaglianze su cui si fonda l’economia globale. Altrettanto chiaramente un elemento decisivo nell’emergere del Om è stato l’esempio della primavera araba e del movimento delle piazze, che hanno dimostrato che le mobilitazioni di massa hanno ancora la capacità di trasformare la vita politica anche a livello internazionale.
Pensando all’ultimo anno di conflitti (dalla primavera araba agli indignados spagnoli) che cosa ha rappresentato Owm sullo scenario globale?
Nel contesto dei conflitti politici di quest’ultimo anno, a partire dalla primavera araba e dai movimenti delle piazze (Tahir, Puerta del Sol, etc), l’Om rappresenta una svolta significativa. Anzitutto è la prima risposta politica alla crisi globale negli Stati Uniti, dopo un lungo periodo di silenzio, in cui sembrava che il proletariato americano avesse perso la capacita di rispondere al livello di attacco a cui è stato soggetto soprattutto dopo il crash di Wall Street. È stata la prima risposta politica non solo alla crisi dei mutui, che ha già prodotto più di sei milioni di sfratti, ma anche agli alti livelli di disoccupazione, al crescere continuo della spesa militare e della politica della guerra, al trasferimento continuo di denaro pubblico alle banche. Come la primavera araba e il ‘Quinzeme’ in Spagna, l’Om conferma la crescita a livello mondiale di un movimento sempre più consapevole che il capitalismo – oggi simboleggiato da Wall Street – non ci può dare nessuna garanzia rispetto al futuro, se non altre crisi, altre guerre, altri programmi di austerità che oggi si estendono anche a quelle aree, come l’Europa, che fino a qualche anno fa sembravano risparmiate dagli aspetti più brutali dello sviluppo capitalistico. Credo che sia significativo che oggi, proprio nel paese che più di ogni altro si presenta come rappresentante e difensore del capitalismo a livello internazionale, esista un movimento che denuncia questo sistema e smaschera la sua pretesa di democrazia.
Qual’è la composizione sociale di questo movimento? Come si colloca rispetto alle divisioni razziali che continuano a strutturare la società americana?
C’è un’opinione diffusa secondo cui questo movimento è costituito principalmente da giovani bianchi, scolarizzati, di classe media – un movimento cioè di soggetti privilegiati. Questa però è un’immagine parziale. Anzitutto, non tiene conto del fatto che gli studenti rappresentano un settore della popolazione sempre più proletarizzato, in cui la maggior parte deve fare due o tre lavori per mantenersi agli studi, visto che le tasse scolastiche aumentano sempre di più e i sussidi all’istruzione sono stati decimati. Un articolo sull’International Herald Tribune del 29 giugno scrive, per esempio, che la popolazione urbana negli Stati Uniti per la prima volta nel secolo è in espansione, trainata dalla presenza di giovani adulti che, carichi di debiti contratti per procurarsi un diploma, accettano di lavorare in impieghi temporanei e sottopagati. Va aggiunto che sia a New York che in California, l’Om ha aggregato molti giovani neri e migranti e si è distinto dai movimenti precedenti per la grossa presenza di donne anche nelle principali strutture organizzative e decisionali. L’attacco a Wall Street, la roccaforte del capitalismo internazionale e lo slogan ‘siamo il 99%’ articolano una prospettiva in cui molti si riconoscono. Non a caso l’Om è riuscito anche a mobilitare i sindacati che fin dall’inizio hanno capito che questo movimento rappresenta per loro un punto di forza e sia pur con alcune ambiguità lo hanno appoggiato in vari modi, partecipando alle dimostrazioni organizzate dal movimento e prendendo decisamente posizione a sua favore. Per esempio, quando in occasione di una dimostrazione non autorizzata a New York la polizia ha sequestrato alcuni autobus per trasportare gli arrestati, il sindacato ha protestato e ha persino fatto causa alla polizia, una cosa senza precedenti. Sempre a New York, ci sono state iniziative congiunte da parte di membri dei sindacati e partecipanti all’Ows. La più notevole è stata l’apertura, il 28 marzo del 2012, dei cancelli della metropolitana in più di venti stazioni, accompagnata dalla distribuzione di volantini che annunciavano che per quel giorno la metropolitana era gratis. A Oakland, in California, l’Om ha appoggiato la lotta dei portuali, arrivando il 2 novembre 2011 a chiudere il porto, che è uno dei più importanti del paese, in quanto smista le merci che provengono dall’Asia. I problemi non mancano. A New York, giorni dopo l’occupazione, le donne hanno dovuto creare uno ‘spazio sicuro’ da cui articolare una serie di principi riguardo al regolamento dei rapporti di genere. L’Om ha anche attirato molte critiche da parte di compagne e compagni di colore, che hanno lamentato la scarsa comprensione da parte di molti partecipanti riguardo al sussistere di gerarchie su base razziale anche al suo interno. È anche vero però che l’Om si è esteso anche ad aree popolate prevalentemente da gente di colore e migranti, come Harlem, Sunset Park a Brooklyn; per cui non si può considerare ‘un movimento di bianchi’. Un problema che il movimento ha dovuto affrontare e in vari casi non ha saputo superare è che, nella misura in cui le occupazioni si sono date in aree in cui già vivevano molti senza tetto, è stato anche un polo di attrazione per quanti ormai vivono in strada, spesso affetti da problemi mentali, alcolismo o altre patologie. Raccogliendo storie e aneddoti da varie città, abbiamo riscontrato che il movimento non era preparato a confrontarsi con questa nuova situazione. Ma si è trattato di una grossa esperienza politica, che ha fatto toccare con mano a migliaia di giovani donne e uomini una realtà sociale che per loro fino a quel momento era stata invisibile. Io credo che questa esperienza avrà un grosso impatto sul futuro dell’Om.
Quale e’ il suo legame con il movimento studentesco americano?
L’Om ha un rapporto molto stretto con il movimento studentesco americano che l’ha caratterizzato fin dall’inizio. L’iniziativa che ha dato il via a Ows è stata la tendopoli che alcuni studenti della City University of New York hanno costruito nell’estate del 2011 di fronte all’ufficio del sindaco Bloomberg, in protesta contro i tagli che la sua amministrazione ha fatto al budget delle scuole di New York. Inoltre, come ho detto, le occupazioni alle università di Berkeley e Santa Cruz in California e alla New School a New York nel 2009 e 2010, contro l’aumento delle tasse universitarie, sono uno degli antecedenti di questo movimento. C’è anche da notare che a New York, Ows ha dato impulso a un nuovo movimento di studenti, contro il debito che devono sobbarcarsi per poter continuare gli studi e che nell’aprile di quest’anno ha raggiunto l’ammontare complessivo di un trilione di dollari. Questo movimento ha preso il via proprio a Zuccotti Park, dove in novembre ha lanciato la sua campagna contro il pagamento del debito, sostenendo appunto che la produzione della conoscenza deve essere un bene comune e non una merce. Infine, in tutto il paese, l’Om dato il via a occupazioni in decine di università, e più recentemente, a manifestazioni, anche quotidiane, di solidarietà con il grosso sciopero di studenti che da mesi sta andando avanti in Canada, a Montreal, nella provincia del Quebec, questa volta contro l’introduzione di tasse universitarie – sciopero che ha già raggiunto dimensioni storiche e si sta trasformando in quella che è stata definite un rivolta civile.
Al centro del lavoro politico del Owm sembra collocarsi una capacità/volontà di organizzare autonomamente la vita e le relazioni sociali e economiche, che è già una risposta allo smantellamento del welfare attuato a partire dalla crisi del debito…
Senza dubbio il desiderio di organizzare la vita quotidiana in un modo autonomo è al centro dell’esperienza dell’Om. Ciò è dovuto in gran parte alla realizzazione che la crisi economica non è un fenomeno transitorio ed è quindi necessario organizzare subito a partire dal presente forme di riproduzione alternativa. Ma esprime anche la volontà di creare un movimento che non separi il momento dell’organizzazione politica da quello della soddisfazione dei bisogni fondamentali e, altrettanto importante, esprime il desiderio di vivere la politica non in modo astratto, dove l’obiettivo da raggiungere è continuamente rimandato al futuro, ma come trasformazione immediata della vita e dei rapporti quotidiani. Fin dall’inizio, quindi, la questione della riproduzione è stata al centro dell’Om che, per certi aspetti, ha rappresentato un laboratorio per pratiche alternative e riproduzione collettiva. Basti pensare che in poco tempo l’Ows è stato in grado di distribuire centinaia di pasti e stabilire contatti diretti con agricoltori in varie parti dello stato di New York, organizzare un biblioteca, gruppi adibiti alle pulizie, alla produzione di poster, all’informazione, oltre ad organizzare assemblee, gruppi di lavoro e spazi di discussione ed istruzione collettiva, dove ogni giorno vari speaker sono intervenuti a parlare di argomenti di grande interesse per il movimento.
In definitive quali sono i limiti e le potenze di questo movimento? Quali le sue prospettive future?
Credo che le prospettive siano buone nel senso che, attraverso l’Om, non solo a New York, ma in tutti gli Stati Uniti, migliaia di giovani si sono politicizzati e il movimento non è morto dopo che gli accampamenti sono stati smantellati dalla polizia. La fine degli accampamenti ha voluto dire che il movimento si è diffuso nei quartieri e i gruppi di lavoro sono passati a occuparsi di questioni pratiche legate al territorio, come l’organizzazione della resistenza agli sfratti, oltre a tematiche più generali come la guerra, le prigioni, la crisi economica. Il risultato di queste attività si è visto il primo maggio di quest’anno quando il movimento a New York ha indetto uno ‘sciopero generale’, in gran parte simbolico, e che tuttavia ha dimostrato che la vitalità di questo movimento non è diminuita, riuscendo a portare in strada, per tutta una giornata, migliaia di persone tra cui varie organizzazioni di migranti. Il potenziale dell’Om è grosso perché è un catalizzatore dello scontento che si è ormai diffuso in tutto il paese, ma per molto tempo è stato strumentalizzato dai movimenti di destra. Quanto ai suoi limiti, il maggiore è l’incapacità, dimostrata finora, di conciliare il rifiuto della rappresentanza con la necessità di creare una struttura organizzativa capace di coordinare le varie iniziative a livello locale e nazionale. C’è anche il pericolo che il movimento possa venire coinvolto nella campagna elettorale che si terrà in autunno. Nonostante il movimento politicamente rappresenti un rifiuto della rappresentanza e della delega, il pericolo è grande perché l’ideologia del ‘male minore’ è ancora forte. In questo senso la campagna elettorale sarà un banco di prova importante per questo movimento. Si vedrà se, ancora una volta, il movimento in Usa si auto-esproprierà di ciò che ha costruito, deponendolo ai piedi del Partito Democratico, o riuscirà a mantenere la propria autonomia e a definire la propria agenda.
Intervista tratta da Rise up! 2.0, rivista del Collettivo Universitario Autonomo
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