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Ilva, la tragedia permanente. Intervista al portavoce comitato di base “liberi e pensanti”

Prima o poi ci vorrà un’analisi a freddo sulle modalità di formazione della decisione della procura pugliese che portato al sequestro dell’area a caldo dell’Ilva. Non sull’aspetto ambientale che sembra proprio ineccepibile. Perchè 1650 morti l’anno nell’area tarantina e 91 nei due quartieri a ridosso dell’Ilva, come da perizia ordinata dal tribunale di Taranto, richiedono come minimo il sequestro dello stabilimento. L’analisi va portata al livello delle modalità di pensiero e di funzionamento di uffici giudiziari che, nel momento di cui emettono ordinanze del genere, tagliano un nodo strategico dell’acciaio italiano e si mettono contro regione, governo, sindacati, confindustria e media (es.Repubblica edizione domenicale è un inno al gruppo Riva formato notizia). Ma per adesso fermiamoci ad altro: di fronte ad una strage di queste proporzioni (oltre 11.000 morti causati in sette anni, sempre da perizia) si può prendere sul serio chi parla di sentenza strumentalizzata da settori “violenti” dell’ambientalismo (Vendola sul manifesto)? Taranto è la Bhopal italiana, questo le narrazioni di Vendola non lo cancellano.

Si può prendere sul serio un sindacato, la Fiom, che non combatte per un epocale piano di risanamento (perchè quello ci vorrebbe) oppure per la chiusura e l’avvio di un nuovo modello di sviluppo sul territorio tarantino?
Eppure il sindacato avrebbe tutto da guadagnare come elemento propulsore di una di queste due politiche. Se si trattasse di un sindacato, appunto.
Si comprende, proprio da questi tragici fatti, cosa siano i soggetti politici e sindacali come quelli rappresentati da Vendola o Landini. Reti di gestione di quote di rappresentanza, politica e sindacale, che hanno trovato collocazione entro istituzioni od economie nei quali, di fatto, possono o sanno fare molto poco (e dire anche cose fuori dal mondo). Nella tragedia, anzi nella strage, questo ruolo non è insufficiente: è patetico. Eppure le strade alternative ci sarebbero. Ad esempio quella di una ristrutturazione dell’acciaieria tarantina modello Linz

http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/docs/2906.pdf

oppure, al contrario, quella di una uscita completa dal settore industria pesante sfruttando le leve della fiscalità e la concezione di un modello di sviluppo. Su questo genere di politiche segnaliamo

http://www.mfe2.it/cagliari/documenti/Tasse_ambientali_Grimaldi.htm

Invece, niente di tutto questo. Anche perchè per arrivare oggi, nell’emergenza, a proporre una di queste politiche non bastano certo le opinioni: ci vogliono anni di lavoro politico, scientifico, territoriale. Radicamento vero, non comitati elettorali per le primarie, confondendo i concorsi a premi con la politica, o affermazioni del tipo “siamo in ritardo” come fa sempre la Fiom quando fa finta di ammettere i propri errori per poi ricominciare come prima.
Il presidente della puglia e la Fiom così rimangono impiccati all’Ilva, alla strategia di far riconsegnare la fabbrica al rappresentante Ilva Ferrante (ex prefetto, ex candidato sindaco Pd a Milano nel 2006). E il Pd, mentre attacca la magistratura di Taranto assieme al Pdl, depista. Parla per bocca di Fassina (un nome,un refuso) di “piani dell’Ilva per il risanamento che erano già pronti”. Sono piani che non ha visto nessuno ma qualcosa agli elettori, soprattutto non di Taranto, bisogna raccontare.

La drammatica vicenda, ormai s’è capito, non finirà qui. Intanto, pubblichiamo, dall’edizione domenicale del manifesto, l’intervista al portavoce del comitato tarantino “liberi e pensanti”. Il comitato che ha sostenuto la contestazione alla manifestazione di Cgil-Cisl-Uil sdraiata sulle ragioni dell’Ilva, sul cui palco non avrebbero dovuto parlare comitati o voci dissidenti. I tarantini, invece, la voce se la sono ripresa da soli.

da Senzasoste

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Intervista di Gianluca Coviello, da ilmanifesto

Qualcuno l’ha definita «la rivoluzione dell’Apecar»; qualcun altro, invece, semplicemente la risposta libera degli operai più coraggiosi che si sono sottratti alla morsa dell’Ilva e alla contrapposizione tra lavoro e salute.
Lo scorso 2 agosto, in occasione della manifestazione di Cgil, Cisl eUil a Taranto contro la chiusura dello stabilimento siderurgico, un gruppo di lavoratori e cittadini, alcuni a bordo di un Apecar, hanno preteso la parola. Ne avevano chiesto il permesso per tempo senza ottenere risposte dai sindacati. Il tutto con un unico obiettivo: evidenziare l’esistenza di tanti operai che non ci stanno a rivendicare il lavoro a tutti i costi, anche a scapito della salute. Tra di loro c’era Cataldo Ranieri, operaio del siderurgico, ex delegato sindacale e impiegato presso gli impianti marittimi (carico del minerale e partenza del lavoro finito). Per lui, portavoce del comitato «Cittadini e lavoratori liberi e pensanti», il provvedimento di ieri del gip Todisco era necessario.

Non bastava quanto scritto dal Tribunale del Riesame?

Evidentemente no. L’azienda faceva finta che non fosse successo nulla, continuava a produrre interpretando erroneamente il provvedimento. Avevano fatto la stessa cosa anche quando fu emessa la prima ordinanza. Anzi, addirittura in quel caso produssero di più degli altri giorni dopo aver fatto credere a gran parte dei lavoratori che il sequestro fosse già esecutivo. Attraverso i capi reparto, ci dissero che gli impianti erano chiusi e ci spinsero a manifestare bloccando la città. Quello sciopero fu voluto e favorito dall’azienda salvo poi detrarne le ore dalla busta paga anche a chi rimase nello stabilimento a lavorare. Il suo comitato sta riscontrando molta simpatia nel quartiere Tamburi, a ridosso dell’Ilva e più inquinato,ma non solo.
Chiedete alternative economiche. Non le piace il suo lavoro?
Tutti i 12mila i lavoratori del siderurgico tarantino, se potessero scegliere, farebbero un altro lavoro. Noi chiediamo che si discuta di riconversione della città perché per anni sono state sacrificate tutte le risorse di un territorio splendido. È stato fatto anche perché noi operai non potessimo scegliere, ci hanno condannati a morte. Oggi, però, non voglio che i miei figli continuino a vivere in un ambiente poco sano.

E se l’Ilva mettesse a norma gli impianti seguendo ogni prescrizione della Magistratura? Sarebbe una soluzione, o no?

Il problema è proprio questo: Riva non lo farà mai, è molto più probabile che scelga di chiudere. È per questo che i politici e i sindacalisti, più che fiancheggiare l’azienda nel tentativo di smontare il lavoro della magistratura, farebbero meglio a concentrarsi sul futuro, su come dare una nuova economia a questo territorio. Considerando che gli stipendi dei dipendenti gravano sugli utili dell’azienda non più del 10%, si potrebbe spegnere gradualmente il siderurgico in 3-4 anni e, nel frattempo, avviare le bonifiche, restituire alla città le aree demaniali e favorire nuovi investimenti. Ha subito ripercussioni nello stabilimento dopo le sue prese di posizione? Sì. È sempre accaduto dato che da anni denuncio, come altri colleghi, ciò che non funziona nel siderurgico. Proprio in questi giorni mi è stato notificato un provvedimento disciplinare.

Il motivo?

Ho deciso di non firmare più il registro di presenza delle riunioni periodiche che vengono promosse sulla sicurezza. Trovo inutile che tali informazioni vengano diffuse se poi, quando noi operai cerchiamo di applicarle, diventiamo un problema.

Ha paura?

Certo, potrei perdere il lavoro. Non posso però chiudere gli occhi e non fare niente. Sono prima cittadino di questa città, poi operaio.

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