Indipendentismo, socialisti e Vox. Uno sguardo sulle elezioni spagnole.
A una settimana dalle elezioni spagnole pubblichiamo un contributo scritto da un attivista italiano che vive a Barcellona, che prova a toccare alcuni dei nodi centrali aperti da questa tornata elettorale.
Vince il partito socialista, grazie al voto della paura dell’estrema destra e del successo comunicativo del breve, recente, periodo di governo in cui il PSOE non ha fatto sostanzialmente nulla ma ha agitato alcune bandiere della sinistra, dalla «promessa» di togliere le ossa del dittatore dal Valle de los Caídos alla «promessa» di derogare la legge bavaglio.
Lontano dalla maggioranza assoluta, ha però la possibilità di governare da solo con appoggi esterni, di fare una coalizione con Unidas Podemos (partito che ha ormai rinunciato a sostituire il PSOE alla guida della socialdemocrazia spagnola e che non è più portatore della carica d’indignazione che Iglesias & C. avevano convogliato dalle piazze nell’alveo istituzionale) oppure con la destra nazionalista (che in Europa alcuni si ostinano a definire centrodestra liberale) di Ciudadanos. Quest’ultima possibilità, benché il capo degli arancioni (colore di C’s) si sia sgolato nel corso della campagna a denigrare il Pedro Sanchez – accusato addirittura del delitto di tradimento, cioè di voler dialogare con gli indipendentisti catalani -, ed a giurare di non voler mai siglare nessun patto con lui, è quella che maggiormente aggrada ai poteri reali della Spagna post franchista, come non si è peritata di dimostrare il giorno dopo le elezioni la padrona del Banco de Santander.
La destra è calata di poco nel complesso e soprattutto grazie ad una ridotta astensione (in termini relativi, dato che in Spagna il 78% di partecipazione registrata è da considerare un grosso risultato) i due partiti che hanno aumentato i consensi (Vox e Ciudadanos, lo hanno fatto integramente a spese del PP che sta implodendo sotto il peso della corruzione e di un sistema clientelare che fa acqua da tutte le parti).
La vera batosta l’estrema destra (il trifachito, la chiamano) l’ha subita però, ancora una volta, in Catalogna e nei Paesi Baschi. In Catalogna C’s, PP e Vox raccattano 7 deputati su 48, dopo una campagna in cui avevano promesso di voler eliminare del tutto l’autogoverno catalano. Ed in Euskadi, dove hanno raccolto 0 deputati.
In questi due territori c’è stato uno spettacolare aumento della sinistra indipendentista che in Catalogna, per la prima volta a delle elezioni generali, si attesta con ERC (sinistra socialdemocratica) come prima forza, superando i socialisti, tradizionali vincitori di questa contesa e «En comú podem» che aveva vinto nelle due ultime edizioni.
L’operazione VOX ha funzionato.
Prendiamo un po’ di distanza. Nel 2007 il «miracolo economico» spagnolo si sgonfia. I soldi pompati da Bruxelles si riducono, le varie bolle speculative scoppiano e di colpo in molti si rendono conto che il re è nudo.
Veramente le prime avvisaglie c’erano già state nel 2000 con il movimento no global e prima, dalla transizione (1978) in poi, ma adesso la cosa si fa seria e la gente scende in piazza.
Nel 2011 gli indignati occupano le piazze. Sorgono le maree (in difesa delle pensioni, della salute, della scuola pubblica). Indurimento delle leggi, mano dura della polizia, convogliamento delle aspirazioni al cambiamento di tanta gente in un nuovo partito politico che da subito accetta tutte le regole del gioco (capitalista) e si candida come sostituto di un PSOE corroso da corruzione e derive autoritarie e ormai divenuto un carozzone anchilosato.
Per sicurezza settori della grande banca fanno nascere un’altra creatura di «nuova politica»: Ciudadanos, una specie di Podemos di destra, destinato a sua volta a rimpiazare un partito popolare ormai divenuto una fogna e a rischio di essere dichiarato associazione a delinquere (900 membri del partito imputati per corruzione, traffico d’influenze e un eccetera da fedina penale di Al Capone).
In Catalogna però, sventato con qualche difficoltà supplementare (a Barcellona la nuova sindaco farà sperare per qualche tempo in rivolgimenti significativi) il perciolo dell’»indignazione» si apre una nuova falla nella struttura di potere: il movimento indipendentista. Per la prima volta dalla morte di Franco milioni di persone rimettono apertamente in causa le basi dell’assetto istituzionale voluto dal Caudillo (con monarchia, tribunali speciali e intangibilità dei privilegi concessi alle oligarchie di tutta la Spagna durante la dittatura). È un assalto che continua, nonostante una repressione sproporzionata rispetto ai mezzi messi in campo dal movimento (di un pacifismo a volte irritante, sempre sorprendente).
Giocate tutte le carte (carcere, pestaggi, multe, denunce a tappeto, intossicazione mediatica, minacce e squadracce) e constatato il loro scarso effetto sulla volontà di mezza Catalogna di staccarsi da uno stato autoritario e repressivo come primo passaggio verso un qualcosa di diverso… anzi, constata che la «febbre indipendentista» stava cominciando a diffondersi altrove nello stato (con decine o centinaia di referendum autoorganizzati in università e quartieri sulla monarchia, con manifestazioni di solidarietà, con organizzazioni in rete antirepressive, con mezzi di controinformazione), restava da giocare una carta che nel resto dell’Europa aveva funzionato bene: la minaccia dell’estrema destra.
Cosicché stavolta si sono tirati fuori dalla manica del PP alcuni elementi particolarmente biechi, hanno raffazzonato un programma pieno di tutte le topiche maschiliste, ultranazionaliste, tradizionaliste da strapaese (la corrida, le processioni di settimana santa), e ovviamente xenofobe (con la particolarità, già collaudata, del nemico catalano, ottimo ingrediente da aggiungere alla ricetta del nemico interno ed esterno da cui dobbiamo difenderci). Insomma hanno creato VOX.
Che, in realtà, non è che proponga nulla che non sia già stato proposto dagli altri partiti dell’ultradestra erede del franchismo (dalla rimessa in causa del diritto all’aborto, alla negazione delle altre lingue e culture presenti nello stato, alla denuncia dei matrimoni fra omosessuali, all’indurimento delle leggi per gli stranieri ecc.), ma lo fa senza nessun complesso, ruttando e sputando per terra. Come un vero maschio iberico, insomma!
E così anche la Spagna ha il suo pericolo fascista! Già di per se la cosa fa ridere, se si pensa che il dittatore è seppellito in una specie di piramide cattolica che si fece costruire per irposarvi ab aeternum accanto all’ideologo della Falange, Jose Antonio Primo de Rivera. Se si pensa che questo paese era una repubblica e che se c’ha un borbone come capo di stato è per esclusiva volontà di Francisco. Se si pensa che il Tribunale di Ordine Pubblico del franchismo funziona a pieno ritmo, nello stesso posto (e per decenni con gli stessi giudici), solo che con un nome diverso, che la Costituzione fu il risultato di un accordo fra gerarchi del regime e quattro rappresentanti di partiti esistenti epr modo di dire e sotto l’attenta sorveglianza degli alti comandi dell’esercito, che non è stato perseguito un solo crimine delle migliaia commesse durante e dopo la guerra dalle bestie franchiste, che la classe dominante (proprio le famiglie, poche centinaia) continua ad essere il medesimo mix di aristocrazia ignorante e brutale, di palazzinari e speculatori, di banchieri arruffoni, cresciuta all’ombra del Caudillo.
Ma basta far finta che questa sia una democrazia, uno stato di diritto, tanto ci sono i media e gli impiegati statali e i politici che faranno di tutto per crederci e per farlo credere urbi et orbi e, a forza di ripeterlo, la gente ci crede. Ci credono perfino un sacco di spagnoli che, quindi reagiscono a quest’ultima manovra come reagiscono tutti gli altri europei: si spaventano e votano il male minore. Cioè «non toccare nulla che magari si rompe e allora viene il fascismo».
In parole povere: per la stabilità del già di per se instabilissimo sistema capitalista, per la gestione delle immediatamente future e prevedibilissime crisi, attualmente è più efficiente il vecchio carrozzone PSOE un po’ rattoppato e rinsanguato di denari e di sostegni internazionali ed interni, che un tripartito fascista che porterebbe probabilmente a uno strangolamento dell’unica gallina produttiva che rimane alla Spagna, la Catalogna, e provocherebbe un clima di tensione non certo consono agli interessi di chi vede ancora la possibilità di far funzionare la macchina estrattivista ai danni di popoli che è bene spaventare ma non tanto da parallizzarli o farli reagire con disperazione.
Insomma per ora il fascismo, almeno la sua versione più hard, va bene come minaccia, visto che le basse bisogne repressive sono già svolte egregiamente dalle attuali forze sicariali. E la comparsa di Vox, che a molti appare ridondante visto che da qui il fascismo come si è visto non se n’è mai andato, va letta come una imitazione da «parvenu» («cazzo, tutti c’hanno un pericolo fascista in Europa, e noi che siamo, i figli del prete?») più che un fenomeno nuovo e inquietante.
Con questo non si vuole dire che la presenza normalizzata e normale del discorso di questi squadristi non sia inquietante, solo che non c’è alcuna novità e in molti in questo paese sono perfettamente consapevoli che le strutture di potere spagnole sono pronte – con o senza Vox – a ricorrere alla più feroce barbarie per soffocare la dissidenza, come provano le migliaia di casi di tortura, gli stati di eccezione in Euskadi, la repressione brutale in Andalusia, la demonizzazione dell’avversario politico in Catalogna, l’asservimento della stampa ed il solito eccetera che suole definire un regime di stampo autoritario rispetto ad uno di democrazia formale.
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