La Merkel-austerity tra falchi e cicale (e avvoltoi)
Passano gli anni ma la crisi non sembra dar segni di rientro e la Cancelliera d’acciaio inizia a fare i conti con una realtà più testarda e contraddittoria dei conti fatti al tavolino. Se poi si mettono a sbraitare pure quelli che la dovrebbero sostenere, il varco da attraversare si fa ancora più stretto. Succede che i banchieri tedeschi, dopo essersi appropriati di tutto l’espropriabile della ricchezza comune greca e avere dettato linee di condotta molto rigide alle restanti cicale mediterranee, puntino ora i piedi e pretendano dalla loro rappresentante in Europa (sic!) di non mettere troppi limiti alla finanza (leggi: speculazione) europea (leggi: tedesca).
Il nodo della contesa è la proposta del direttore della Banca Centrale Europea Mario Draghi, intenzionato a proporre che la stessa agisca sul mercato per mantenere il livello degli spread entro limiti considerati “appropriati”, fermando la speculazione… entro una certa soglia! Cosa che non sembra piacere un granché ai banchieri germanici, ansiosi di fare nel loro “cortile di casa” (l’Europa) quello che hanno tentato di impedire ai colleghi a stelle e strisce.
Lo scontro in atto (per ora fermo alle parole) sarebbe quindi tra un’opzione interventista-dirigista di governo del Capitale (delle sue derive speculative), cui lavorano in parallelo i Draghi e le Merkel d’Europa e gli appetiti più immediati e a breve termine dei banchieri di Germania.
Assistiamo così ad una Merkel che scopre la carta “politica” del proprio agire, dichiarata esplicitamente come volontà di costruzione di una nuova (ri)unita Europa sotto il segno di un Capitale responsabile e di un Lavoro ubbidiente. E si dice a pronta a garantire tutto quello che da Sud e da oltre-Atlantico gli è stato chiesto in tutti questi mesi: eurobond (titoli comuni europei), bilancio federale, emissione di moneta, fondo Salva-Stati.
L’idea piace molto ai Merkelo-Montiani di casa nostra (il Partito di Repubblica: vedi qui) che ci ricordano come “Cuore di tutto è l’unione politica, cioè la trasformazione dell’Unione europea in un vero Stato federale”. Quello che non ci fanno intendere è la relazione (ben camuffata):
“L’esistenza di un bilancio federale come sarà quello dell’unione politica che si vuole disegnare, è condizione base per realizzare l’unione fiscale che ne è la sua manifestazione più cogente e importante. Non significa tanto mettere in comune delle tasse, se non quelle indirette come l’Iva e alcune altre, quanto fissare dei parametri di copertura statale per sanità, welfare, pensioni. Una bella rivoluzione, però come in ogni Stato decentrato, Italia compresa, i dettagli verranno affidati alle amministrazioni locali, vincolate comunque ad una disciplina di fondo“.
Il che vuol dire: decisione tedesca in alto (la «disciplina di fondo») e amministrazione della miseria e della buona applicazione della “regola” in basso (i «dettagli»). Non è certo nostro interesse stare qui a difendere ceti politici insulsi come quello italiano (che non poco hanno contribuito a svendere e fare la cresta sulla ricchezza pubblica dei loro paesi) ma la precisazione era necessaria per togliere ogni dubbio ad una battaglia che, in ogni caso, si giocherà sulle nostre teste, appunto su quella «disciplina di fondo» su cui siamo certi troveranno i dovuti accordi.
Meno male che esistono anche, come diceva qualcuno, i «cattivi alunni» di questa Europa, come in Grecia (oggi in Spagna, speriamo domani in Italia)… per rompere una disciplina destinata ad essere niente più che una gabbia.
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