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La rivoluzione in Rojava: costruire autonomia nel Medio Oriente

di Sardar Saadi 25 Luglio, 2014

I ribelli curdi stanno instaurando l’autogoverno nella Siria dilaniata dalla guerra, ricordando l’esperienza Zapatista e fornendo un’alternativa democratica per la regione.

Con l’ascesa dei gruppi jihadisti in Medio Oriente, mi sono ritrovato turbato alla domanda rispetto al come la politica dell’ “insorgenza” in questa regione fosse così sensibilmente mutata da una tendenza secolare di sinistra – abituata a sfidare l’Islam politico e le regole islamiche della vita sociale – ad una tendenza islamista estremista che trova la propria società ideale nell’epoca del Profeta Maometto di centinaia di anni fa. Non è che la sinistra non sia presente o senza alternative, ma non si può ignorare quanto sia stata emarginata.

Non molto tempo prima, c’erano molti movimenti radicali e di sinistra in tutta la regione. Da Kabul alla Palestina, gruppi studenteschi radicali, organizzazioni femministe, lotte di liberazione nazinoale ed anticoloniali, movimenti operai e contadini ed intellettuali di sinistra erano quelli nella prima linea della lotta contro i regimi autoritari, le credenze religiose regressive ed il dominio delle potenze imperialiste nella regione. Dove sono adesso? Cosa è accaduto a rendere i gruppi jihadisti gli attori in grado di cambiare la geopolitica della regione?Come mai gli orientamenti delle generazioni più giovani si sono rovesciate dalla critica dell’Islam alla promozione della sua lettura più estrema?

Sono alcune domande per tutti noi della regione che desideriamo un altro futuro per essa. Tuttavia, la risposta a queste domande ha anche radici profonde nella storia del colonialismo e dell’imperialismo nell’area. Senza dubbio, quanti in Occidente seguono con emotività la copertura dei media mainstream della brutale avanzata dello Stato Islamico (generalmente noto con il suo precedente acronimo ISIS) verso le grandi città irachene e siriane non si preoccupano di esaminare il ruolo dei loro governi nel caos attuale. Per non parlare di come i media mainstream rappresentino la popolazione della regione come fanatici divisi in gruppi etnici e religiosi settari, che non possano coesistere assieme e che non abbiano alcun rispetto dei valori umani.

 

Un secolo di oppressione e dominio

Dando un’occhiata alla storia contemporanea del Medio Oriente, si può cercare la causa principale dietro all’ascesa di questi gruppi celata nelle politiche dei poteri coloniali della regione dall’inizio del 20° secolo fino ad oggi. L’imminente centenario dell‘accordo segreto Sykes-Picot del 1916 che divise l’Impero Ottomano in stati nazione artificiali segna un secolo di dominio coloniale seguito da governi corrotti in mano ai signori del petrolio e controllati e sostenuti dalle potenze imperiali.

Questo sistema di controllo attraverso i regimi autoritari si è intensificato durante la Guerra Fredda per prevenire l’influenza dell’ex-Unione Sovietica nella regione. Di conseguenza, da quei regimi al potere è partita una crociata permanente contro la sinistra. L’imponente ondata di oppressione, arresti e massacri di attivisti ed intellettuali di sinistra attraverso la regione – specialmente durante gli anni ’70 ed ’80 – ha avuto effetti irreversibili sulle sue dinamiche sociali e sui suoi movimenti.

Le organizzazioni di sinistra sono state sciolte, e decine di migliaia di membri di partiti, sindacati e movimenti studenteschi di sinistra sono stati uccisi, nel corso degli anni ’80, nelle prigioni iraniane, turche, irachene, siriane, egiziane e di altri paesi della regione. Parecchi altri sono stati condannati ad una lunga prigionia e molti di quelli rimasti vivi e fuori prigione hanno dovuto lasciare la propria terra natale ed andare in esilio in cerca di sicurezza per sé stessi e per le proprie famiglie. E’ nel corso di questo periodo che i gruppi jihadisti sono iniziati a spuntar fuori in conseguenza dell’ampio supporto da loro ricevuto dalle potenze occidentali, quali loro bracci armati per cancellare tutte le tracce della sinistra politica nella regione.

I mujahedeen in Afghanistan sono solo uno di tanti esempi di questa pratica. Questi gruppi hanno fornito ulteriore assistenza nel ridurre al silenzio la sinistra, dopo che hanno iniziato a crescere come cellule cancerogene in ogni angolo della regione. Inoltre, nell’ultimo decennio, questi gruppi (in particolar modo dopo l’occupazione dell’Afghanistan e dell’Iraq) hanno guadagnato una presenza e uno status legittimi tra le persone come coloro che combattono “gli invasori stranieri” e “gli infedeli”.

Nonostante la loro apparente resistenza contro l’occupazione statunitense dell’Iraq e dell’Afghanistan, dalla prospettiva delle potenze occidentali essi restano tuttora la miglior scelta per controllare la regione a costi minimi. Allo stesso tempo, ciò ha trasformato la regione nel campo di sterminio in cui gli estremisti islamici possono portare la loro lotta senza creare problemi nei paesi occidentali. Molti notiziari hanno citato i combattenti islamisti stranieri tra i ranghi dell’ISIS.


Islam Neoliberale

I gruppi islamisti estremisti sono solo una componente delle politiche di promozione dell’Islam come nemico naturale della sinistra. Dall’ondata di guerre imperialiste nella regione dopo l’11 settembre 2001, è emerso un nuovo indirizzo volto a promuovere l’Islam politico “moderato” in accordo con l’economia mondiale neoliberale. Il pilastro fondamentale di quest’impostazione è il governo dell’AKP in Turchia. L’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) è stato percepito come la versione ideale di uno stato islamico moderato con politiche economiche neoliberali che possa sia riconciliare la rabbia del popolo contro l’Occidente e rispondere alle sue preoccupazioni religiose, che operare da agenti del capitale globale nella regione.

Il governo turco, dopo essere stato salutato come modello per il futuro del Medio Oriente, ha guadagnato ancora più potere e fiducia nella propria rivendicazione di un ruolo guida nella comunità islamica sunnita globale. Tuttavia, il ruolo guida della Turchia ha solamente portato ulteriore devastazione e violenza settaria tra Sciiti e Sunniti. L’incauto sostegno del governo dell’AKP, assieme ai governi dei paesi del Golfo, ai gruppi jihadisti in lotta contro il regime di Assad ha fatto sprofondare la Siria in un caos senza precedenti.

Fin dall’inizio della guerra civile in Siria il governo turco ha giocato un ruolo chiave nel peggioramento della situazione trasformando la Turchia, e le province meridionali del paese confinanti con la Siria in particolare, in un luogo di transito per gli estremisti islamisti di tutto il mondo in viaggio verso la Siria. Oltre a fornire un santuario per gli (aspiranti) jihadisti, la Turchia è stata anche accusata di fornire supporto logistico e militare ai gruppi jihadisti.

L’ISIS ed il Fronte Al-Nusra sono i due gruppi jihadisti principali che hanno beneficiato di questo sostegno. Guardando alla situazione attuale, l’unico campo in cui l’agenda islamica “moderata” ha avuto successo è stato quello della prosecuzione dell’oppressione e della marginalizzazione dell’opposizione secolare e di sinistra. La dura repressione della resistenza di Gezi l’estate scorsa, che in qualche modo ha rappresentato la frustrazione della popolazione in Turchia verso l’agenda neoliberale del proprio governo, ne è stata un grave esempio.

Ci sono pochi dubbi sul fatto che i gruppi jihadisti rappresentino una minaccia immediata alla regione. Non solo distruggono ogni traccia di civiltà; ancora più orrendo è il loro ruolo nella banalizzazione del valore della vita, nel lasciarsi dietro una scia di morte e distruzione al loro passaggio ovunque vadano. La domanda del “che fare” per fermare questo assalto non concerne più il desiderio di un futuro migliore – richiede una risposta immediata.

Tuttavia, osservati in un contesto più ampio, è ovvio che questi gruppi siano parte di un problema maggiore. Perciò, qualsiasi alternativa alla situazione attuale deve essere trasformativa per chiunque soffra per mano non solo dei gruppi jihadisti, ma anche della violenza e dell’oppressione dei regimi autoritari e del dominio imperialista nella regione.

L’alternativa? Sovranità autonoma curda in Siria

I curdi sono noti per essere la più ampia nazione al mondo priva del proprio stato. La storia dei curdi viene spesso associata ad innumerevoli rivolte davanti all’oppressione sistematica degli stati nazione che controllavano le loro terre. Dalla creazione degli stati nazione dopo il collasso dell’Impero Ottomano per mano dei colonialisti britannici e francesi, il Curdistan è stato diviso tra quattro paesi: Iran, Iraq, Siria e Turchia. I curdi sono stati le prime vittime degli accordi coloniali.

L’accordo segreto Sykes-Picot nel 1916 ha ignorato il diritto di sovranità dei curdi sulla propria terra. Ciò ha portato a molti decenni di massacri, oppressione ed assimilazione. La lingua curda è stata bandita, i loro diritti negati, e sono stati sfollati dalle proprie terre ancestrali. I confini artificiali concordati sia nell’accordo Sykes-Picot che nel Trattato di Losanna del 1923 che stabiliva i confini della Turchia continuano a tormentare la popolazione curda che vi vive attorno.

Le persone bisognose di cibo e medicinali nella regione curda della Siria non possono ottenere nessun aiuto dalle loro famiglie che vivono dall’altra parte del confine. Mentre la maggior parte delle armi e dell’equipaggiamento militare sono stati forniti ai ribelli siriani attraverso la Turchia, il confine tra le due regioni curde è stato chiuso, e sono stati costruiti molti nuovi presidi militari.

Come summenzionato, la Siria sta attualmente assistendo alla manifestazione più terrificante di queste storiche politiche di divide et impera nel Medio Oriente. La situazione sociopolitica in Siria non lascia spazio all’immaginazione. Dunque il cercare un’alternativa e rafforzare il proprio fronte è cruciale per la sinistra. Con in mente la convinzione che nei posti pià inconsueti possano emergere le alternative più realistiche, la regione di Rojava in Siria (Rojava sta per “Occidente”, come nella locuzione “Curdistan Occidentale” — un termine utilizzato in riferimento alla regione curda della Siria) può proporre un’alternativa per il futuro dell’area.

I curdi in Siria hanno mostrato la propria abilità e volontà di essere una voce alternativa nel mezzo del tumulto della regione. Da quando il conflitto siriano si è intensificato e si è trasformato in guerra civile, il movimento curdo in Siria guidato dal PYD (Partito di Unione Democratica) ha preso il controllo della maggioranza della regione curda in questo paese. Nel novembre 2013, il PYD ha annunciato di avere ultimato tutte le preparazioni per dichiarare l’autonomia, ed è stata proposta una costituzione chiamata Carta del Contratto Sociale.

La rivoluzione popolare in Rojava ha prodotto la costruzione di una regione autonoma, divisa in tre cantoni autonomi – ciascuno con il proprio autogoverno democratico e autonomo. Il Cantone di Cizire (Al-Jazeera) ha dichiarato l’autonomia il 21 gennaio, seguito dal Cantone di Kobane il 27 gennaio, e dal Cantone di Efrin il 29 gennaio.

Il PYD insiste nel formare un’alternativa per tutti e non perseguire le rivendicazioni e gli interessi specifici di un qualsiasi gruppo etnico. Nel contempo, hanno rifiutato di prendere parte alla guerra civile in Siria, dichiarando che avrebbero utilizzato le proprie forze militari solamente per difendersi da qualsiasi assalto provenisse indistintamente dal regime di Assad o dai gruppi di opposizione sostenuti dalla NATO – inclusi i gruppi jihadisti come l’ISIS ed il Fronte Al-Nusra. Eppure, questi tre cantoni hanno subito innumerevoli attacchi da parte dell’ISIS.

Ad oggi, l’ISIS ha concentrato i propri attacchi sul cantone di Kobane in cui le forze di autodifesa curde dell’YPG (le Unità di Difesa del Popolo) stanno tenendo a bada i determinati militanti radicali dell’ISIS, in uno storico atto di resistenza.


Similitudini intercontinentali

La Rojava sta divenendo il Chiapas del Medio Oriente? E’ questa la domanda che pongo ogniqualvolta ascolto ulteriori storie provenienti da questa piccola regione, a proposito dell’unico barlume di speranza in mezzo a questo caos. Seppur difficilmente, accademicamente parlando, i curdi possano essere considerati un “gruppo indigeno”, il loro status e la loro situazione politica nel Medio Oriente possono essere paragonati a quelle di alcune popolazioni indigene in America Latina.

Nonostante alcune differenze politiche tra l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) in Chiapas ed il movimento curdo guidato dal PYD in Siria, ci sono molte similitudini tra i due in termini di loro posizioni sia negli affari regionali che internazionali. Il perseguimento della creazione di un governo autonomo, l’ascesa delle assemblee popolari, l’enfasi sull’eguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne in ogni aspetto della vita politica e sociale, l’ideologia anti-imperialista ed anti-autoritaria, l’enfasi sulla salvaguardia dell’ambiente ed il rispetto per tutte le creature viventi, l’autodifesa e molti altri aspetti indicano come la rivoluzione di Rojava ricordi la resistenza degli zapatisti nel Sud del Messico.

La Carta del Contratto Sociale, come fondamento dei cantoni autonomi di Rojava è una svolta storica nella regione in termini di principi democratici che guidino la vita sociale e politica. La Carta, che sta venendo attualmente implementata in tutti e tre i cantoni autonomi, nasce come accordo democratico – inclusivo di tutte le parti coinvolte nel governo di Rojava. Senza esagerazioni, è la costituzione più democratica che la popolazione di questa regione abbia mai avuto.

Il primo paragrafo del preambolo della Carta afferma:

“Noi, popoli delle zone democratiche di auto-amministrazione; curdi, arabi, assiri (assiri caldei, aramei), turcomanni, armeni e ceceni, per nostra libera volontà, annunciamo la presente per assicurare giustizia, libertà, democrazia ed i diritti delle donne e dei bambini in accordo con i principi dell’equilibrio ecologico, della libertà di religione e credo e dell’eguaglianza senza discriminazione sulle basi della razza, della religione, del credo, della dottrina o del genere, per conseguire il tessuto politico e morale di una società democratica al fine di operare nella mutua comprensione e coesistenza nella diversità e nel rispetto per il principio di autodeterminazione ed autodifesa dei popoli.”

E continua,

“Le aree autonome dell’autogoverno democratico non riconoscono il concetto di stato nazione e lo stato basato sul potere militare, la religione ed il centralismo” (traduzione dell’autore).

Il Movimento della Società Democratica, o TEV-Dem come è noto in curdo, è il responsabile per l’implementazione di questi principi nella vita quotidiana. Senza dubbio una società ideale è ancora da conseguire, ed il movimento ammette che è tuttora impegnato nel processo di costruzione. Tenendo in mente che la regione di Rojava è stata sottoposta ad uno spietato isolamento da tutte le parti, tra cui le più importanti sono i governi siriani e turchi, i gruppi ribelli siriani ed il filo-occidentale governo regionale curdo in Iraq. I media occidentali, inclusi quelli indipendenti ed alternativi, hanno in larga parte ignorato la loro resistenza, od hanno altrimenti mancato di prestarvi attenzione. I curdi non hanno ricevuto la solidarità ed il sostegno che meritano.

Ertugrul Korkcu, un parlamentare turco del partito della sinistra filo-curda HDP (Partito Democratico del Popolo), ha affermato di recente che i curdi stiano giocando il ruolo dei russi in Europa nel dopoguerra del primo conflitto mondiale. Politicamente parlando, i curdi non sono un gruppo omogeneo, ma c’è della verità nell’affermazione di Kurkcu, dato che la situazione in Medio Oriente rievoca l’immagine dell’Europa nel primo ventesimo secolo. Più precisamente, i gruppi jihadisti sono diventati strumenti nelle mani delle potenze coloniali e dei regimi autoritari per stabilire e rinforzare la propria egemonia nella regione.

La Rojava può essere un’alternativa, dato che esibisce una potenziale forma di autogoverno che lancia una sfida esistenziale ai rituali oppressivi entro le comunità religiose e propone una traccia di lavoro di coesistenza con tutte le culture e le credenze della zona, senza violare i diritti di nessuna. L’esperienza di autonomia di Rojava può essere un modello per un confederalismo democratico nel Medio Oriente, in cui ogni comunità abbia il diritto all’autodeterminazione ed all’autogoverno. Inoltre, rappresenta un esperimento assai progressista, dato che le donne sono il principale motore del cambiamento. Hevi Ibrahim, a capo del cantone autonomo di Efrin, ne è solo un luminoso esempio.

L’alternativa di Rojava non è né immaginaria né utopica. Questa alternativa ha già provato la propria fattibilità attraverso soluzioni pratiche e la quotidiana realizzazione delle idee presentate nella Carta del Contratto Sociale. Di fatto, Rojava si propone come l’alternativa democratica più realistica nel più inconsueto dei luoghi. Esprimere solidarietà con la rivoluzione di Rojava è un compito urgente per chiunque abbia a cuore il futuro del Medio Oriente.

Kurde Azad Sinora Nasnake – I curdi liberi non riconoscono i confini”

Sardar Saadi è un attivista di base a Toronto e dottorando di ricerca in antropologia all’Università di Toronto.

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