La traiettoria di Syriza
Pubblichiamo alcune considerazioni sulle elezioni greche di un compagno che ha vissuto ad Atene tra il 2014 e il 2015 durante l’ascesa del fenomeno Syriza.
Il 7 luglio 2019 Syriza, la Coalizione della Sinistra Radicale Greca, ha perso le elezioni, ottenendo il 31% dei voti. Si chiude una fase importante nella storia del paese. Tanto per cominciare, finisce l’era Tsipras. La palla passa allo storico partito della destra, Nuova Democrazia, guidata dal buffone noto ai più come Mitsotakis. Prima di cominciare (e finire il più in fretta possibile) con i dati che possono trovarsi facilmente su ogni testata giornalistica, va innanzitutto sottolineato il dato, sempre difficile da reperire, dell’astensione: 44%, una cifra che per quanto elevata non segna un reale mutamento rispetto alle elezioni che portarono al precedente governo . I risultati finali, con il 98% dei voti contati, sono: Nea Dimokratia al 39,8, Syriza al 31,5, Kinal, ovvero l’ennesima testa dell’immortale idra nota come Pasok, all’8,1. Segue il Partito Comunista Greco, ovvero i Marxisti Leninisti (ad essere gentili) del KKE, fissi, come da vent’anni buoni, al 5,3%. Penultima la neonata formazione neonazista di Scelta Greca (Elliniki Lysis) al 3,7, e infine Mera25, il partito nato dall’iniziativa di Varoufakis, al 3,45. Rimangono fuori gli squadristi di Alba Dorata con il 2,94. Fine dell’analisi dei dati. Perché questi dati non stupiscono proprio nessuno. Il 7 Luglio 2019 sono quattro anni ed un giorno dal 6 Luglio del 2015, il giorno in cui venne celebrato ufficialmente il trionfo dell’όχι, del No, scelto dal 61% dei votanti al referendum voluto da Tsipras. Tra questo 6 e questo 7 sono passati 4 anni. Quattro anni di merda, non solo per il movimento.
Tanto per cominciare, 4 anni in cui troppi compagni hanno scelto di emigrare, con alterne sfortune. Il reflusso al tempo dei programmi Erasmus. Volevo scrivere qualcosa di breve e conciso rispetto all’esito di queste ultime elezioni. Scelgo di dire qualcosa di diverso. Scelgo invece di provare a dire in poche parole perché la sconfitta di Syriza fosse storia da molto prima di questo 7 luglio. Comincerò con quanto accaduto pochi giorni dopo il 6 luglio, quando Tsipras ha accettato al ribasso le condizioni contro cui si era appena votato. Lì si è consumata la definitiva rottura nel movimento e la morte del movimento di massa contro l’austerità, immediatamente dopo la più ampia convergenza politica e mobilitazione degli anni precedenti. È storia nota: durante la primavera del 2015 Syriza prova a mettere in pratica la propria strategia, rinegoziando le misure di austerità con l’Europa e rinegoziare con i creditori il debito greco, considerato da molti economisti semplicemente impossibile da sostenere per un’economia già depressa. Mentre le banche chiudono le serrande, le file di persone si incolonnano davanti ai distributori automatici e la liquidità del sistema finanziario greco è agli sgoccioli. É in questo contesto che avviene l’ultima straordinaria mobilitazione, in supporto al No al referendum convocato da Tsipras sul pacchetto di riforme proposte durante l’ultima convocazione dell’Eurogruppo. La risposta popolare è enorme ed inaspettata. Centinaia di migliaia, forse un milione, forse di più, scendono in piazza la notte precedente al voto, confluendo in una piazza Syntagma straripante dove è stato allestito il palco dove dovrà parlare Tsipras. Nei giorni precedenti tutte le organizzazioni del movimento contro l’austerità, dalle strutture di solidarietà e mutualismo ai collettivi anarchici, hanno mobilitato a fondo le proprie risorse in uno sforzo propagandistico massiccio. Nemmeno una settimana dopo la grande vittoria, l’uomo della provvidenza, lo stesso Tsipras che veniva accolto dalla piazza da un boato di centinaia di migliaia di voci e braccia alzate, si arrende, ed accetta le misure imposte pur di non portare il sistema finanziario al collasso definitivo. Giorni, in quel luglio di 4 anni fa, in cui a migliaia ancora si mobilitano in nuove manifestazioni senza più una prospettiva comune, e spesso senza una prospettiva e basta. Per molti è un trauma impossibile da processare. Piazza Syntagma si riempie di persone, venute lì a manifestare, senza però sapere bene per cosa, contro chi, come.. C’è in piazza anche la giovanile di Syriza con un proprio striscione contro l’accordo appena siglato da Syriza, mentre a qualche metro qualcuno brucia una bandiera del partito.
Durante l’estate la mobilitazione scema e la divisione si approfondisce, vedendo la scissione di Syriza e la formazione di Laiki Enotita (Unità Popolare), incapace però di accogliere tutti i fuoriusciti del partito. La coalizione di governo perde quindi la maggioranza, e vengono annunciate nuove elezioni per il 20 settembre. La figura pubblica di Tsipras viene ammantata ora di una nuova aura: quella dell’uomo responsabile, deciso a fare la cosa giusta e pronto a scontrarsi con tutti pur di fare ciò di cui il paese ha bisogno. Una prima prova saranno le elezioni, che vedranno Syriza vincere nuovamente con una percentuale del 35%, consentendole di andare di nuovo al governo in coalizione con i Greci Indipendenti, confinando Laiki Enotita al 2,86%, incapace di superare lo sbarramento al 3%. Ancora una volta è il dato dell’astensione il più pesante, con l’affluenza al 56%, contro il 64% delle elezioni del 25 gennaio, che l’avevano portata al governo. Syriza vince, e assume l’incarico di portare avanti tutte le riforme volute dall’odiata Troika, ovvero una nuova e lunga serie di misure di austerità. Syriza vince, e passa dalla pace armata con la maggior parte delle forze movimentiste e rivoluzionarie all’aperta conflittualità. Syriza vince, ma i suoi legami con la propria base sociale, in pochi mesi, sono quasi scomparsi. La già ristretta base militante del partito si dimezza, la giovanile del partito praticamente scompare: a buttare la tessera sono soprattutto i molti attivisti e solidali attivi nei diversi quartieri delle grandi città, e persino nelle zone rurali, nelle centinaia di esperienze di mutualismo. A loro volta molte di queste reti di attivisti e solidali presto pagano il prezzo del proprio legame con Syriza, e, prive di una prospettiva almeno vagamente rivoluzionaria, collassano, si sfaldano o nella migliore delle ipotesi, ed in una minoranza di casi, trovano una nuova collocazione politica. Syriza vince, e si trascina dietro, nella propria rovinosa caduta, le speranze e la forza del movimento contro l’austerità.
Syriza vince, e per molti rimane il nemico che era sempre stato. Syriza vince, ma ha già perso. Ma avrebbe mai potuto vincere? No. Syriza aveva perso molto prima del 7, ed anche prima del 6 luglio. Ammesso che, dato un determinato contesto, la forma di partito movimentista, di organizzazione funzionale alla rappresentanza delle istanze del movimento stesso, di coordinamento tra le diverse lotte e tra le diverse esperienze di autogestione e diverse realtà della società civile, di strumento al servizio di un movimento reale, sia valida, essa non può accordarsi con la scelta di governare. Non nei parlamenti svuotati di senso del mondo globalizzato, non nell’era della completa interdipendenza economica. Per inciso, nel valutare le strategie di opposizione nell’era della globalizzazione, non andrebbe nemmeno dimenticata la triste e breve parabola della scissione anti-europea e sovranista di Syriza, Unità Popolare, nonostante l’adesione di una percentuale notevole di ex quadri e militanti di base al progetto. La sconfitta di Syriza, e del movimento, mostra molto chiaramente quale sia l’agibilità politica nei parlamenti nazionali e nelle istituzioni europee, e quali siano i limiti strutturali che tali istituzioni pongono alla trasformazione dello stato di cose presenti. Allo stesso tempo, essa mostra limpidamente come questi limiti d’azione si ripercuotano poi inevitabilmente anche sui movimenti che si lasciano egemonizzare da tali prospettive. Investendo un governo costretto ad implementare politiche opposte a quelle contenute nel proprio programma, il movimento di opposizione alle politiche di austerità ha eletto il proprio boia.
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