Le scuse della République e l’attualità del colonialismo
Il 13 settembre 2018 il Presidente francese Macron si è presentato presso la casa di Josette Audin, vedova di Maurice Audin, cittadino francese scomparso ad Algeri mentre era in stato di arresto da parte dei parà nel 1957. Le ragioni della visita hanno a che fare con le intime e mai sanate ferite interne alla coscienza collettiva della République e informano un evento di portata storica: per la prima volta un Presidente della Repubblica ammette le violenze, le torture e le esecuzioni sommarie perpetrate dall’esercito francese nel contesto del contrasto alla guerra partigiana per l’indipendenza dell’Algeria.
La storia di Maurice Audin rappresenta uno dei più grandi coni d’ombra all’interno della cronaca di guerra. Il giovane matematico e militante del Partito Comunista Algerino venne prelevato la sera dell’11 giugno con l’accusa di essere un fiancheggiatore della Resistenza e dichiarato evaso pochi giorni dopo l’arresto. La versione ufficiale parlerà di un salto di Audin dalla jeep militare che lo stava trasportando durante un trasferimento fra caserme: disparu.
Questa resterà la versione ufficiale comunemente accettata dai vari governi susseguitisi fino ad oggi: fino alle scuse ufficiali presentate da Emmanuel Macron.
Quali scuse e quale memoria?
Nessun Presidente francese aveva mai osato tanto. Le gravissime responsabilità in capo all’esercito di occupazione nell’ambito delle azioni di contrasto alle guerre di indipendenza combattute dalla Francia sono risapute e documentate, ma il riconoscimento di ciò viene da sempre considerato tabù.
Le atrocità e i crimini commessi durante la guerra d’Algeria rappresentano un terreno di contesa estremamente aspro. Da un lato, la scure delle innumerevoli amnistie presidenziali approvate fra il 1962 e il 1982 hanno messo arbitrariamente a tacere, dal punto di vista giuridico, le istanze di coloro che non hanno mai smesso di battersi per la verità intorno al fenomeno dei disparu e della tortura, dall’altro la censura è stata applicata senza esclusione di colpi, nel tentativo di soffocare il dibattito culturale e politico intorno alla questione.
I macellai dei reparti scelti dell’esercito e gli stragisti dell’Organisation Armée Secrète hanno beneficiato della riabilitazione e del non luogo a procedere nei loro confronti già a partire dal primissimo dopoguerra, mentre i golpisti di estrema destra a capo del celebre putsch dei generali hanno dovuto attendere qualche anno in più, fino al 1982, con il benestare del socialista François Mitterand, sotto l’egida del suo: «Il appartient à la Nation de perdonner».
Un perdono bipartisan, insomma, coadiuvato da una battaglia culturale bipartisan, che in nome della coesione nazionale non ha avuto alcuna esitazione nel servirsi della censura. Basti pensare all’esempio del celebre “La battaglia di Algeri” (1966) proibito nelle sale francesi fino al 2004, e a provvedimenti clamorosi come la Legge 158, del febbraio 2005, che cerca di inserire nei programmi scolastici il concetto di “ruolo positivo” della presenza coloniale francese, specialmente in Africa del Nord.
In tale contesto, le scuse di Macron non rappresentano che una piccola goccia nell’oceano di menzogne perpetrate nel corso degli anni. Non certo sanabili con una simbolica, per quanto storica, visita di cortesia.
En marche! Fra crisi di consensi e redwashing
Lo spazio coloniale ha, d’altronde, sempre rappresentato, in particolar modo nella storia francese, il negativo degli avvenimenti politici in atto in patria; la cartina di tornasole tramite la quale leggere le dinamiche politiche francesi nella loro complessità. Lo spazio postcoloniale non si distanzia eccessivamente da ciò e informa tuttora le istanze più spinose interne al dibattito pubblico d’oltralpe.
Non dev’essere un caso che la decisione di Macron, e del suo eccentrico deputato all’Assemblea Nazionale Cédric Villani (LREM), arrivi proprio durante la crisi di consensi più profonda che la nuova stella del panorama politico francese si trova ad affrontare dal momento della sua, plebiscitaria, elezione nel maggio 2017. La sequela di privatizzazioni selvagge, la deregolamentazione del mondo del lavoro e le altre riforme di carattere marcatamente neoliberale proposte dal governo avevano già minato alla base l’iniziale entusiasmo degli elettori. Lo scoppio, a luglio, dello scandalo Benalla, guardia del corpo del Presidente, fotografata mentre infierisce sui manifestanti della piazza del primo maggio parigino indossando una divisa da poliziotto senza alcun titolo, ha costituito il colpo di grazia alla sua popolarità.
Attaccato da sinistra per la continuità con le riforme neoliberali del poco compianto Parti Socialiste e dai falchi della feroce destra lepenista per le cosiddette tendenze “mondialiste” e, sulla carta, pro-migranti, Macron si trova bersagliato dal fuoco incrociato dei suoi detrattori. La scelta di prendere una delle più importanti decisioni riguardanti la storia recente della Francia e di porgere le proprie scuse alla vedova Audin potrebbe costituire una exit strategy per uscire dal pantano in cui il Presidente è ormai immerso fino al collo.
Un vero e proprio redwashing dal largo valore simbolico, mentre nella sostanza le politiche del governo proseguono in una direzione pienamente neoliberale. L’occupazione dello spazio vuoto lasciato aperto dal collasso del PS deve sembrare agli occhi del Presidente come l’unica soluzione al rischio di estinzione che si profila con l’avvento delle Elezioni Europee della prossima primavera, test elettorale in cui il sorpasso del Rassemblement National (ex Front National) inizia ad apparire plausibile.
Il tentativo di porre in essere una nuova polarizzazione dell’elettorato francese fra il polo progressista di governo e i sovranisti del RN pare essere la nuova prospettiva immaginata da Macron per conservare il potere; una strategia che in Italia conosciamo bene, non troppo dissimile, anche se estremamente più seria, rispetto alle pagliacciate del nostrano Partito Democratico, fulminato all’improvviso da una nuova verve antifascista, strumentale solo agli odiosi calcoli della politica di palazzo.
Non a caso è la stessa Marine Le Pen a lanciare l’accusa al Presidente di voler «giocare sulle divisioni dei francesi» e di compiere un «atto di divisione politica»: un’accusa forte che rischia di essere confermata dalla mancanza di sostanza di una decisione che tuttora appare intrisa di forte opportunismo.
Verità storica e responsabilità individuali: la partita aperta
Il gioco, finora del tutto simbolico, di Macron è destinato a perdere. Un sorriso e due baci sulle guance della vedova di un uomo torturato e barbaramente ucciso durante una delle pagine più vergognose della storia francese non cancellano la fame di verità della famiglia Audin.
Pierre Audin, figlio di Maurice, ha dichiarato, negli ultimi giorni, che il riconoscimento della tortura come mezzo sistemico di guerra volto a terrorizzare la popolazione da parte dell’esercito coloniale francese rappresenta un passaggio di estrema importanza, ma che la storia non finisce qui: è ora necessario appurare le responsabilità dei singoli membri del 1° Reggimento Paracadutisti durante la guerra di Algeria e desecretare gli archivi pubblici e privati nella loro interezza, in modo da riportare alla luce verità troppo a lungo celate.
La Quinta Repubblica è stata fondata sul rimosso e sulle bugie relative alle brutalità commesse in giro per il mondo in nome della civiltà e del progresso e ha tuttora il terrore di scoperchiare un vaso di Pandora entro il quale si sono, finora, celate le sue responsabilità più gravi, in nome della solidarietà nazionale.
Se la verità storica ha iniziato ad affiorare, è ora necessario riconoscere le responsabilità dei singoli, macchiatisi dei crimini peggiori: senza questo presupposto di base, ogni ammissione di colpa, seppur lodevole, non può che risultare impregnata della più profonda ipocrisia. Chissà che non emergano nomi eccellenti come quello di Jean-Marie Le Pen, padre di Marine, visto a passeggiare nei corridoi della lugubre Villa Susini, il centro di tortura dell’esercito occupante ad Algeri, e altri nomi e cognomi eccellenti tuttora considerati eroi di guerra.
«Se sarà ragionevole, suo marito rientrerà a casa entro un’ora», furono le parole che il capitano Devis rivolse a Josette Audin al momento dell’arresto. Sono passati 61 anni e la verità è ancora lontana, mentre popoli che tuttora piangono il lutto e l’umiliazione dei propri cari attendono giustizia.
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