M5S: territorializzazione reale o virtuale?
Ma se la strategia mediatica tanto ha fatto sul consolidamento del governo e del Partito Democratico, lo stesso non si può dire dell’altra grande missione di cui Renzi si era fatto portatore: quella di “rottamare” la casta al posto dell’altro grande comunicatore Grillo, relegando il suo movimento a meteora nel cielo della politica italiana, nata sugli errori del sistema dei partiti e del malaffare berlusconiano, ma che si sarebbe necessariamente estinta di fronte ad un progetto di rinnovamento incarnato da un leader giovane, energico e progressista. Così non è stato, i dati elettorali ci parlano di un’affermazione del M5S, che in molte regioni è il secondo, se non il primo, partito. Una tenuta che, se letta insieme all’aumento inesorabile dell’astensionismo, rileva in controluce che il movimento di Grillo e Casaleggio sta trovando una sua dimensione di radicamento.
Il Movimento 5 stelle fino ad ora si presentava come partito di protesta e la sua strategia imperniata sulla figura di Grillo mobilitava intorno ai grandi temi della democrazia, della trasparenza, della lotta alla corruzione, dell’ecologia, dei diritti di cittadinanza, della regolamentazione del mercato. Insomma una battaglia da una prospettiva interclassista sui valori messi in discussione dall’avanzata dell’egemonia culturale neoliberista che, puntando su questi grandi temi, era adeguata a competizioni elettorali di orientamento generale del paese, come le elezioni politiche. Una dimostrazione di questa difficoltà a scendere dal mondo delle idee è stata proprio il fallimento dell’esperienza parmigiana di amministrazione locale infrantasi sulle contraddizioni del modello di sviluppo sul territorio (vedi vicenda dell’inceneritore), un campanello d’allarme in questa strategia invece era stata la battuta d’arresto alle europee, dove i temi erano pienamente inseriti nella verve del comico genovese.
Rispetto alla virtualità comunicativa di Grillo sembra però prendere piede anche l’altro lato costitutivo del M5S, e cioè la sua capacità di mobilitare una base sociale diffusa sui territori che “fa” il partito. Questa attivazione di “cittadinanza attiva” ha in qualche modo, dentro anche alle grandi tensioni in seno al movimento sul ruolo e le caratteristiche della leadership di Grillo, trainato l’affermazione elettorale pentastellata in una tornata, quella regionale, che ruota intorno a temi e questioni di carattere locale. Sia che Grillo abbia subito questa dinamica, sia che l’abbia favorita come tattica anti-Renzi, sia che sia stata un misto di tutte e due le cose, ha funzionato.
Tuttavia sebbene questa presenza territoriale sia palpabile nel dato elettorale e nelle biografie degli eletti, tutti provenienti da reti sociali legate al territorio, non si tratta di una presenza fisica, che “fa” territorio e crea nuova istituzionalità, neanche nel classico senso dei corpi intermedi. È come se quella ricomposizione di senso e indicazione politica che Grillo riusciva a operare sul piano nazionale intorno ai grandi temi, adesso, dentro una (naturale?) evoluzione del movimento cominci ad operare e a trasferirsi anche a livello locale, dai social network alle assemblee di condominio. Senza trascurare la tenuta del gruppo parlamentare pentastellato che sicuramente, una volta legittimato e inserito nel dibattito politico mainstream, sta influendo sulla credibilità del partito, ci sembra che il dato sollevato meriti di essere attenzionato più a fondo.
L’M5S trae origine da una temperie sociale che, nei primi anni della crisi, ha animato il movimento dell’Onda e le proteste del mondo della formazione contro la riforma Gelmini che in qualche modo avevano mobilitato masse di precari e giovani scolarizzati che, dentro la crisi delle promesse dell’economia della conoscenza, vedevano nel berlusconismo, eletto a sistema-paese su cui tutte le forze politiche si misuravano, l’ostacolo al pieno sviluppo del benessere che le tecnologie della new economy sembravano presagire, e dall’incapacità del centrosinistra di invertire la rotta. I richiami insistenti, diffusi a livello di massa in quel movimento, alla meritocrazia, al rifiuto della politica come competizione tra organizzazioni politiche, al principio della legalità come dogma di comportamento, alla difesa del pubblico come spazio da decolonizzare dalle influenze dei partiti, hanno costruito una proiezione egemonica su cui Grillo ha saldato una parte, allora meno consistente, di piccoli imprenditori in crisi, ceto medio impoverito e piccola borghesia inquietudinaria.
Nonostante ciò non è stato sicuramente il Movimento 5 stelle a “territorializzarsi” come lascito di quel ciclo di lotte. Non ci sono collettivi studenteschi legati al M5S, né comitati di insegnanti, né esperienze culturali autogestite, né reti di studenti medi, né studentati occupati, né una presenza organizzata dentro le università, che invece hanno fatto tutte riferimento a quello che in Italia categorizziamo e nominiamo come “movimento”, nell’analisi del quale, tra insufficienze (molte) e spunti (pochi ma buoni) non ci vogliamo in questo momento addentrare. Questo significa che la saldatura di quelle istanze di cui sopra, che nella concretezza della lotta sono state curvate sugli obiettivi del fattore “movimento” in un’altalenante prospettiva di classe, hanno trovato espressione nel voto di protesta a Grillo alle ultime elezioni politiche, palesandosi all’interno dello stesso flusso comunicativo agito dal comico genovese che “informava” l’opinione pubblica, all’interno del quale avveniva il riconoscimento delle istanze politiche sollevate.
Ora, la differenza tra il grillismo e le esperienze politiche di Podemos in Spagna e di Syriza in Grecia sta proprio nell’assenza nel caso italiano di una dimensione di lotta e iniziativa dispiegata sul territorio che fa del M5S certamente un prodotto della crisi del neoliberismo, ma totalmente interno alle logiche della democrazia rappresentativa, come in Italia si presenta dopo la lunga stagione berlusconiana, nella sua essenza di politica come notizia, come messaggio tutto interno al flusso comunicativo e dei suoi supporti. Certo, la presenza di grillini all’interno dei (pochi) movimenti presenti in Italia, soprattutto legati alle lotte territoriali, è di una certa consistenza, ma di certo non struttura comitati, né anima esperienze di radicamento territoriale che assumono rilevanza centrale per questi percorsi di lotta. Addirittura, nei casi più avanzati, il voto ai cinquestelle porta nell’urna le tattiche di sabotaggio della macchina istituzionale espresse dalle lotte territoriali, senza assumere nessuna centralità strategica e invertire la direzione della decisionalità che si muove sempre in senso basso-alto. Quando non si danno queste possibilità, i soggetti protagonisti di queste lotte, sempre che non siano malconsigliati, tendono ad allargare le file dell’astensionismo, preferendo un’azione politica diretta e concreta.
Possiamo ipotizzare che quello cui ci troviamo di fronte sia un consolidamento delle reti territoriali del M5S che si muove sui binari di una “provincializzazione” del grillismo. I grandi temi sollevati dal comico genovese e dallo spaesamento culturale generato dalla crisi del neoliberismo trovano interpreti sui territori che applicano alle questioni locali i metodi di partecipazione e organizzazione tipici del movimento. Un rinnovamento della classe dirigente che non procede dall’esterno dell’arena politica, come vorrebbero i proclami pentastellati, ma struttura al suo interno una nuova leva di amministratori e attivisti politici. Questa iniziativa sui territori è giocata dentro l’esistente sia esso istituzionale o legato allo stato sociale. Nessuna nuova istituzionalità, nessuna esplosione di centri sociali, o assemblee di piazza o di comitati di cittadini, ma una nuova sfumatura interpretativa del funzionamento della macchina dello stato. La vera competizione è proprio col PD, al quale, una volta che il tempo avrà inserito nei meccanismi del potere locale sempre più esponenti grillini, contenderanno circoli anziani, polisportive, dirigenze di enti locali, comunità montane.
Ma se siamo consapevoli del ruolo sempre minore che queste istituzioni di prossimità al cittadino stanno assumendo nella crisi complessiva dello stato, vediamo come l’incapacità del M5S di costruire una territorializzazione reale che prescinda dagli strumenti attualmente messi a disposizione da quella stessa “casta” che vorrebbe abbattere, costituisca una variante del modello di politica berlusconiana in cui la virtualità, sia essa verticale od orizzontale, struttura il consenso. La crisi di questi istituti, in corso da anni, ha già portato a forme di “esodo semantico” tipiche del berlusconismo in cui il senso della politica si recupera nei dibattiti televisivi, nella presenza mediatica, reinterpretata da Grillo nei grandi raduni e a livello locale e nazionale nell’impersonalità della rete, o al massimo nelle raccolte firme.
Una territorializzazione virtuale, quindi, che non argina il restringimento della politica che, acquistando senso solo in rapporto allo stato, perde terreno con esso abbandonando pezzi di società sempre maggiori nel limbo dell’irrapresentabilità e perimetrerà sempre di più, tramite la linea di classe, il bacino elettorale grillino. È chiaro che all’interno di futuri movimenti di opposizione al governo Renzi, come potrebbe essere quello contro l’ennesima riforma di scuola e università, i grillini potrebbero sperimentare forme di iniziativa e organizzazione. Staremo a vedere se si darà la costruzione di nodi locali, ricalcando il modello associazionistico-sindacale classico oppure in forme nuove, o se di fronte ad un mondo dei media con i riflettori puntati sarà Grillo a provare a ricomporre verso un voto anticipato queste istanze intorno alla sua figura di leader, per poi incoronare il candidato presidente del M5S. Vedremo se questo colpirà le reti territoriali del PD e della sinistra tradizionale, oppure se sconfinerà nel mondo reale, dove si agitano gli effetti della crisi.
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