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Nel tempo del riscatto possibile – appunti da Bologna

. una pratica con-ricercante necessita dell’individuazione di luoghi, tempi e soggetti. L’università e la sua composizione rimane una invariante decisiva per l’ipotesi antagonista, il radicamento soggettivo in essa è un elemento strategico che non si determina nelle “coalizioni tra collettivi” ma nella costruzione di lotte al suo interno;

. talvolta l’elemento della tendenza e della sua anticipazione genera mostri. C’è infatti il rischio di vagare come rabdomanti nel deserto alla ricerca di un conflitto possibile, mentre è oggi cruciale la costruzione di processualità sociale e di modelli di militanza  in grado di definire le condizioni affinché il conflitto possa esprimersi. Nella difficoltà di compilare configurazioni del presente e quindi anche di individuare le linee della frattura possibile, non possiamo collocare quello spazio, quell’ipotesi troppo fuori da noi. Tutto ciò che vogliamo e non abbiamo, che non conosciamo e vorremmo conoscere, che spasmodicamente desideriamo – e questi giorni bolognesi se non ne sono la conferma, per lo meno un punto a favore sì – è sotto la punta del nostro naso. Nel proliferare, nella miriade di casi possibili, l’intelligenza critica  – intesa come capacità soggettiva di convogliare e scagliare forze – si esercita nella selezione, nell’individuazione, nella scommessa sul particolare potenzialmente insorgente, non nell’invenzione del generale.

. spesso si assiste, in una fase arida come l’attuale, a una smania di nuovismo  da parte di tanti compagni e compagne, spesso condita da tristi lamentele sulla necessità di ricominciare da capo e sull’inadeguatezza dei nostri strumenti. Il che è anche vero, ma le risposte probabilmente non arrivano presentando dal nulla nuove tesi o sfornando a ripetizione etichette cool  per descrivere le mutazioni dei soggetti, quanto pazientemente costruendo giorno dopo giorno e sapendoosare  al momento giusto. Il rischio di scambiare la tendenza per una sorta di indagine semiotica un po’ ciarlatana quanto apparentemente sofisticata nelle iperboli sulle ultime mode è sempre ad un passo. A poco conta elogiarsi come “quattro gatti” scambiando la potenza dell’essere minoranza nell’autoanalisi dell’escluso;

. oggi il territorio è posta in palio politica sempre più centrale, snodo dei flussi capitalistici globali e luogo di possibile organizzazione-contro . Gli spazi urbani sono il battleground attraverso cui si strutturano i conflitti, e in questo senso le pratiche di territorializzazione sono un altro elemento decisivo dell’agire antagonista – nella consapevolezza che il territorio non è un oggetto di cui appropriarsi ma un qualcosa che va costruito disegnando nuove geografie e immaginari, recuperando memorie rimosse, tracciando linee di amicizia e inimicizia;

. la partita politica si gioca sui bordi dell’università . La vicenda del 36 mostra come sia proprio su questo confine, sulla capacità di smuoverlo, che si possono aprire scenari di movimentazione. È infatti nel gioco tra disciplinamento universitario e urbano e negli interstizi e frizioni che tra essi si producono che si celano spesso bisogni e desideri sui quali può accendersi una miccia;

. sulle nuove temporalità che entrano in gioco nei processi di territorializzazione e nei conflitti ai bordi dell’università si costituiscono embrioni di forme di vita che possono funzionare come continua sfida alla pacificazione tentata dalla governance;

. in questi anni si è molto parlato di valutazione, merito, corruzione accademica e saperi come possibili terreni di conflitto, ma le lotte degli ultimi tempi puntano piuttosto all’elemento dei bisogni, alla battaglia sul welfaree alla conquista e difesa di spazicome terreni su cui si costruiscono possibilità antagoniste ed embrioni di generalizzazione;

.dopo l’approvazione della Riforma Gelmini e la fine del movimento dell’Onda sapevamo che l’altezza della sfida sarebbe stata combattere gli effetti nefasti del processo di aziendalizzazione dell’università all’interno delle facoltà e dei poli universitari. In questi anni abbiamo assistito a pratiche di sottrazione e rifiuto di questi dispositivi, ma anche ad una accelerazione del disciplinamento e della messa a lavoro sempre più ipercinetica di una generazione di giovani nelle università. Se la valutazione il merito sono stati – e lo sono tutt’ora – i meccanismi di organizzazione e selezione delle sfruttamento che, ahinoi non siamo riusciti a scalfire, la questione dei bisogni e degli spazi (privatizzazione e chiusura) sono stati campi di manovra e conflitto agiti dagli studenti e dalle soggettività antagoniste. In questo senso il processo terminale di instaurazione dell’università-azienda si è incarnato in un tornello, ma di terminali da far saltare e intorno a cui organizzare il conflitto e il riscatto (vedi mensa privata), per ipotesi, potrebbero essere molti di più..

. alla repressione si tiene testa rispondendo, spiazzando il campo, costruendo comunità solidali, strutturando soggettività. La polizia era già entrata in università nell’ultimo anno aggredendo alcuni collettivi, ma laddove la risposta è il vittimismo non si produce una molla di movimentazione. Vedremo quale sarà l’entità dell’attacco repressivo sulla lotta bolognese, e sicuramente i cronisti del conflitto e gli sciacalli proveranno a giocare la loro triste partita a partire dai loro spazietti marginali, ma sin d’ora la lotta bolognese pare preparata all’immediato rilancio;

. la composizione che si sta mobilitando non vive di promesse tradite . È una soggettività già plasmata sulla crisi permanente , privata di orizzonte, senza promesse. Non è un soggetto che possa essere blandito con nuove promesse di futuro, bensì uno che parte dal non sopportare più l’idea del sacrificio e dell’adeguarsi alla restrizione dei suoi peraltro esigui spazi di autonomia. Le promesse non bastano più. Per questo quando nell’assemblea oceanica di martedì uno studente si è alzato dicendo “ma alla fine qui siamo tutti nonviolenti, no?”, nessuno ha risposto. Non si tratta di pratiche, ma di ottenimento di obiettivi . Su questo si definisce il terreno di possibilità;

. sul silenzio assordante di tutti gli accademici sulle attuali vicende non val la pena spendere troppe parole. Da un lato la pauradi prendere parola su una soggettività non governabile, dall’altro la crisi del ruolo stesso dell’intellettuale . Ma anche loro percepiscono, come titolavano alcuni siti locali, che “qualcosa s’è rotto” ;

. è di questo che hanno paura tanti think tank ed élite bolognesi, che nella sciocca e stantia rievocazione dello spauracchio-’77 provano a racchiudere lo scenario attuale in involucri del passato, consapevoli che alcune condizioni sociali per rimarcare una frattura tra il mondo giovanile e le istituzioni sono più attuali che mai. Da una parte dunque il nemico nega l’attualità dei sommovimenti sociali, chiamando in causa le forme già date per costruirne la riproposizione come farsesca. Dall’altra, e qui siamo noi, si fraintendono le forme della memoria e intanto che si vaneggia il nuovo si ripropone il già dato nella sua forma plastica. Cioè si agisce esteticamente e, attingendo alla nostalgia, si interiorizza la sconfitta oggi. E sono due moti inversi. Ogni qual volta si è di fronte a queste ingombranti coincidenze storiche per cui eventi “inaspettati” si collocano in momenti densi di memoria è bene non dimenticare mai quanto più ingombrante deve essere scalpito al centro dei nostri sogni il monito: hic et nunc.

.lo sviluppo della lotta ha messo in luce anche l’evoluzione dei processi di criminalizzazione mediale dentro il campo di battaglia informativo ; giornali/tv e social networks sono stati complementari dopo le prime giornate di scontri nel costruire accuse ed emettere sentenze. Finita l’utopia della “rete che ci renderà più informati”, ciò che è emerso è un gigantesco sciame di non-informazione o informazione tendenziosa. La situazione si è ribaltata dopo la grande assemblea di martedì 14, quando centinaia di persone reali sono emerse distruggendo l’idea di un isolamento sociale della lotta, e da quel momento ribaltando anche la narrazione dei “pochi violenti” a colpi di foto, meme e video, scatenando anche chi non era convinto con la criminalizzazione precedente a dire la sua. Solo l’esistenza di una comunità fisica, quindi di un soggetto in lotta “reale” , ha permesso di mettere in campo un rovesciamento del piano comunicativo, riuscendo ad affermare una narrazione in contrasto con quella “imposta”, aprendo polarizzazione e dibattito utili alla crescita e alla riproduzione del movimento.

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