Neofascisti in Ucraina: l’imbarazzo della scelta
La realtà, come spesso accade, è lievemente diversa da come ci viene raccontata, e il rapido mutare degli eventi negli ultimi mesi di certo non ne facilita la comprensione. Se non si può negare la forte influenza che questi gruppi hanno avuto – e hanno tuttora – nella transizione politica andata in scena a Kiev, altra cosa è considerarli in tutto e per tutto egemoni nella protesta antigovernativa che ha preso forma a partire dal novembre 2013. Queste formazioni neofasciste hanno infatti avuto l’abilità di sovradeterminare una protesta di piazza che era stata, almeno a livello embrionale, spontanea e fortemente inclusiva, anche nell’eterogeneo calderone della società ucraina. La forte imposizione (para)militare di questi gruppi, unita alla disgregazione della sinistra antagonista (per non parlare delle ambiguità del Partito Comunista d’Ucraina), ha fatto sì che lo spazio d’azione dei vari nipotini di Bandera si espandesse ben oltre le loro forze reali, contribuendo ad una lettura della fase succube di un allarmismo, a tratti eccessivo, che non ha facilitato una visione omni onnicomprensiva degli avvenimenti in Ucraina. In ogni caso, la libertà di azione delle milizie del Pravy Sektor e della Guardia Nazionale (“veterani” di Majdan regolarizzati) è sconcertante, e gli episodi di squadrismo che si succedono in maniera costante in tutte le regioni dell’est e dell’ovest, contribuiscono ad incancrenire un già non facile stato delle cose.
Se da un lato la situazione non è delle più rosee, lo stesso si può dire per le regioni del sud-est insorte contro il nuovo governo “golpista” di Kiev, nelle quali l’affinità culturale e politica con la grande madre Russia è decisamente più elevata, soprattutto dopo la rapida invasione ed annessione della penisola di Crimea.
In queste regioni (Donetsk e Lugansk in primis) la forte presenza di industrie minerarie unita all’affezione politica al Partito delle Regioni (quello del deposto Yanukovich) e al Partito Comunista, ha convinto molti che la sollevazione dei primi mesi del 2014 nascesse su basi decisamente più progressiste e in netta contrapposizione al dilagare dei“banderovzy” neonazisti dell’ovest. E così è stato, almeno in un primo momento durante il quale lo scenografico dispiegarsi di falci e martello (al fianco dell’aquila bifronte, imperituro simbolo zarista…) e di nastri di San Giorgio (simbolo della vittoria sovietica sul nazifascismo) a difesa dei monumenti di Lenin e dei luoghi-simbolo dell’ex URSS ha effettivamente mobilitato decine di migliaia di persone sconcertate dal rapido degenerare degli eventi nella capitale.
La trasversale componente popolare che ha preso parte a queste proteste, però, è andata via via diminuendo (a ben guardare, oggi non ci sono mai cortei con più di 2-3mila persone) e, per quanto in buona fede, essa è stata rapidamente messa in subordine dall’azione di milizie armate che agiscono per lo più autonomamente e la cui spinta ideologica, come andremo a vedere, non è propriamente compatibile con quella marxista-leninista. Come accaduto per piazza Majdan, anche nelle regioni dell’est una protesta che nasceva sulla base di rivendicazioni sociali (anche se più incentrate sulla semplice contrapposizione con quanto veniva espresso a Kiev) è stata in qualche modo manipolata e gestita da forze nazionaliste legate a doppio filo con le istituzioni russe e con partiti e movimenti fascisti che il Cremlino si guarda bene dal condannare, quando non li sovvenziona direttamente.
Un primo esempio ci viene dalla “Repubblica di Donetsk” (“Donetskaya Republika”), che prima di rappresentare il governo autonomo proclamato nell’omonima regione il 7 aprile 2014, è innanzitutto un gruppo fondato nel 2005 da alcuni noti neonazisti ucraini e russi con lo scopo di dare l’illusione dell’esistenza di un movimento separatista dal basso, con la benedizione di Nikolay Levchenko, boss del Partito delle Regioni di Donetsk. Illegalizzata nel 2007, la “Repubblica di Donetsk” ha continuato ad agire indisturbata, forte anche dell’adesione di personaggi come Aleksandr Matyushin, noto negli ambienti neofascisti con il soprannome di “Varyag” e membro dell’organizzazione neofascista russa “ImmagineRussa” (“Russkiy Obraz”), o di Andrey Purgin e Oleg Frolov, entrambi membri della potente e filoputiniana Unione Eurasiatica della Gioventù (Evraziyskiy Soyuz Molodezhi), un’organizzazione di estrema destra vicina al Cremlino e fondata dal noto neofascista russo Aleksandr Dugin. Proprio Purgin nel novembre 2013 (Euromajdan faceva allora i suoi primi passi), è stato tra i promotori dell’edizione della “Marcia Russa” a Donetsk, un evento organizzato da estremisti di destra e ultra nazionalisti panrussi in tutte le repubbliche ex-sovietiche.
Tra i partecipanti alla marcia c’era anche Aleksandr Khryakov, grande sostenitore deiBerkut (le ormai disciolte forze di sicurezza di Yanukovich) e attualmente ai vertici dell’autoproclamata “Repubblica di Donetsk”, tanto da avere condotto il 22 aprile le trattative a porte chiuse con la missione Osce sequestrata dai separatisti. A fine gennaio 2014, il movimento “Repubblica di Donetsk” è stato, inoltre, promotore della conferenza intitolata “Il ‘progetto Ucraina’ come minaccia per il mondo russo”, partecipata da movimenti di estrema destra come, “Patriya”, “Unità Slava” (“Slavyanskoe Edinstvo”),“Taganrog Bianco” (“Bely Taganrog”) e ultras neofascisti della squadra di calcio Shakhter. L’incontro è servito soprattutto a porre le basi per la creazione di milizie che si sarebbero occupate, “nel caso in cui gli eventi dovessero evolversi nel peggiore dei modi”, della difesa strategica e militare del Donbass grazie a “gruppi mobili, capaci di muoversi rapidamente in qualsiasi momento, insieme a gruppi di supporto informativo” e alla collaborazione benevola della polizia di Donetsk.
Un altro personaggio ambiguo, capace di affermarsi politicamente nelle piazze filorusse dell’est, è Pavel Gubarev, 31 anni, imprenditore e padrone dell’agenzia pubblicitaria Patison, nonché membro dell’organizzazione neonazista “Unione Nazionale Russa”(“Russkoe Natsionalnoe Edintsvo”). Gubarev ha esordito pubblicamente il 1 marzo 2014 durante una manifestazione di piazza a Donetsk (qui il video), presentandosi come leader delle “Milizie Popolari del Donbass” (“Narodnoe Opolchenie Donbassa”), sconosciute ai più, e – dopo aver pronunciato un discorso a favore dello svolgimento di un referendum, dell’intervento militare della Russia e dell’annessione alla stessa – si èautoproclamato “governatore popolare” della città. Nelle settimane successive, Gubarev non ha disdegnato la compagnia di persone come Rostislav Zhuravlev, dirigente di “Seconda Russia” (“Drugaya Rossiya”), movimento affiliato al partito nazional-bolscevico di Eduard Limonov, o di Aleksey Khudyakov, leader del gruppo razzista “Scudo di Mosca” (“Shtit Moskvy”), con il quale si è accompagnato nei momenti salienti delle giornate di assalto agli edifici amministrativi. Khudyakov è stato per sei anni membro di “Giovane Russia” (“Rossiya Molodaya”), organizzazione giovanile filoputiniana vicina al partito “Russia Unita”, con la quale ha promosso in Ucraina l’operazione “Nastro di S. Giorgio”, cioè proprio il nastro che oggi è l’emblema dei separatisti filorussi.
Persino Sergey Aksyonov, attuale Primo Ministro della Repubblica Autonoma di Crimea, è stato leader del partito nazionalista di destra ‘Unità Russa’, ininfluente dal punto di vista elettorale, ma completamente asservito alla retorica macro-russa utilizzata da Putin per giustificare la forzatura dell’invasione. Le convergenze tra neonazisti russi e movimento anti-Majdan sono ancora molte, a dimostrazione di un quadro eterogeneo e difficilmente riconducibile sotto l’etichetta di una– quantomeno improbabile – revanche socialista e antifascista contrapposta all’esecutivo (filo USA e filo UE) insediatosi a Kiev.
I segnali più preoccupanti arrivano dal dilagante clima razzista che si respira in tutto il territorio ucraino, che nelle regioni del sud-est sfocia sempre più spesso in un antisemitismo che mescola la cara e vecchia difesa della razza (in questo caso slava) a stralci di propaganda stalinista, utile per mascherarne la reale matrice e, talvolta, per fare innamorare sprovveduti turisti della geopolitica e nostalgici del socialismo reale. Tra i tanti esempi, spicca quello della fanpage Facebook della polizia speciale Berkut, il principale pilastro della sicurezza del regime di Yanukovich, che a gennaio 2014 pubblicava senza troppo imbarazzo immagini antisemite, razziste e omofobe.
Con buone pace di chi, forse con un pizzico di ingenuità, vedeva nei corpi speciali della polizia che reprimevano la popolazione di Majdan (ivi compresi i fascisti) un’anacronostica rinascita della gloriosa Armata Rossa.
Il proliferare di foto e volantini raffiguranti generici “sostenitori del Majdan” con fattezze e indumenti della tradizione ebraica è espressione di un ragionamento che ha contribuito a creare ulteriore confusione, aumentando così l’ambiguità della protesta a est: se a Majdanci sono i fascisti, ma ci sono anche gli ebrei, allora può ben valere l’assunto per cui l’antisemitismo può essere equiparato all’antifascismo, e così di seguito tutta una serie di assunti retorici spaventosamente simili a quelli sostenuti dai nostrani “rossobruni”. La nomina di Yatsenyuk, ebreo, a nuovo capo dell’esecutivo ucraino non ha certo contribuito a placare gli animi, spostando la natura del conflitto su un piano che è sempre più declinato verso una chiara matrice etnica e meno politica, sempre più raramente ideologica.
La recente stesura della carta costituzionale della Repubblica di Donetsk ha definitivamente messo nero su bianco alcuni di questi temi, affidando un ruolo cardine ai valori religiosi, sociali, culturali e morali tradizionali della Grande Russia. In particolar modo viene enfatizzato il “ruolo storico dell’Ortodossia e della Chiesa Ortodossa” in contrapposizione con le altre “sette” religiose che, qualora sgradite, possono essere perseguite per legge. Allarmanti risultano essere anche i costanti richiami alla “famiglia tradizionale” e al divieto di abortire, per non parlare dell’articolo 31.3 che recita “Nessuna forma di unione perversa tra persone dello stesso sesso viene riconosciuta o consentita dalla Repubblica Popolare di Donetsk e ogni tale tipo di unione verrà perseguito dalla legge”.
Gli esempi sarebbero ancora molteplici e tutti, in diversi modi, preoccupanti: dai volontari cetnici serbi ai nostalgici dell’impero zarista, passando per le organizzazioni giovanili governative filo-putiniane fino ad arrivare al coinvolgimento, nemmeno troppo velato, dei servizi segreti russi nell’appoggio alle milizie “popolari” (per un ulteriore approfondimento rimandiamo ai link a fine articolo). La legittimità, anche nelle fila della sinistra anticapitalista, di cui godono questi personaggi è dovuta in gran parte alla propaganda del Cremlino, che si manifesta attraverso strumenti subdoli e difficilmente individuabili. La televisione filogovernativa RT ne è un esempio: grazie ad approfondimenti molto accurati sulle rivolte di mezzo mondo è riuscita ad affermarsi come uno dei mezzi più seguiti dai giovani o da chi si propone di veicolare un’informazione “altra” rispetto ai media ufficiali, riuscendo così a diffondere messaggi non sempre scevri da una visione parziale edeterodiretta degli eventi.
Con questo non si intende dare alcuna legittimità alla “libera” stampa occidentale, né alla propaganda ufficiale della nuova giunta ucraina, ma anzi si invita ad astenersi dalle prese di posizione preconfezionate per non rischiare di cadere nella trappola di un’informazione sì di parte, ma della parte di chi comanda, a prescindere. In tutto ciò, pretendere di parteggiare per gli uni o per gli altri senza un’accurata analisi non solo delle dinamiche geopolitiche ed economiche, ma anche di quelle più strettamente sociali, rischia di essere un errore sotto tutti i punti di vista. Dichiarare il proprio ideale antifascista rimane il modo migliore per smarcarsi da ambiguità e schieramenti strumentali, cercando in tutti i modi di escludere il gioco delle parti a favore di un punto di vista indipendente e, soprattutto, riproducibile nel contesto delle lotte reali e della solidarietà internazionalista.
Fare presente le responsabilità di Settore Destro e Svoboda nella voragine di odio e violenza nel quale sta precipitando l’Ucraina è sacrosanto, così come deve essere netta la presa di posizione rispetto a tragedie come quella di Odessa, ma allo stesso tempo è d’obbligo sottolineare la nostra distanza da chi tenta di spartirsi l’egemonia dei territori e delle risorse passando sui corpi dei proletari. Il semplice pensiero che la Russia di Putin, con i suoi lacchè euroasiatisti, possa diventare un alleato, anche solo strumentale, della sinistra antagonista e anticapitalista significa abbandonare una prospettiva che si basa sull’autonomia delle lotte e sulla loro continua proliferazione, indipendentemente dagli sterili giochi di potere che da sempre sono esistiti e che devono costituire non l’alternativa, bensì la controparte contro cui schierarsi.
Approfondimenti:
http://anton-shekhovtsov.blogspot.fr/2014/04/russian-and-pro-russian-right-wing.html
http://www.opendemocracy.net/od-russia/anton-shekhovtsov/dangers-of-extremism-insoutheastern-ukraine-far-right-eurasianism-slavic-unity
http://avtonomia.net/2014/05/14/regime-kyiv-junta-east-awu-kyiv-statement-conflicteastern-regions/
Конституция ДНР: русский национализм, клерикализм и капитализм
http://crisiglobale.wordpress.com/2014/04/29/focus-ucraina-lanima-nera-della-repubblicadi-donetsk/
http://crisiglobale.wordpress.com/2014/05/14/focus-ucraina-perche-gli-anarchici-nonprendono-parte-allantimaidan-di-donetsk/
http://crisiglobale.wordpress.com/2014/05/21/focus-ucraina-repubblica-di-donetsk-semprepiu-a-destra-verso-la-russia/
http://www.eastjournal.net/russia-il-nastro-di-san-giorgio-e-linvenzione-dellatradizione/42836
http://www.eastjournal.net/ucraina-il-comandante-di-sloviansk-che-fu-mercenario-inbosnia/42489
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