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Nostalgie nazionali, malinconie di sinistra

A destra di questo evento non ci si in fondo dà molta pena. Altre sono le preoccupazioni del cavaliere, mentre lo stato nazionale per la sua accolita di ruffiani, appaltatori di grandi e piccole opere, magnaccia della speculazione di ogni sorta è più una mangiatoia da cui lucrare che una prospettiva politica da rilanciare. Alla Lega va bene un po’ di scena identitaria padana ad uso e consumo di una base sociale sempre più incarognita nel mentre il partito proprio facendo leva da Roma, dove è divenuto l’azionista di riferimento del governo, si è spregiudicatamente inserito nelle reti della governance territoriale e dei poteri economici che contano. Nel Meridione il ceto politico e affaristico, preoccupato della deriva nordista del governo, sta pensando cinicamente a come non uscirne con le ossa rotte: neanche la minima velleità, dunque, di fare della scadenza l’occasione per una ricontrattazione seria con Roma o addirittura di rilancio di un qualche meridionalismo.

A sinistra ci si è un po’ malinconicamente aggrappati alla festa, anche come occasione per richiamare diritti. Senza però fare i conti con il profondo disorientamento e la delusione per quello che l’unità nazionale ancorchè declinata in termini democratici e sociali non rappresenta più. Perchè la costituzione materiale è profondamente e irreversibilmente mutata. E perché la difesa delle condizioni di vita e la prospettiva che pure per tutta una fase ha pagato -contratto nazionale, welfare, democrazia in chiave di conflitto di classe all’interno del quadro nazionale – oggi non tengono più a fronte delle scosse telluriche della globalizzazione e di un capitale sempre più onnivoro che si fa beffe dei confini nazionali. (E lasciamo perdere quanto “in alto”, senza uno straccio di ricette praticabili e divenuti sempre più compatibilisti, il centro-sinistra e la “sinistra” istituzionale si siano essi stessi leghizzati più di quanto non appaia).

Non ci sarà questa volta possibilità alcuna di risollevare le bandiere nazionali lasciate cadere nel fango dalla borghesia. Nessuno spazio effettivo per un nuovo risorgimento, magari in salsa giustizialista-populista, e neanche per una nuova resistenza. La partita è oramai su di un’altra scala, piaccia o meno. Inutile allora e controproducente rispolverare anche “dal basso” nostalgie nazionali, decisamente fuori tempo massimo. Meglio sintonizzarsi sulle onde medie e lunghe dei conflitti che, nel quadro della crisi globale, si stanno ridislocando a cavallo dei confini e trasversalmente ai tempi lineari cui eravamo abituati.

rk

17 marzo ‘11

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