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Se le “true news” sulla Mimo fanno sorridere il potere

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Miseria di un certo debunking, tra Daniela Carrasco e Joker

 

Dai discorsi di Donald Trump a determinati format porno, dalle pseudoscienze al revisionismo climatico e storico, in quest’epoca la comunicazione del falso sembra essere un processo socialmente legittimato se non accettato e valorizzato. Tanto più laddove il termine inglese che lo traduce ha acquisito maggiore popolarità, cioé nel campo mediatico – e in cui ci paiono emergere tre tipologie di fake news, in ordine decrescente di attuale pervasività e capacità di influenzare l’esistente.

Le prime e più famose sono quelle vomitate quotidianamente da vere e proprie centrali di malainformazione xenofoba, misogina o securitaria come Imola Oggi, Tutti i Crimini degli Immigrati o Quinta Colonna: il fenomeno è lampante e non occorre, in queste righe, dedicargli ulteriore spazio.

Le seconde, quelle dei giornalisti e dei politicanti in doppiopetto e “liberali”, sono più subdole ma non per questo meno efficaci: si spazia dalle manifestazioni pacifiche “oscurate per colpa dei violenti” a chi occupa per necessità “e toglie la casa a chi ne ha diritto”, dal rappresentare come “nimby” chi lotta contro la devastazione dei territori e dei viventi da parte delle grandi opere inutili allo “sgocciolamento” della ricchezza verso il basso che si avrebbe detassando i già abbienti (la fake più grossa di tutte).

Le terze, più rare ed esotiche, sono quelle che avrebbero il potere di far riflettere ed interrogare le coscienze – se venissero lette alla luce della Luna a cui puntano. Dalla finta blogger siriana Amina che denunciava il pinkwashing del regime sionista quotidianamente operato dal mainstream occidentale al finto striscione del sindacato francese che lamentava per quel paese la possibilità di fare la fine dell’Italia, come poi in parte si è dato con le politiche antisociali di Hollande e Macron.

Non sappiamo se il caso dell’omicidio di Daniela Carrasco, “la mimo”, ampiamente circolato in rete negli ultimi giorni faccia parte di queste ultime o sia (come spesso avvenuto per tanti cosiddetti “misteri d’Italia”) oggetto di tentativi di depistaggio proporzionali all’inaudita violenza che il regime cileno sta operando nei confronti del suo popolo. Ma ci interessa non il merito ma l’attitudine con cui, lancia in resta, vi si rivolgono i debunker senza macchia e senza paura di casa nostra, nelle persone dei blastatori Enrico Mentana e David Puente.

Dopo aver operato una lunga e apparentemente solida disamina del caso (servendosi de “le avvocate femministe”, “la famiglia”, “le fonti sul posto”) e a poche ore di distanza dall’uccisione della mediattivista Albertina Martinez Burgos (ma vuoi mettere la soddisfazione di non perdere tempo ed imprimere a mezzo social con un sorriso largo così un bel “CHECKMATE, HATERS!”?), ci tengono a farci sapere che la Mimo non sarebbe stata stuprata ed impiccata in una caserma ma si sarebbe suicidata. Un debunking subito ripreso dal mainstream che, rispolverato il parruccone della deontologia giornalistica anglosassone, coscienza lavata e pagina esteri coperta, declama a gran voce “non è andata come ci avevano detto!”.

Ma certo, non viviamo forse in un paese modello di libertà di stampa – 43o al mondo, due posizioni appunto sopra il Cile dove attualmente è un tantino difficile circolare persino per le citazioni fake (sic) di Pasolini e Voltaire? Dove le persone non muoiono di morte violenta in carcere o dentro le caserme? Dove le forze dell’ordine e le loro azioni sono sottoposte ai “watchdog” mediatici e sociali senza ossequi e condiscendenza? Dove i fascisti sono banditi e gli antifascisti non ricevono fogli di via? Dove la cronaca nera è relegata tra gli ultimi servizi dei rotocalchi dietro alle centinaia di reportage di inviati pagati il giusto e presenti in prima persona nei paesi esteri? Come sempre il Cile – di cui sia le principali testate istituzionali che quelle come Open Online ci hanno profusamente narrato il ruolo nella sollevazione globale contro il neoliberismo e gli innumerevoli episodi di violenze, torture, uccisioni extragiudiziarie da parte di chi indossi una divisa…o forse no??

Vale forse la pena di riprendere quanto detto anni fa davanti allo stillicidio post-attentato a Charlie Hebdo. Come in quel caso la satira islamofoba del periodico era l’utile idiota di chi lavorava per esasperare le pulsioni razziali ed identitarie rispetto alla crisi del modello di civiltà capitalista, mettere ora sotto i riflettori il caso della Mimo significa oscurare in favore di una rappresentazione familiar-individualista – in auge nel paese dei (Don) Matteo – il campo di battaglia sociale e collettivo che lo ha permeato. E tentare di sminuire ed esorcizzare la violenza patriarcale che ne ha determinato la morte, in tutte le sue sfaccettature e qualunque sia la realtà ultima dei fatti.  

E non se sente davvero alcun bisogno in una fase in cui l’odio abbonda – ma un odio prevalentemente vigliacco, gratuito e privo di responsabilità rispetto a quello per le ingiustizie ed i soprusi dei e delle centinaia di oppressi di un sistema in bancarotta nella realtà, ma in credito nella finzione mediatica. Quello di chi – privo delle protezioni legali, delle indennità e del consenso artificiale dei potenti – vi si oppone spesso pagandone le conseguenze in prima persona. Un odio di classe che è un valore laddove, come magistralmente rappresentato nel film Joker, l’uso della forza per dargli sbocco può essere problematico, ma mai gratuito né indiscriminato.

Non si tratta di benaltrismo ma di restituire un senso della realtà, delle priorità e delle proporzioni ad un ecosistema mediatico che – come mostra la qualità dei recenti comportamenti censori di Facebook e Twitter – si ri(s)vela gerarchico, classista e specchio dei rapporti di potere complessivi. E in cui il debunking (che arriva congenitamente, per la struttura dei social, in ritardo davanti alla viralità di reti che la destra coltiva ed egemonizza impunemente) può non essere sempre e comunque un’opera meritoria nel cambiamento di questi ultimi. “Nel mondo realmente rovesciato”, scriveva Debord, “il vero è un momento del falso”. E continuando con Antonio Gramsci su L’Ordine Nuovo: “Dire la verità, arrivare insieme alla verità, è compiere azione comunista e rivoluzionaria”. Ma qual’è l’azione di Mentana e Puente? E la nostra?

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