Una guerra lampo in 140 caratteri
Volete scatenare tempeste d’informazione sulle teste dei vostri avversari? Volete far esplodere i vostri messaggi in rete e colpire il leviatano alle ginocchia con frammenti impazziti di bit? Se la risposta è si, Blitzkrieg Tweet è il libro che fa per voi
Una premessa è doverosa. L’autore (filosofo, informatico ed animatore di spinoza.it) non ha dato alle stampe l’ennesimo manuale di guerriglia marketing su come diventare popolari in rete. O almeno, non sembra essere stato mosso da quest’unico intento. Certo, il libro è denso di suggerimenti su come concepire le vostre bombe mediatiche, influenzare l’opinione pubblica ed incendiare il terreno della comunicazione (possibilmente senza farvi terra bruciata intorno). Ma allo stesse tempo, sotto la superficie delle 130 gustose pagine pubblicate da Agenzia X scorre come un fiume carsico una stimolante riflessione sulla rete, le ambivalenze dei fenomeni sociali che l’attraversano ed i pericoli che ne stanno mettendo a repentaglio la libertà.
Ma cosa hanno in comune Twitter e la guerra lampo? Molto, se si considera che la velocità negli scenari di conflitto è un fattore in grado di mutare profondamente i connotati dei fenomeni bellici e dei sistemi di comunicazione. Così come l’adozione della blitzkrieg da parte delle truppe tedesche durante la seconda guerra mondiale aveva reso inefficace la mastodontica linea Maginot costruita dai francesi, allo stesso modo, sostiene De Collibus, la rete ed i fenomeni ad essa connaturati (disintermediazione, istantaneità e partecipazione del pubblico al processo informativo) hanno reso obsolescenti quelle fortezze comunicative (televisioni, quotidiani, radio) che il potere fino ad oggi aveva posto in sua difesa. La mentalità lineare propria dell’epoca fordista e dei sistemi informativi broadcast (dove un centro irradia un messaggio verso la periferia) è stata messa sotto assedio dalla «mentalità quantistica» che, con l’affermazione dei network di comunicazione digitale, sembra destinata a rimpiazzarla irreversibilmente.
Attenzione. Non siamo di fronte all’ultimo di una lunga lista di intellettuali folgorati sulla via del tecno entusiasmo internettiano. L’approccio dell’autore è olistico – tecnologia e sociologia in rete«procedono di pari passo» ci avverte – e rifugge quella sciocca lettura neopositivista di Internet, destinata inevitabilmente a sfociare nell’apologia liberale delle twitter revolutions o nell’annuncio della distopia orwelliana.
De Collibus non conosce il futuro. Non è venuto a dirci come andrà a finire. Sa solo che è già cominciato e che non saranno né macchine, né algoritmi a scriverlo per noi. L’accelerazione prodotta dalla rete e dai social media infatti racchiude in sé tanto la possibilità di aprirci nuovi orizzonti inesplorati quanto quella di confinarci in asfissianti recinti d’informazione. Il passo tra la swarm intelligence ed il clicktivism (l’attivismo pigro fatto a colpi di like dalla poltrona di casa) è breve, ma sta solo a noi trovare il modo di non scivolare nel secondo. Per farlo però è necessario comprendere quali forze agitano la rete («un costrutto semiumano, nato dall’interazione tra l’uomo e la tecnologia») e come l’esperienza mediale digitale permea e modifica le nostre capacità cognitive e sensoriali. A queste tematiche sono dedicati i due capitoli di cui è composto il libro.
Tattica
Il primo si occupa di tattica, ovvero di quei principi da attuare quando la guerra è già cominciata. La loro deduzione è affidata all’osservazione empirica dei fatti sul campo di battaglia. De Collibus, con una prosa tagliente e dissacrante che punteggia l’intero volume, ricostruisce le vicende avvenute su diversi teatri di conflitto: dalla guerra di propaganda in rete tra Israele ed Hamas scoppiata in occasione dell’ultima aggressione sionista a Gaza, fino alla disfatta di Letizia Moratti alle amministrative del 2011, consumatasi anche a causa di una disgraziata gestione della comunicazione sui social in campagna elettorale.
Quali sono allora le regole per influenzare la spirale delle decisioni collettive e far sentire la propria voce sui social media? Solo due a detta di De Collibus. La prima prende le mosse da una constatazione tanto elementare quanto essenziale: quella per cui il rumore di fondo della rete, l’incessante scorrere di notizie, immagini, video, tweet e aggiornamenti di stato, sta progressivamente riducendo la soglia di attenzione degli utenti. È pertanto necessario cogliere le occasioni che ci si parano di fronte per far esplodere tempeste d’informazione sulle teste dei nostri avversari. Ma per riuscirci (ed ecco la seconda regola) dobbiamo rivolgerci al pubblico giusto. Questo perché all’epoca del web 2.0 ogni messaggio non viene più definito esclusivamente dal suo significato ma anche e sopratutto dal processo di significazione collettiva alla base della sua trasmissione. Detta in altre parole, nessuna identità, nessun contenuto può esistere in rete se non viene mediato e moltiplicato da un processo distribuito di cooperazione sociale e condivisione dell’informazione. Per attivarlo bisogna saper interagire coi diversi attori che costellano l’ecosistema di rete (tra cui influencers e media tradizionali), gestire con oculatezza i meccanismi che regolano la nostra visibilità e trasformarsi in hub, ovvero punti di raccordo tra mondi ed isole nella rete.
Strategia
Attenersi ai principi enunciati da De Collibus permette di vincere le battaglie. Non ottemperarvi significa andare incontro all’irrilevanza, che in rete è sinonimo di rovina. Ma non illudetevi: ideare hashtag, ricorrere alla memetica, organizzare petizioni o creare eventi su Facebook non vi garantirà il successo finale. Prima di scendere sul piede di guerra, anche nel web, è necessario predisporre un’adeguata pianificazione, tema che occupa la seconda parte del libro dedicata alla strategia.
Come muoversi nel caos che è condizione naturale della vita in rete? Qual è il modo migliore per veicolare un messaggio quando estetica e struttura della conoscenza sono oggetto di un profondo processo di trasformazione sotto la spinta dell’overloading informativo e della logica del cloud computing? In che modo tenere alto il livello del dibattito in rete senza cadere nella trappola del recentismo, cioè nell’eterno presente privo di prospettive storiche che caratterizza i social media? Come non rinchiudersi nelle cerchie viziose dell’omofilia (l’inclinazione a parlare solo con chi ci somiglia) che trasformano il mare magnum della rete in un acquario stagnante? Quali sono gli archetipi narrativi più efficaci per coinvolgere il pubblico? Che diavolo è l’antinarrazione e perché potrebbe travolgere in un soffio la nostra credibilità sul web? Questi ed altri argomenti sono affrontati dall’autore, con l’intento di elaborare una metodologia idonea per far esplodere la rete coi vostri messaggi.
Oltre la linea Maginot
A dispetto della vena ironica che scandisce piacevolmente il ritmo della lettura, questo libro esplora una serie di questioni piuttosto serie ed attuali. Tra i suoi pregi principali c’è quello di ricordarci che nel web non siamo semplici utenti ma veri e propri nodi della rete, in grado di dirottare i flussi d’informazione e senso che l’attraversano. L’autore poi ha la capacità di mettere a fuoco in modo brillante gli elementi da cui sono scaturite esperienze vincenti di comunicazione politica in rete – pensiamo a Wikileaks ed Anonymous – con le loro forme di organizzazione aperte e molecolari, la loro identità condivisa e partecipata, la loro capacità di essere catalizzatori d’attenzione e connettori di porzioni di società molto differenti tra loro.
Chiuso il libro però sorge una considerazione. Se in linea teorica è vero che siamo attrezzati per sfondare la linea Maginot del tiranno (ovvero quella dei media broadcast generalisti) è altrettanto vero che lo scontro con i nuovi padroni (cioè le internet companies della Silicon Valley) ci vede al momento quasi del tutto sguarniti. Come il caso PRISM ha confermato Google e soci sono il perno di un progetto di gerarchizzazione di rete che li candida appieno al ruolo di novelli broadcaster. Le multinazionali californiane dell’ICT non solo oggi stanno dando vita ad una concentrazione oligopolistica senza precedenti nella storia del capitalismo, ma sono anche supernodi di internet ed interfacce costitutive della comunicazione sociale. Una dinamica questa che, più che alludere a processi di liberazione o empowerment dell’individuo, indica semmai un’enorme concentrazione di potere nella mani di pochi soggetti privati, in grado di cristallizzare nel mercato globale alcune funzioni politiche una volta monopolizzate dallo stato-nazione.
È il sigillo finale sulla storia di internet? Assolutamente no, perché questa, proprio come il libro di De Collibus, non ha ancora una conclusione. Niente è per sempre e dietro l’angolo ci aspettano incredibili futuri non lineari. Siamo noi ad essere la vera ricchezza della rete. E una rete libera sarà sempre possibile fino a quando saremo disposti a lottare per essa. Come direbbe Aaron Swartz… vuoi essere dei nostri?
InfoFreeFlow (@infofreeflow) per Infoaut
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